-17- è solo un posto

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[perché il serpente è coraggioso?]

Daichi estrasse di nascosto il cellulare. In ufficio non avrebbe dovuto usarlo, ma il lavoro era noioso e la possibilità di distrarsi grazie a un messaggio improvviso era invitante. Lesse la domanda e non gli ci volle molto per capire chi fosse stato a mandarglielo.

Per la prima volta provò a rispondere ad uno stupido indovinello di Sugawara. Ci pensò un paio di minuti e poi scrisse il messaggio, sempre tenendo il cellulare sotto la scrivania, lontano da occhi indiscreti che avrebbero potuto far la spia con il capo.

[perché è velenoso?]

Si poggiò il cellulare in bilico sulla coscia, tornò a picchiettare le dita sulla tastiera del computer fingendo di lavorare e intanto attendeva impaziente un nuovo messaggio che potesse distrarlo e far passare il tempo un po' più velocemente.

[Perché ha il sangue freddo]

Si lasciò sfuggire un risolino, che nascose subito dietro la mano. Chinò la testa in modo tale da farsi coprire dallo schermo del pc e digitò un nuovo messaggio.

[dovevo immaginarmelo]

Spinse il pulsantino di lato e guardò lo schermo diventare nero all'improvviso. Non si aspettava ulteriori messaggi, non aveva dato modo al grigio di continuare una qualsiasi conversazione e aveva deciso che fosse giusto così, lui non voleva continuare a parlarci, sapeva che sarebbe stato doloroso.

Prese il mouse, aprì delle schede e riprese il lavoro che aveva interrotto. Ogni tanto sbuffava piano, quando poi la stanchezza prendeva il sopravvento si alzava e andava alla macchinetta dove prendeva un caffè amaro per cercare di riprendersi.

Le palpebre si fecero pesanti, iniziò a vedere doppio lo schermo del computer e decise che fosse arrivato il momento di alzarsi e sgranchirsi un po' le gambe indolenzite. Poggiò le mani sul bordo della scrivania, si diede una spinta indietro e fece scivolare la sedia con le ruote sul pavimento macchiato.

Si incamminò verso l'angusto ufficio adibito a cucinino per le pause. Quella stanzetta era l'unico luogo dove fosse ammesso tirare fuori il cellulare e svagarsi un po'. Di solito lui ci andava a prendere solo il caffè, non si fermava mai a parlare con nessuno, non gli piaceva interagire con i colleghi e gli impiegati di quel luogo di lavoro, per lui erano tutti troppo eccessivi nei loro modi di raccontare la propria vita, come fossero protagonisti di un film d'avventura.

Si affacciò nella piccola stanza, presentava un lavandino, un frigo basso, dove tutti riponevano i propri portapranzo, un tavolo centrale, macchiato di caffè, e un paio di macchinette che erogavano varie tipologie di bevande calde.

Inserì le monete, preferiva smaltire quelle di piccola dimensione, che di solito si perdono all'interno del portafogli, così ne mandò giù cinque invece di una sola grande. Si concentrò sui pulsanti luminosi e gli venne in mente l'ascensore dell'ospedale, era una vita che non lo prendeva e ogni volta che vi era salito era stato in compagnia del grigio.

Scosse la testa e avvicinò il dito al disegno della tazzina da caffè, azzerò la linea dello zucchero, a lui piaceva amaro, e attese che la macchinetta suonasse la fine dell'erogazione del suo amaro premio.

La tasca del pantalone vibrò, afferrò il bicchierino con una mano e con l'altra sfilò dalla tasca il cellulare sbloccandolo grazie all'impronta digitale. Sollevò un sopracciglio nel leggere il messaggio e poi rimise via il cellulare, intenzionato a non rispondere subito.

[ti va di vederci?]

Tornò alla propria scrivania, il caffè era finito nel giro di un paio di sorsi e il bicchierino era finito nel cestino ai piedi della sedia girevole. Si sedette mandando indietro la testa, non aveva idea di come rispondere nel modo più gentile possibile reclinando l'invito. Lui non riusciva a pensare di rimettere piede in quel posto.

Si portò una mano alla testa e fece scorrere le dita tra i capelli scuri. Sospirò chiudendo gli occhi e poi riprese il cellulare, deciso a fare ciò che riteneva più giusto per se stesso.

[mi dispiace, oggi non posso, devo lavorare tutto il giorno]

Una bugia a fin di bene si ripeteva mentre con la mente cercava di concentrarsi sul lavoro, che doveva essere la sua priorità in quel momento.

Tornò la sera, la casa vuota e fredda sembrava opprimerlo e le luci artificiali gli mettevano solo più malinconia del solito. Voleva riposarsi, ma soprattutto frenare la mente che da tutto il giorno continuava a tormentarlo con i sensi di colpa. Aver rifiutato di andare a fare visita a un amico era grave, ma aver rifiutato di andare a far visita a un malato lo faceva sentire sporco e crudele.

Si lasciò cadere sul divano, quel comodo mobile del salone che aveva condiviso proprio con Sugawara mentre in televisione era andato in onda il film Le pagine della nostra vita.

Gli occhi gli caddero sul peluche che non aveva spostato da lì, quel piccolo pupazzo di pezza che per lui non aveva alcun significato. Ancora si chiedeva che senso avesse presentarsi a casa di qualcuno con quel genere di regalo. Lo prese in mano, lo strizzò tra le dita constatandone la morbidezza e poi lo ripose sul cuscino, in prossimità del bracciolo.

-è solo un posto, solo un edificio-

Cercava di convincersi che l'ospedale non rappresentasse nulla più che un semplice e banalissimo edificio, ma, ogni volta che pensava alla grande porta a vetri che dava sulla hall dell'ospedale, veniva scosso da brividi e l'immagine della cornice con all'interno la foto della nonna, ben posizionata davanti alla bara di legno lucido, gli chiudeva la bocca dello stomaco e gli faceva venire la nausea.

No, lui non poteva recarsi di nuovo in quel posto, mai ci avrebbe rimesso piede, soprattutto se era per andare a far visita a qualcuno che probabilmente non sarebbe più uscito da quell'edificio.

-forse la tua malattia non è così grave come mi sto immaginando. Magari ti dimettono da un giorno all'altro-

Si portò una mano sugli occhi e provò a illudersi che quel pensiero potesse rivelarsi realtà. Un risolino sarcastico, al limite del malinconico, invase il salone e scosse il suo corpo seduto.

-è solo questione di tempo e mi dimenticherò di te-

Before you goDove le storie prendono vita. Scoprilo ora