Fase Tre

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I giorni passavano in fretta.

Angel e Jack erano diventati inseparabili. Sebbene uno avesse quasi sette anni e l'altra fosse decisamente più matura, si adoravano. Jack amava giocare con lei ai supereroi: lui feceva Spider-Man, mentre il ruolo di Angel variava: poteva essere o la super cattiva o la donzella in difficoltà.
Quando interpretava la donzella da salvare, era Hotch ad interpretare il supercattivo. Ed era il compito di Jack salvarla, vestito con il suo costume da Spider-Man.

"Spider-Man, aiuto!" implorò Angel rivolgendosi al bambino, mentre veniva tenuta stretta dalle forti braccia di Hotch. L'abbracciava da dietro, minacciandola con un'arma letale: una barretta di cioccolato fondente puntata alla tempia.

"Ah-ah! Non riuscirai a liberarla Spider-Man!" disse Hotch con particolare enfasi.

"Questo è quello che credi tu, brutto cattivo!" ribatté Jack, calatosi completamente nel ruolo.

Ad Angel scappò una risatina.

"Non sei molto professionale" rise Hotch sussurrandole all'orecchio.

"Parla colui che mi minaccia con una barretta energetica"

Ridacchiarono entrambi.
Il Baby-Spider-Man lanciò una delle sue ragnatele (in pratica un meccanismo diabolico riempito d'acqua, utilizzato per simulare le ragnatele) e colpì il cattivo, che stramazzò al suolo molto drammaticamente.
Il prode supereroe si accostò ad Angel, che si inginocchiò alla sua altezza.

"Oh Spider-Man, mi hai salvato la vita!" disse sorridendo. Gli diede un piccolo bacio sulla guancia, al quale Jack rispose con un largo sorriso e una risatina.

"Spider-Man è sempre qui per aiutarti! Oh, un'altra emergenza!"

Questo voleva dire che Jack era pronto per un altro round di gioco.

"Hai ragione. Emergenza denti e pigiama"

Disse un Hotch che, rialzatosi, si stava asciugando la faccia dall'acqua. Era stanco morto: la domenica era il suo giorno libero, giorno che passava interamente con Jack, portandolo fuori a fare lunghe passeggiate o portandolo al cinema. Hotch tornava a casa più stanco di quanto non tornasse durante la settimana, ma non gli importava. Si faceva in quattro per il figlio, in ogni occasione e non perdeva nemmeno un minuto con lui.

Adesso che c'era anche Angel, le cose erano cambiate. Era lei ora che stava con Jack durante il giorno, dato che la Strauss aveva preferito che lei lavorasse da casa, per evitare di portare eventuali pericoli esterni all'interno del Berou.
Non che Angel né Jack se ne lamentassero. Angel gli stava insegnando a leggere, nonostante Jack avrebbe iniziato la scuola di lì a poco. Il bimbo adorava le storie che Angel gli raccontava: per lo più miti di ogni cultura conosciuta ad Angel, come quella giapponese, americana, inglese, greca e romana. Miti sugli dei antichi, ma gli raccontava anche le parabole del Vangelo, per insegnargli la compassione e la capacità di perdonare.

Una mattina, Angel si alzò di buon mattino. Si fece una doccia calda e si vestì, facendo bene attenzione a non fare troppo rumore per non svegliare Jack.
Si guardò allo specchio. I capelli erano cresciuti un po' arrivando dopo la clavicola, poco sopra al seno. Aveva un viso magro ma non troppo, con gli zigomi segnati e un naso normale. Le labbra di grandezza media, di un dolce rosa.
Gli occhi, ancora un po'arrossati dall'acqua, erano sempre gli stessi. Azzurro glaciale. Facevano quasi impressione da quanto erano freddi. Di certo non erano inespressivi, ma Angel li trovava troppo... Chiari. Di un colore troppo freddo e distante.

"Sono meravigliosi, invece."
Le prese dolcemente il mento con due dita e lo alzò quanto bastava per incatenare i suoi occhi a quelli dell'amata.
"Ti sembrano freddi, ma in realtà sono la cosa più bella di questo mondo. Quando li guardo, mi sento a casa. Sempre, quando ti ho con me, sono a casa. Non importa dove, l'importante è che ci sia tu"

Il pericolo d'amareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora