Capitolo 36

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Con fare ovvio Newt sventoló l'orologio sotto ai nostri occhi. Minho udendo quelle parole e dopo aver letto l'ora, assunse il colorito di un lenzuolo.
Erano quasi le otto di sera e la solita routine della Radura non era stata interrotta dalla familiare chiusura delle porte, cosa che doveva avvenire qualche ora prima. Posai gli occhi sulla fessura delle mura. Pregai con tutta me stessa che le due estremità fossero sigillate come sempre, ma non lo erano. Se ne stavano distanti come se fosse metà pomeriggio. Imponenti e silenziose torreggiavano forse adorando la nostra disperazione.
Non ci volevo credere, le cose andavano come tutti i giorni. Quell'orologio doveva avere qualcosa che non andasse. Era presto, doveva essere così. Magari si era semplicemente rotto e rimasto fermo... No, quell'oggetto funzionava benissimo, avevo visto chiaramente la lancetta dei secondi che camminava sul quadrante.
Perché mi convicevo che fosse tutto nella norma? Sapevo che cosa sarebbe successo se le porte non si fossero chiuse. Lo sapevano tutti, per questo motivo avevano dato di matto. Anche io lo avrei fatto, se solo i miei muscoli non fossero diventati di pietra. Avevo paura di quello che sarebbe successo. Dovevo riconoscere che in quella giornata tutto era andato storto: prima ci svegliammo con il cielo grigio, poi scoprii mia sorella limonare la persona di cui mi ero innamorata e, infine, le porte spalancate per la notte.
Potrebbe andare peggio di così?
Riportai la mia attenzione verso i due ragazzi, guardando inespressiva il biondo mentre discuteva con il Velocista di qualcosa che non ero riuscita a comprendere bene, dato che avevo trovato più interessante esaminare i muri.
Esattamente in quel momento, tra la folla spuntò Thomas che correva trafelato verso una meta a me ignota. Notandolo, all'asiatico gli si illuminarono gli occhi come se avesse trovato la soluzione per un problema.

"Tu, vieni qui." esclamó prendendolo per un braccio e facendolo trasalire non aspettandosi quel contatto.

Cosa ci facevo ancora lí? La presenza di Newt non mi piaceva per niente. Mi sentivo d'intralcio in quella conversazione, volevo andarmene e così feci. Mi voltai senza dire nulla ma dopo un passo, percepii la mano del Velocista stringersi sulla mia pelle.

"Dove credi di andare?" alzò un sopracciglio come se avessi fatto qualcosa che non era nei suoi piani. "Ho un lavoretto anche per te."

"Vuoi coinvolgere anche lei?" gli chiese Newt osservando il mio viso.

Per un piccolo istante temetti che avesse notato i miei occhi arrossati. Avevo smesso di piangere pochi minuti prima, quindi era abbastanza improbabile che i "segni" del pianto fossero già scomparsi. Tentai di non darci molto peso perció mi focalizzai sulla questione, ragion per cui piegai di lato la testa corrugando le sopracciglia per far capire ai ragazzi che non ero riuscita a seguire il loro discorso.

"Beh, più siamo meglio é." ammise Minho. "Quelle piccoline non si muovono mica da sole."

"Beh hai ragione, ma ti sei dimenticato che lo devono sapere meno persone possibili?" sottolineò l'attuale capo.

Minho roteò gli occhi al cielo, forse stufo di sentire altre parole simili invece di passare ai fatti. "Per ora siamo in quattro, giusto?" l'ultima parola la pronunció rivolgendosi a me, ma ancora non riuscivo a capire di cosa parlassero.

Thomas, che si era unito a noi da pochi secondi, non guardava i due ragazzi in modo interrogativo come stavo facendo io, anzi sembrava sapesse benissimo di cosa intendessero. Perché in quel momento mi sentivo così stupida? Perché ero l'unica a non afferrare il concetto?

"Si può sapere a cosa vi state riferendo?" mi intrufolai nel discorso stufa di star a sentire.

La mia voce era abbastanza tremolante, sperai che i ragazzi, eccetto Minho, non iniziassero a chiedermi il motivo. Ci mancava soltanto che Newt usando un tono dolce se ne uscisse con: "hey, ma hai pianto?"

The Maze Runner- Le GemelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora