-31- ultime parole

622 81 75
                                    

Dopo due ore, Daichi si trovava ancora seduto sulle sedie in fila presenti in corridoio. Le lacrime si erano consumate e con loro anche la sua forza, fisica e mentale. Teneva lo sguardo basso, su quel pavimento lucido che sapeva non avrebbe rivisto per lungo, lungo tempo.

Entrarono nella sua visuale un paio di scarpe da ginnastica, sollevò lo sguardo ed incontrò quello afflitto del medico personale di Sugawara. Rimase impassibile, non mutò la propria espressione apatica. Non provava più nulla, o così sperava.

Abbassò di poco la propria attenzione, facendola ricadere su una busta di plastica trasparente, sigillata, che il medico teneva in mano. Tornò a guadare negli occhi quel giovane dottore, facendo caso che riportava dei leggeri segni rossi appena sotto la rima palpebrale, segno che aveva pianto fino a poco prima.

Inspirò mandando dentro i polmoni l'aria rarefatta dell'ospedale. Non distolse l'attenzione dal medico, sembrava dovesse dirgli qualcosa, ma allo stesso tempo sembrava stesse cercando le forze per parlare.

-strano, un medico che si è dimenticato di mantenere un distacco dal paziente-

I loro occhi si scrutavano a vicenda, entrambi riportavano sul volto i segni di chi aveva sofferto e fingeva di stare bene. Le labbra screpolate del medico si sfessurarono, forse aveva trovato il coraggio di parlare a quel ragazzo.

Il moro attese qualche altro secondo e poi rilassò ulteriormente le spalle, come a voler mettere a suo agio il medico.

"queste sono le cose di Sugawara" la voce gli uscì flebile al giovane dottore. Tirò su la mano con cui reggeva la busta di plastica trasparente. Dallo sforzo sembrava pesare diversi chili, ma in realtà lo sforzo era causato solo dalla stanchezza, dovuta alla sofferenza.

"erano..." lo corresse il moro, che si alzò in piedi ed afferrò la busta. Era pochi centimetri più alto del medico, ma sentiva l'enorme differenza di esperienza che li distingueva "...lui non c'è più" si girò dando le spalle al giovane dottore e si incamminò verso la fine del corridoio, di vedere la porta della stanza del grigio, ormai chiusa, non ne poteva più.

Giunse di fronte all'ascensore, sentì le ginocchia tremare, il pulsante era lì, a pochi centimetri eppure non riusciva a premerlo. Era una cosa semplice, doveva solo allungare il braccio e premere un dannatissimo pulsante, anche i bambini ne sono capaci.

Inspirò a scatti, la trachea bruciò, la mano si mosse, ma ad una lentezza esasperante, stava per sfiorare con il polpastrello il pulsante.

"bei guanti"

Si voltò di scatto, aveva sentito una voce, la sua voce, e tutto gli fu chiaro, lui quell'ascensore lo aveva preso quasi sempre con il grigio. Ogni volta lo aveva incontrato o dentro o in prossimità di quel mezzo. Ritrasse la mano, la chiuse a pugno e sbatté il piede a terra percependo una scossa partirgli dal tallone e percorrergli la gamba.

Le porte si aprirono con il suono del campanello, alzò lo sguardo rapidamente e per un attimo intravide il viso del grigio sorridergli, ma quando mise a fuoco si accorse essere solo un ragazzo con lo sguardo fisso sullo schermo del cellulare.

Diede le spalle all'ascensore e corse in direzione delle scale, non gli importava, le aveva sempre evitate per non incontrare gente afflitta, ma in quel caso, quel giorno, era lui ad essere una di quelle persone che lui avrebbe voluto evitare.

Arrivò all'esterno dell'imponente edificio, l'ospedale alle sue spalle sembrava deriderlo, quasi fosse un bullo che si divertiva a vederlo soffrire. Riprese a camminare quando i polmoni si riuscirono a riempire di nuovo con quell'aria fredda, si lasciò alle spalle l'odore di disinfettante e garze sterili, quell'odore pungente che aveva cominciato ad associare a Sugawara, involontariamente, perché lui in realtà avrebbe voluto ricordarlo con la fragranza della vaniglia.

Before you goDove le storie prendono vita. Scoprilo ora