Daichi, insieme alla nonna, arrivò al giardino privato dell'ospedale. Il parco era ampio, con le panchine ai lati del sentiero che si districava tra gli alberi spogli e una fontana con l'acqua ghiacciata a decorare il centro di una piccola piazza.
Il moro alzò il viso verso il cielo, lasciando che il mento si svestisse della sciarpa, e inspirò l'aria fredda invernale. Era il due gennaio e l'inverno era praticamente appena cominciato. Quella stagione, che accorciava le giornate, facendo giungere il buio prima del dovuto, che includeva il suo compleanno, il Capodanno e il Natale, era forse la stagione che lui odiava di più.
Sospirò e guardò la nuvoletta bianca, appena liberata dalla sua bocca, disperdersi nel cielo chiaro.
-almeno c'è il sole- pensò il moro mentre aiutava la nonna a sedersi sulla panchina, perché lei di rimanere sulla sedia a rotelle come una malata non ne aveva l'intenzione. Quella donna, nonostante la vecchiaia, non aveva perso una briciola del proprio carattere.
Il ragazzo si strofinò i palmi delle mani sui jeans e si rese conto di non aver indossato i guanti dopo esser uscito dalla palestra. Li cercò nello zaino, quasi freneticamente, come se, il non averli indossati, fosse stata la causa di quella rivelazione sul ragazzo proprietario di quell'indumento.
Quando li trovò, sospirò di sollievo e se li infilò, percependo di nuovo il calore espandersi sui suoi palmi infreddoliti. Spostò la propria attenzione su una coppia di giovani ragazzi che camminava, lei con le stampelle e lui con le mani tese nella sua direzione, come se si aspettasse che da un momento all'altro potesse cadere.
Un altro ragazzo invase la sua visuale, alto, corporatura longilinea, capelli che uscivano in piccole ciocche castane da sotto il cappellino di lana azzurro con il pompon. Indossava dei jeans attillati e una giacca pesante bianca con una fantasia astratta, azzurra come il cappello. Sembrava preso dal cellulare che teneva in mano, digitava freneticamente e sbuffava, come se stesse discutendo con qualcuno tramite messaggi.
"i giovani d'oggi non conoscono la bellezza di una conversazione viso a viso" la voce della nonna lo riportò sulla terra, si voltò a guardare l'anziana seduta accanto a lui e, istintivamente, si tolse la giacca per avvolgerla intorno alle strette spalle di lei. La nonna lo ringraziò con gli occhi e poi tornò a guardare quello stesso ragazzo che aveva attirato l'attenzione del nipote.
"siete sempre così presi da quei cosi che vi perdete le espressioni e le emozioni sul viso della persona con cui parlate"
Daichi abbassò la testa colpevole. Anche lui, come il resto dei ragazzi della sua generazione, passava le ore con gli occhi incollati allo schermo del cellulare, non poteva farne a meno, lui preferiva scrivere messaggi piuttosto che chiamare, preferiva poter pensare a lungo prima di rispondere. Tornò a guardare la nonna al suo fianco e sospirò circondandola con un braccio e stringendola contro il proprio fianco.
"lo so nonna, non ti sei mai persa una mia emozione in ventisette anni" disse sorridendo verso le poche nuvole candide che si erano andate ad accumulare intorno al sole luminoso. La strinse ancora contro il proprio fianco, cercando di memorizzarne il profumo, le espressioni e i movimenti che faceva con le dita.
Quando tornarono in stanza, ormai il sole stava calando lasciando che il cielo si tingesse di rosso. Daichi lasciò la nonna stanca nel letto e la salutò dandole un bacio sulla guancia, altro gesto che rallentava per farlo durare il più a lungo possibile.
Si chiuse la porta dietro le spalle e sospirò tenendo la schiena adesa all'anta di finto legno. Non sapeva bene cosa fare a quel punto, non era eccessivamente stanco, nonostante si fosse allenato con Tanaka, anzi aveva un'energia in più in circolo nel corpo perché quel giorno la nonna stava meglio e lui si sentiva sollevato.
Si incamminò lungo il corridoio e cominciò a cercare le cuffiette in tasca; le trovò aggrovigliate, manco ci si fosse impegnato per annodarle in quel modo, e cominciò a provare a venirne a capo. Il pavimento tirato a lucido faceva cigolare le sue scarpe e le porte, alcune aperte e altre chiuse, davano visuale su sprazzi di vite rese difficili dalle malattie. Cercava di non guardare mai oltre le porte aperte, si tratteneva perché sentiva che non fosse giusto sbirciare nel dolore altrui.
Arrivò all'ascensore, spinse il pulsante e riprese a snodare le cuffie che, contro ogni logica, si erano impicciate ancora di più. Sbuffò rimettendole in tasca, sentì il suono dell'ascensore e entrò concentrandosi sul binario sul quale scorreva la porta in acciaio. Quando superò il limite dell'ascensore vide i piedi di qualcun altro superarlo nella direzione opposta. Alzò la testa e si girò, giusto in tempo per vedere il ragazzo dai capelli grigi voltarsi verso di lui e alzare la mano.
Preso da una sensazione strana a livello dello stomaco, si sporse in avanti, senza riflettere su ciò che stava per fare. Bloccò con la mano la porta scorrevole che si stava chiudendo e mise un piede su quel binario, che poco prima stava osservando, per impedire alla porta di chiudere l'ascensore.
"aspetta" disse quasi senza voce quando il grigio aveva accennato a voltarsi per andarsene. Sugawara tornò a guardare curioso il moro, sembrava che nei suoi occhi ci fosse un misto di incomprensione e serenità.
"perché ti incontro sempre in ospedale?" chiese preso dall'ansia Daichi, che nel frattempo aveva dovuto fare forza con la mano un paio di volte quando la porta aveva accennato a muoversi.
"credo tu lo sappia" disse sinceramente il grigio. Aveva quel modo di parlare che riusciva a disarmare Daichi. Come se a ciò che diceva non ci potesse essere risposta, come se ciò che si lasciava sfuggire fosse sempre un'ovvietà.
"perché non me lo hai detto?" il moro aveva il fiatone, come se avesse corso. La sola presenza di quello sconosciuto gli faceva provare odio, rispetto, invidia, felicità. Lo mandava in confusione e non poteva farci nulla, tranne informarsi sulla sua vita, forse in quel modo avrebbe posto ordine nella mente.
"perché avrei dovuto?"
"sapevi che ci saremmo incontrati qui, sapevi che venivo a trovare qualcuno"
"erano supposizioni, non mi interessava davvero riavere il cappello"
"guanti"
"quello che è. Ero più interessato a rincontrare te" l'espressione del grigio mutò di poco e divenne quasi seria, ma per il moro era comunque imperscrutabile, al limite del comprensibile.
"che hai?" chiese, pentendosene subito dopo aver posto quella domanda fin troppo personale e diretta. Si morse la lingua, avrebbe voluto poter ritirare ciò che aveva appena detto, ma Sugawara stava già rispondendo, immutabile nel modo di parlare.
"ti interessa conoscere la malattia o ti interessa conoscere me?"
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Before you go
Fanfiction"ti interessa conoscere la malattia o ti interessa conoscere me?" "te" Daichi non dovette pensarci. »DaiSuga« Avvertenze! è una angst, ciò vuol dire che potreste piangere leggendo... #1 in DAISUGA (15/11/20)