Capitolo 90

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Connor
Guardarla su questo letto, senza muoversi...guardarla con una marea di fili attaccati al corpo, guardarla non consapevole di quello che le sta accadendo...guardarla in attesa che apra gli occhi e che mi rivolga una delle sue occhiate.
Ormai è una settimana che è in coma, una settimana in cui non chiudo occhio ed una settimana che non lascio questo ospedale.
Tornare a New York è la prima cosa che mi è venuta in mente quando alla base mi hanno detto che le sarebbero servite delle attenzioni che lì non erano in grado di darle. Mi sono subito mobilitato a chiamare il padre e a renderlo a conoscenza di quello che è successo, non ci ha pensato due volte di recarsi qui e di stare accanto alla figlia.
Ho deciso di ospitarlo a casa mia, anche perché non credo di esserci mai tornato da quando lei è qui.
Non credo nemmeno di aver mai dormito o essermi fatto una doccia lunga e riposato.

<Connor>, mi chiama mio padre entrando silenziosamente nella stanza mentre io ho tra la mano quella della ragazza che non sembra aver voglia di svegliarsi e di rendermi felice.
<Vuoi mangiare qualcosa?>, mi domanda fermandosi dall'altro lato del lettino sfiorandole l'altra mano con amore. So che le vuole bene.
Da quando l'ha conosciuta non ha fatto altro che dirmi che lei è la ragazza giusta per me, che non ci sarebbero state altre che avrebbero retto al suo confronto. E dire che era iniziato tutto con una bugia.
<No, la mamma è tornata a casa?>, chiedo sollevando gli occhi nei suoi.
<Si, c'è solo Constance che aspetta qui fuori>, mi spiega e mi porto una mano sulla faccia stanco di questa situazione. Non credo che riuscirò a reggere ancora per molto.
Il corpo inizia a non reggere più tante ore senza dormire o mettere qualcosa sotto ai denti.
<Perché non dormi almeno due ore? Ti chiamo se ci sono novità>, mi dice poi mentre guardo la ragazza avere un'espressione così rilassata e tranquilla.
<Papà...>, mormoro quasi nervoso per la sua domanda.
<Lo so cosa stai provando, ma non puoi autodistruggerti...vai a casa per qualche ora>, ripete.
Il suono dei macchinari ormai mi è entrato in testa, ormai mi sembra anche di non sentirlo più.
<Lei è importante, non posso lasciarla, non me lo perdonerei mai>, mugugno sentendo gli occhi farsi umidi per la centesima volta in questi giorni.
<Non la stai lasciando, ti stai rimettendo solo in forze...rimane Costance qui>, insiste dando un bacio sulla mano della ragazza che sembra mi voglia far soffrire. Come se lo stesse facendo apposta.

Mi alzo dalla sedia e un capogiro mi fa chiudere gli occhi, non mangiare non è stata una buona idea.
<Ti accompagno>, afferma mio padre uscendo dalla stanza.
L'ospedale a quest'ora è pieno di gente, visite di parenti e continui aggiornamenti dei dottori creano questo via vai di brusii.
Seduto ad una della sedia fuori la porta della ragazza è seduto Costance che come me non ha mai lasciato questo posto. Non credo di averlo mai visto piangere, credo solo di averlo visto soffrire in silenzio. Non mi perdono di averla lasciata lì quella mattina, di non aver pensato che i guai sarebbero stati dietro l'angolo. Non so nemmeno come sia potuto accadere che delle bombe fossero state piazzate nel poligono...non sono stato in grado di proteggerla come avrei dovuto, non sono stato abbastanza responsabile.
<Se ci sono novità ti chiamo>, mi dice Costance con un debole sorriso.
Annuisco e cammino insieme a mio padre verso l'uscita.

Mi ero quasi dimenticato di che colore fosse il cielo con il sole, l'aria fresca sbatte contro il mio viso e mi costringe a chiudere gli occhi per qualche secondo.
<Sono arrivati i documenti che aspettavi>, dice mio padre mentre sblocca la macchina ed entriamo.
Osservo sul cruscotto una busta arancione e so già di cosa si tratta.
<Devi solo firmarli e poi li spedisco io>, continua mentre la afferro e la apro senza pensarci.

Richiesta di trasferimento.

Ecco cosa c'è scritto alla prima pagina.
Ecco da cosa dipende adesso il mio futuro.
Ci ho pensato a lungo, ho pensato a tutte le possibilità che mi si sono presentate davanti e quelle che ho dovuto scegliere: restare lì alla base e rischiare la vita, pur sapendo che forse non avrei rivisto più nessuno...oppure trasferirmi qui a New York ed assumere un altro compito, cioè formare le reclute prima che partano.
Emma ha già avuto un congedo quando non era più in sé, e non so come reagirà quando lo saprà...quando saprà che sono stato io a fare tutto, quando saprà che non tornerà più in un posto come quello. Ci sono tante altre possibilità tra le quali scegliere e so che capirà, spero che non prenda la decisione sbagliata.

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