Capitolo 27

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I miei occhi si aprirono di scatto schizzando per tutto il soffitto marrone della stanza. La mia pelle percepiva qualcosa di freddo come se una mano gelata e scarna mi sfiorasse il corpo partendo dalla testa e finendo con i piedi. Il panico mi assalí perché temetti che quella sensazione che avevo provato nel sogno fosse reale.
I secondi passavano lenti scanditi dal battito del mio cuore.
La stanza era illuminata dall'intensa luce del sole la quale proiettava su una porzione di muro e di soffitto la figura della finestra, nonostante la palla luminosa non fosse mai visibile nel cielo limpido.
Per una frazione di secondo credetti fosse quella strana luce bianca pronta a calarsi nuovamente sul mio volto per farci chissà cosa di terribile.
Mi tirai su a sedere, azione che sprigionò una fitta alla caviglia destra che era coperta dal lenzuolo. D'istinto strizzai gli occhi evitando per poco di imprecare per la mia mancanza di tatto per il punto dolorante. Mi portai le mani sul volto e quindi stropicciai le palpebre per togliere le ultime briciole di sonno che mi erano rimaste attaccate addosso.
Respirai a fondo convincendomi mentalmente che non mi trovassi piú nel sogno e quindi che fossi al "sicuro", per quanto lo si possa essere in un luogo circondato da mura colossali nelle cui membra alloggiavano creature mostruose.
Mi ributtai nel letto tirandomi di nuovo le coperte fin sopra il naso e girandomi di lato in modo da tenere la caviglia "alzata" e non schiacciata sotto il peso dell'altra, deliziata dall'idea di poter poltrire ancora un po' senza che avessi l'ansia di correre per le scale per evitare di fare tardi a lavoro ed essere rimproverata da Minho.

Oh, già. Il lavoro...

Su ordine di Clint avevo ottenuto la bellezza di quattro giorni di riposo, giusto il tempo per non sentire piú dolore. Da una parte ero contenta di non ritrovarmi dopo mezz'ora con il fiato corto e il sudore appiccicato sulla pelle e i vestiti, la voglia di tornare indietro e sprofondare sul materasso per riposare. Ma soprattutto potevo stare tranquilla quando avrei svoltato l'angolo, perché non mi sarei imbattuta in uno di quei Dolenti. Potevo dormire quanto volevo anche se odiavo passare tutta la giornata con le mani in mano. Dall'altra mi dispiaceva perché in qualche modo non potevo piú contribuire a trovare una via di fuga da questo posto. Non avrei piú corso affianco a Minho e Thomas, alla sera non avrei sentito piú la sensazione di aver fatto, anche se per poco, la differenza; che un giorno, magari non troppo lontano, mi butteró questo periodo alle spalle per vivere una vita migliore e forse ci aspetterà proprio dopo esser usciti dal Labirinto.
Chissà com'era il mondo là fuori? Sicuramente doveva essere migliore di trovarsi chiusi in gabbia senza memoria e con delle lucertole meccaniche che ti tengono sott'occhio magari per conto di qualcuno.
Chissà se avrei mai avuto indietro i miei ricordi? Chissà com'era la mia vita passata? Dal poco che ricordo dai sogni ormai sbiaditi, mi sentivo come imprigionata in una fortezza inespugnabile. L'unica persona che riusciva a farmi stare meglio e a sentire meno il peso di quella situazione, era mia sorella. E lei era qui, con me.

Domande come le precedenti e tante altre mi frullarono nella testa fin quando non furono messi in fuga bruscamente dal cigolio delle assi del pavimento prodotto da dei passi e il rumore di una porta che si apriva lentamente. Tutto quel trambusto mandarono parzialmente in fumo i miei piani. Posai pigramente le mie iridi sulla figura snella che stava entrando. La bionda, notando che la stessi fissando, sobbalzó leggermente forse aspettandosi che fossi ancora addormentata.

"Come stai?" inizió un po' incerta forse non sapendo bene cosa dire.

"Mi fa male la caviglia." mugugnai osservandola sedersi sul materasso vicino alle mie gambe.

"Guarirà." sospiró lasciando che quella parola appena pronunciata si liberasse nell'aria e distogliendo lo sguardo momentaneamente altrove.

Le sue iridi azzurre sembravano coperte da una superficie scura che le privava del loro splendore, della loro energia, della loro vitalità. Scrutandola in quello stato mi parve come se avesse un fardello che si portasse dietro e che fosse impossibilitata di liberarsene. Oppure sembrava che tutta quella situazione le fosse stretta, come se si stesse autoinfliggendo delle colpe che non aveva.

The Maze Runner- Le GemelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora