Capitolo 16

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Scappare.
Questo era tutto quello che mi ripetevo da diversi minuti.
L'unico rumore che rompeva il silenzio surreale erano i pesanti passi sul corridoio.
Finalmente io e Beatrice avevamo trovato l'occasione per evadere da quella immensa prigione. Era bastato un colpo di fortuna e in un baleno la nostra folle fuga aveva avuto inizio.
Finalmente saremo state libere.
Nonostante avessimo il terrore di incrociare altre guardie o il personale, avevamo uno stupendo sorriso sul volto al pensiero di poter lasciare alle spalle quel luogo infernale.
La felicità di quel momento fu presto interrotta dall'unione di altre guardie al gruppo che ci stava già alle calcagna.
Ora erano cinque e sembravano volenterose piú che mai a rinchiuderci di nuovo nella "gabbia", prima eravano riuscite a toglierne di mezzo tre a furia di svoltare nei corridoi ma con l'entrata in scena di altre il vantaggio che avevamo acquisito con fatica era andato a farsi benedire.
Non fecimo in tempo a svoltare a destra che andammo a sbattere contro il petto di un uomo finendo con il sedere per terra.
La guardia ci puntó contro la sua arma minacciando che non ci avrebbe pensato due volte a premere il grilletto se avessimo mosso un solo muscolo.
Guardai mia sorella impaurita, nessuna delle due aveva intenzione di ribellarsi non volendo passare i cinque minuti peggiori della nostra vita.
Nel frattempo ci avevano raggiunto le altre persone dalla divisa scura, l'uomo che aveva fermato la nostra corsa mi prese con poca delicatezza il braccio obbligandomi ad alzarmi.
Una donna prese Beatrice, la quale aveva iniziato a dimenarsi con la speranza di torgliersa di dosso ma tutto quello che riuscí ad ottenere fu una botta in testa dal il calcio della pistola. Per fortuna il colpo non era stato tanto forte da farla svenire ma l'aveva parecchio intontita.
Feci per correre da lei ma la guardia che mi stava stritolando il braccio mi tiró verso la parte opposta.
Il panico prese il sopravvento in me quando ebbi la certezza di quello che mi era passato in mente.
La donna stava portando Beatrice lontano da me.
Iniziai ad urlare il suo nome e solo allora si riscosse dal suo stato di trance incespicando verso la mia direzione.
Ci stavano separando, odiavo stare lontana da lei. Mi sentivo una nullità senza la sua presenza, avevo bisogno di lei. E lei di me. Ci davamo la forza a vicenda, andavamo avanti insieme. E ora me la portavano via.
Mi sentii crollare addoso ogni cosa quando non riuscii piú a vederla.

La stanza era ancora scura quando mi svegliai. Il sonno aveva abbandonato il mio corpo e non sembrava molto intenzionato a tornare, perció come passatempo temporaneo mi misi a fissare il soffitto ovviamente accompagnata dai miei pensieri. Dopo qualche minuto mi misi seduta sul materasso, le mie armi erano sparse sul pavimento accanto agli scatoloni dei vestiti, alle mie scarpe e allo zaino.

La giornata precedente era stata molto intensa, dopo aver letto quelle frasi sulla spada ebbi la certezza che i sogni erano dei ricordi. Come avevo già supposto peró, potevano essere alterati, non affidabili. In quel giorno avevo avuto cosí tante prove che credere ancora che fossero frutto della mia immaginazione voleva dire non accettare la realtà. Presa dalla frustrazione, avevo lanciato per terra prima i coltelli poi la spada e, visto che non ne avevo avuto abbastanza, avevo preso a calci il nuovo scatolone di vestiti che era arrivato quel giorno dalla Scatola. Mi ero messa anche le mani tra i capelli e iniziato a girare per tutta la stanza rischiando di cadere sopra agli oggetti che avevo sparso sul pavimento, se qualcuno mi avesse vista mi avrebbe dato per pazza. E non avrebbe avuto tutti i torti.

Scesi dal letto e mi appoggiai alla parete accanto alla finestra osservando i muri del Labirinto che in quel momento erano piú spaventosi del solito.
Mi strinsi le braccia al petto appoggiando la testa alla parete di legno, le punte dei miei capelli solleticavano i gomiti. Allungai le dita ad esse e le arrotolai stavolta colta da un piacevole ricordo.

Quando si era fatta ora di cena, ero andata a prendere dello stufato dalle cucine per poi gustarmelo in santa pace poco distante. Mi ero divertita ad osservare i ragazzi, per una volta mi ero sentita a mio agio in quel luogo e avevo svuotato la mente dai pensieri. Ad un certo punto vidi Newt e, come se fosse una reazione spontanea, il colorito della mia pelle si coloró inevitabilmente di rosso. Il ragazzo venne nella mia direzione con un'andatura traballante, per la prima volta da quando lo conoscevo notai che zoppicava. Mi ero sentita un po' scema, lo conoscevo da una settimana e non mi ero mai rensa conto della sua camminata. Non appena il biondo mi raggiunse, mi salutó con un sorriso.

The Maze Runner- Le GemelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora