Capitolo 79

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Emma
<Connor...?>, mormoro in un sussurro.
<Te l'avevo detto che sarebbe arrivata a momenti>, dice mio padre alzandosi per poi rimettere la sedia al proprio posto e camminare verso di me.
<Grazie mille signore e buona notte>, afferma il ragazzo ancora in piedi che sorride a mio padre ed io alzo gli occhi al cielo.
<Fossi in voi andrei a parlare fuori, se tua mamma si svegliasse non la prenderebbe bene>, mi spiega poi posandomi una mano sulla spalla.
Guardo la sua mano che effettua il gesto e sussulto a quel piccolo contatto: lui che non mi ha mai nemmeno abbracciata una volta, lui che pare che adesso stia cambiando.
<Papà, lui non è...siamo amici>, ribatto subito balbettando lanciando uno sguardo a Connor che se ne sta in piedi vicino al tavolo con le mani in tasca.
<Andate a parlare fuori, ok?>, ripete pensando effettivamente che mia madre non mi permetterebbe mai di parlare con qualcuno che non reputa alla mia altezza, con qualcuno che sul conto in banca deve avere minimo un milione di dollari.
Annuisco senza più ribattere e lo vedo fare un segno con il capo a Connor e poi lascia la cucina.

Adesso che siamo soli, ritorna la sensazione di sorpresa e di stupore che papà era riuscito a mettere da parte.
Gli occhi marroni mi guardano dall'alto in basso, si sofferma molto di più sui calzini arancioni fluo e sorride anche se cerca di nasconderlo guardando altrove.
<Eh...ciao>, dico come se ancora non ci fossimo salutati.
<Vedo che non te la passi male, eh?>, mormora sorridendo mentre io apro la porta della cucina per andare fuori.
Lui mi segue e sento la sua presenza alle mie spalle, ed è così forte: sul muro vedo riflessa la sua ombra e la mia che si fondono.
Infilo velocemente le scarpe mentre lui apre la porta e si ferma sull'entrata.

Lo seguo con le mani legate dietro la schiena e si avvicina ad una macchina grigio scuro che poi sblocca con la chiave e che lampeggia due volte.
<Come stai?>, chiede poi mentre apre la portiera del suo veicolo e si infila al suo interno per poi uscirne con una giacca in pelle che indossa.
<Beh, non male...tu?>, domando a mia volta quando lui si appoggia allo sportello chiuso con le gambe leggermente divaricate e con il braccio posato sullo specchietto. Solo ad illuminarlo, le piccole lucine delle varie case e alcuni lampioni posti in fila lungo tutta la strada. Pare che i suoi capelli siano ancora più scuri, pare che le labbra siano ancora più carnose e gli occhi...sembra che siano ancora più affusolati.
Mi sento anche un po' in imbarazzo a trovarmi davanti a lui, così.
<Bene, questa piccola vacanza mi sta facendo davvero bene>, risponde tranquillamente infilando l'altra mano libera in tasca.
<Perché sei qui? Cioè...come fai a sapere dove abito e perché a quest'ora?>, domando ancora andando dritto al punto.
Mi sembra ancora di stare sognando, come se da un momento all'altro Giusy apra le tende della mia camera ed io lì mi accorgerò che tutto questo è solo una grande allucinazione del mio cervello.
<Sapere dove abiti è facile, ho letto il tuo fascicolo e so quasi tutto di te...dati personali si intende>, dice mentre i miei occhi si soffermano nei suoi che battono le palpebre solo un paio di volte.
<Dovrei preoccuparmi?>, chiedo piegando la testa di lato e lui sorride facendo schioccare la lingua sul palato. Gesto che fa sempre.
<Mi serve il tuo aiuto>, afferma rigirandosi tra le mani le chiavi della macchina che emettono un suono vuoto. Un ticchettio poco forte.
<Non dirmi che...>, sussurro portando una mano sulle labbra facendo un passo avanti.
<Mh...cosa?>, chiede corrugando le sopracciglia.
<Hai avuto...un altro attacco di panico? Ne hai avuti altri?>, continuo mentre i piedi camminano da soli e mi ritrovo ad un passo dal suo corpo, tra le sue gambe con una mano su un lembo della giacca chiusa in un pugno.
Lui sembra non far caso a questo gesto perché i suoi occhi sono sempre stati fermi nei miei, sempre sul mio viso.
<No, da quella sera non sono tornati>, risponde con voce rauca data la vicinanza.
Non serve parlare normalmente, riesco a sentirlo anche da qui.
Annuisco ma non mi allontano.
<Ho fatto un casino, un disastro>, mormora mentre io mi mordo le labbra in attesa che lui mi dica chiaramente cosa succede e perché è qui.
<Senti, devi venire con me...a New York, solo un giorno...devi aiutarmi>, dice frettoloso posando entrambe le mani sulle mie braccia quasi come per tenermi ferma sul posto.
<A New York?>, domando sorpresa.
Annuisce e socchiude gli occhi per un secondo, tutto seguito da un piccolo sbuffo.
<Con te>, mormoro con un piccolo sorriso sulle labbra.
<Ti fa ridere la cosa?>, chiede piegando la testa di lato facendo si che i nostri occhi si incontrino.
<Un po'>, rispondo guardando alle sue spalle.
<Bene, perché la seconda parte non ti farà ridere per nulla>, mugugna muovendo le sue mani verso l'alto causandomi qualche piccolo brivido di cui lui si accorge subito.
<In cosa devo aiutarti?>, domando dondolandomi sui talloni.
Mi sembra di essere tornata alla base.
<Devi fingerti la mia fidanzata>, afferma serio.
Sbatto le palpebre un paio di volte e socchiudo le labbra pensando di aver capito male, pensando di avere la mente annebbiata e che le orecchie abbiano per un momento capito una cosa che in realtà non è mai stata detta.
<Eh...cosa?>, balbetto insicura.
<Lo so, è una cosa assurda ma ormai il danno è fatto e devi aiutarmi>, risponde muovendo le dita della mano destra sul tessuto del maglione.
<Perché hai detto una cosa del genere?>, domando curiosa ma anche un po' stranita e scombussolata.
<Uff...non lo so, ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente quando...>, dice bloccandosi d'un colpo.
<Quando...?>, mormoro incitandolo.
<Solo per un giorno, dobbiamo solo far vedere ai miei e a mia sorella che davvero stiamo insieme>, continua senza però avermi risposto.
<Ok...aspetta un attimo>, sussurro passandomi una mano sulla fronte e facendo un passo indietro.
<So che è una richiesta strampalata ma davvero mi serve il tuo aiuto>, ribatte quasi implorandomi staccandosi dalla macchina per venirmi incontro.
<Non posso...cioè, i miei non mi lascerebbero mai venire, soprattutto con te>, dico indicandolo con una mano.
<Cosa ho che non va?>, chiede alzando le sopracciglia e mi fa quasi ridere la situazione che si sta creando.
<Niente, niente>, rispondo subito gesticolando.
Il suo viso si rilassa e continua a camminare verso di me mentre io faccio passi indietro.
<Perché cammini?>, domanda mordendosi le labbra.
<Perché tu non ti fermi?>, chiedo a mia volta infilando le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni.
<Perché ti stai allontanando>, risponde alzando le spalle.
Mi fermo di colpo e quasi mi viene addosso, ma poi si ricompone subito.
<Quindi...? È un si o un no?>, continua tornando sull'argomento precedente.
<È un 'è una cosa impossibile'>, rispondo mimando le virgolette in aria.
<Convincere i miei è un'impresa>, continuo alzando le spalle.
<Posso provarci, cioè ho un certo fascino>, afferma facendomi ridere.
<Non sei d'accordo?>, domanda dandomi una piccola spallata.
<Dico solo che non basterà>, rispondo mentre lui continua ad avvicinarsi troppo, tanto da farmi sbattere la schiena contro uno dei lampioni.
<Torno domani mattina, ok?>, dice posando la mano destra sopra la mia testa avvolgendola al metallo.
<Dove dormirai?>, chiedo poi osservando il bicipite grosso ed il suo viso che mi guarda dall'alto.
<Eh...in macchina, credo...non ho avuto il tempo nemmeno di guardare per un hotel>, risponde mentre io porto le mani dietro la schiena.
<Ti offrirei di dormire sul divano ma credo che a mia mamma possa venire un infarto>, mormoro ridendo anche se vederla impazzire non sarebbe male.
<Tuo padre non sembrava male>, afferma ed io arriccio il naso.
<Nasconde qualcosa, non svegliamo il cane che dorme>, dico soltanto alzando le spalle.
<Quindi è un si, mi aiuterai>, continua posando la guancia sul suo bicipite.
<Scappare da qui un giorno mi serve>, sussurro passando sotto il suo braccio.
<Non diciamogli il motivo, ok?>, dico però camminando verso la porta d'ingresso.
<Le verrebbero i capelli verdi?>, ride seguendomi.
<Inventa una scusa, una scusa convincente>, lo avverto posando la mano sulla maniglia.
<Pensavo che non avresti accettato>, mormora ed io mi ritrovo ad annuire.
<Pensavo che non ti avrei più rivisto>, sussurro voltandomi verso di lui.
<Pensavo che mi avresti abbracciato>, continua facendomi sorridere mentre apro la porta ed infilo un piede dentro.
<Pensavo che tu l'avresti fatto>, ribatto semplicemente osservando i lineamenti del suo viso diventare sempre più rilassati.
<Non ti allontanerai?>, chiede quasi come se già sapesse ogni mio piccolo movimento.
Scuoto il capo e lo vedo avvicinarsi tanto quanto basta per afferrarmi dalla vita e portarmi sul suo petto. Il suo profumo è sempre lo stesso, anche se l'odore di terra non c'è sulla sua giacca. E quell'odore mi manca, mi manca da morire.
Avvolgo le braccia intorno al suo collo e mi alzo sulle punte quando lui posa il viso nell'incavo del mio collo ed inspira profondamente.
<Dovremmo definire un accordo per quando andremo dai miei>, mormora passando le mani su tutta la mia schiena.
<Tipo una sorta di contratto?>, chiedo sfiorando con le dita la sua nuca.
<Si>, risponde soltanto mentre si allontana e le mie mani scivolano lungo le sue braccia grandi.
<Buonanotte Connor>, mormoro afferrando la maniglia.
<Notte Emma>, dice salutandomi con un cenno del capo.
Chiudo la porta guardando le sue spalle muoversi verso la macchina e penso a quello a cui ho appena detto di sì.
<Io non so come si comportano due fidanzati>.

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