-29- perché sono qui?

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Passare davanti l'ospedale era diventato doloroso, percorrere quei corridoi era diventato malinconico ed entrare in quella stanza era diventato inutile.

Daichi Sawamura, riteneva inutile presentarsi tutti i giorni in quella stanza d'ospedale, eppure, alle cinque del pomeriggio, si trovava sempre lì, con sguardo perso ed espressione assorta. Lui lo riteneva inutile, ma non riusciva a farne a meno.

Da quel giorno utopico di lucidità ne erano passati altri venti e del vecchio Sugawara nemmeno l'ombra.

Mancavano dieci minuti alle cinque e Daichi si trovava fuori della porta della camera che ospitava un ragazzo stanco, dalle occhiaie profonde, la mente confusa, lo sguardo spento e i capelli argentati. Quel paziente non era più Sugawara Koushi, era un semplice sconosciuto che lui andava a trovare per dargli man forte in quell'ultimo periodo di lotta.

Guardò l'orologio a muro attaccato sulla parete del corridoio, lo fissò finché la lancetta dei minuti non raggiunse il dodici in alto, portando con sé anche il movimento della lancetta corta delle ore. Erano scattate le cinque e lui doveva varcare quella soglia.

Dolore, ecco cosa l'attendeva oltre quella porta, un silenzioso dolore, la consapevolezza che quelle condizioni di quel suo amico erano, forse, anche peggiori della morte stessa.

Entrò, le scarpe da ginnastica cigolarono sul pavimento lucido, si riempì i polmoni con quell'aria stantia e alzò lo sguardo. Il grigio stava sdraiato sul letto, fissava il soffitto bianco e respirava piano. Il viso candido rifletteva la luce fioca del comodino e le mani erano aperte, distese sul lenzuolo chiaro quanto la sua pelle.

Il moro si avvicinò, si posizionò comodo sulla sedia di legno e poggiò i gomiti sulle proprie gambe, andando ad incurvare la schiena e a poggiare la bocca sulle dita incrociate.

Quel ragazzo, dai tratti delicati, il carattere spensierato e i capelli color del fumo, aveva quasi smesso di parlare, non comunicava più con nessuno, né medici, né infermiere, né tantomeno con lui, che andava a trovarlo ogni santo giorno.

"ciao Sugawara, sono sempre io, Daichi Sawamura. Oggi la mia giornata è stata esattamente identica a quella di ieri e immagino che anche la tua sia stata uguale..." Alzò di poco lo sguardo, si accertò che il grigio fosse ancora con lo sguardo puntato sul soffitto e riprese a parlare, abbassando nuovamente la propria attenzione.

"...Yaku e Oikawa mi hanno detto che sono passati qui ieri, ti hanno trovato anonimo, carattere che non si addice per niente a te..." controllò una seconda volta, ma il grigio non aveva accennato nemmeno un movimento, le palpebre mezze calate e le pupille fisse verso l'alto.

Il moro guardò il fondo del letto, lì era stata piegata la coperta con i pinguini, quella che lui aveva portato al grigio dopo aver scoperto quanto gli piacesse. Insieme alla coperta era piegata anche la felpa blu e in cima a tutto c'era un cappello, quello che Sugawara gli aveva chiesto in prestito la prima volta che erano andati insieme al ristorante di Yaku. Sospirò lasciando che il proprio fiato caldo riscaldasse le mani intrecciate.

-quante cose mie che ti sei preso-

Tornò a guardare il pavimento davanti a sé, non le aveva mai richieste indietro. Ogni volta che il grigio gli aveva chiesto se volesse riprenderle, gli aveva sempre risposto che poteva tenerle finché gli fossero servite. Si lasciò sfuggire un risolino malinconico, si sentì un idiota, il grigio, freddoloso com'era, non avrebbe mai potuto fare a meno di quelle cose.

Si portò una mano alla fronte, era leggermente imperlata di sudore, nonostante fuori ci fossero giusto un paio di gradi, in quella singola camera si moriva di caldo. Si lasciò sfuggire una seconda risata piena di malinconia.

-probabilmente avevi chiesto te di alzare le temperature e poi hai smesso di parlare, di fare richieste, e le infermiere avranno deciso spontaneamente di continuare a farti il favore di creare un clima tropicale in camera tua-

"...non senti caldo?"

Guardò interrogativo il ragazzo sdraiato, sapeva che non gli avrebbe mai risposto, ma continuava a parlargli, a porgli interrogativi, nella speranza che prima o poi avrebbe risentito la sua voce, anche se roca perché non formulava frasi compiute da diversi giorni, anche se flebile per la stanchezza, a lui sarebbe bastato sentire un paio di sillabe, non chiedeva molto.

Attese qualche secondo, ma, dopo aver constatato che non avrebbe ricevuto alcuna risposta, lasciò cadere la fronte sulle proprie mani, ancora intrecciate strette tra loro, e sospirò rumorosamente.

"...perché mi ostino a venire qui? Perché continuo a farmi del male? Per te non sono nessuno, allora perché sono qui?"

Non voleva davvero dare voce a quei pensieri crudeli, sapeva che, se il grigio avesse avuto la capacità di parlare, gli avrebbe risposto che era ingiusto, che il suo comportamento non era degno di un vero amico, ma, con il passare dei giorni in silenzio radio, aveva cominciato a convincersi che, oltre a non parlare, il grigio non lo ascoltava nemmeno.

-che idiota che sono, probabilmente hai smesso di ascoltare i miei monologhi tanto tempo fa-

Si alzò da quella sedia scomoda, si sgranchì la schiena inarcandola e sollevando il viso verso quel soffitto che attirava tanto l'attenzione del grigio.

Tirò fuori il cellulare, lo sbloccò per controllare se avesse ricevuto qualche messaggio, rimase un istante a vedere il nuovo sfondo, una scena tratta dal film Le pagine della nostra vita, e roteò gli occhi. Incredibile quanto quel film fosse compatibile con la vita del grigio.

-sembra che quasi sapessi quale sarebbe stata la tua sorte-

"mmh" un verso sommesso lo fece risvegliare dai propri pensieri. Si girò di scatto e trovò Sugawara con gli occhi aperti verso lo schermo del suo cellulare, con un dito puntava quell'immagine e con la bocca impastata sembrava stesse cercando di comunicare.

"l'hai riconosciuto, vero?" il moro portò il cellulare vicino al viso del più basso e gli mostrò meglio l'immagine "questo film lo detesto, lo sai? Ormai lo odio con tutto me stesso. Ti starai chiedendo perché mai io abbia messo come sfondo proprio una scena di quel film..." lanciò un'occhiata in direzione del grigio e quello ricambiò lo sguardo. Le occhiaie erano mostruosamente scure, sembravano due lividi a forma di mezzaluna, ma in qualche modo mettevano in risalto la lucidità degli occhi "...perché mi ricorda te e mi fa sperare in un colpo di scena finale"

Sugawara abbassò la mano, che ancora puntava lo schermo luminoso del cellulare, e deglutì chiudendo gli occhi.

"vuoi rivedere quel dannato film, non è vero?" chiese esausto il moro, ma, in qualche modo, la speranza, l'impazienza di ricevere una qualsiasi risposta, lo stava mangiando vivo, lo faceva fremere per l'ansia.

Sugawara mosse piano la testa, sembrò annuire al moro e poi poggiò la guancia contro il cuscino, rimanendo voltato verso il cellulare.

Daichi cercò il film su di un sito internet e lo fece partire, sapeva che per due ore e quattro minuti sarebbe dovuto rimanere con il cellulare in mano, ma non gli importava, il grigio in qualche modo si era espresso e, come era ovvio, aveva chiesto di vedere ancora una volta Le pagine della nostra vita.

Ogni tanto Sugawara allungava la mano verso il piccolo schermo, come se potesse arrivare agli attori, accarezzarli, consolarli, si capiva bene che comprendesse il loro dolore, sembrava empatizzare con i protagonisti.

Quando arrivarono i titoli di coda, il moro si voltò verso Sugawara e sorrise debolmente. Il grigio aveva gli occhi lucidi e sulla guancia, quella non premuta contro il cuscino, scorreva una lacrima. Quella lacrima venne asciugata da Daichi con un movimento delicato, gentile, del pollice sullo zigomo sporgente del grigio.

Quella sera se ne andò con il peso sullo stomaco un po' più leggero, aveva fatto provare un'emozione al grigio e ciò voleva dire che ancora fosse lì, che fosse ancora vivo e presente. Ogni tanto doveva stringergli il polso, come per ricordarsi che fosse ancora saldo nella sua presa, ma certe volte quella sensazione contro il suo palmo non bastava per convincerlo. Il fatto di averlo visto piangere gli aveva dato la certezza che fosse ancora lì con lui, che non se ne fosse andato del tutto.

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