-8- io posso volare

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Il moro e il grigio si incamminarono e, mentre salivano sul marciapiede, Suga si passò la mano sulla testa, dove indossava il cappello di Daichi, e storse la bocca.

"preferisco i cappelli con il pompon" sbuffò piano e sprofondò le mani nelle tasche della giacca. Incurvò la schiena e rimase con un'espressione accigliata. Arrivarono di fronte all'ospedale e si guardarono perplessi.

"tu vivi qui?" chiese il grigio indicando il grande edificio alle sue spalle. Era una domanda retorica, non necessitava di una risposta, ma Daichi, preso alla sprovvista, rispose senza pensare.

"certo che no" dopo aver finito di parlare, si tappò la bocca con la mano, percependo sulle labbra il tessuto morbido dei guanti di Suga. Si sentì in colpa per quell'affermazione, lui non aveva idea se il grigio effettivamente dovesse tornare lì a dormire, attese una qualche risposta sputata con rabbia, ma il grigio alzò semplicemente le spalle e guardò di lato.

"io nemmeno" disse riprendendo a camminare nella direzione opposta all'entrata dell'ospedale. Il moro lanciò un'occhiata veloce a quell'edificio imponente e poi raggiunse Sugawara che si era distanziato di un paio di metri, gli si avvicinò furtivamente e, cercando di non farsi notare, lasciò scivolare le banconote all'interno della tasca della giacca nell'esatto momento in cui il grigio si era portato la mano a strofinare il naso infreddolito.

"e perché mi hai condotto fino all'ospedale?" chiese incuriosito al grigio.

"abitudine?"

L'aria della notte si fece più fredda e arrivò il momento di salutarsi per i due ragazzi che, incapaci di decidere un modo normale per due sconosciuti di augurarsi buona serata, si strinsero nelle spalle e si voltarono all'unisono.

Daichi stava camminando con la testa china e gli occhi mezzi chiusi, sentiva il vento seccargli e freddargli gli occhi ed era una cosa che odiava. Ad un certo punto si portò la mano alla fronte e si accorse di non avere il cappello.

"oh no, mi sono dimenticato di chiedergli indietro il cappello" guardò la mano coperta dal guanto verde bottiglia e sospirò, lasciando che la nuvoletta bianca si frapponesse tra lui e la mano.

Non aveva idea se l'avrebbe rivisto o meno quel ragazzo, non aveva modo di contattarlo o di chiedere a qualcun altro sue informazioni. Tutto ciò di cui era a conoscenza era il nome e il fatto che avesse una qualche malattia, di cui però non era a conoscenza della gravità.

Arrivò a casa, si trascinò fino in camera e si sdraiò nel vano tentativo di togliersi di dosso quell'angoscia che l'aveva accompagnato per tutto il giorno da quando era venuto a sapere che il grigio si recava in ospedale perché non stava bene.

"potrei andare al ristorante, sicuramente il cuoco ha il numero di Sugawara" disse tra sé e sé mentre si rigirava sotto il piumone e provava ad addormentarsi.

La luce si fece strada tra le fessure della tapparella e disegnò piccoli cerchietti sulla parete di fronte. La sveglia suonò e il moro la spense senza nemmeno guardare l'orario. Quando prese il cellulare trovò diversi messaggi di Tanaka e in un primo momento si preoccupò, ma poi li lesse e si rese conto che erano solo una serie continua di "giochiamo a pallavolo?". Sorrise e si sdraiò supino fissando il soffitto.

Quel periodo senza lezioni e senza lavoro lo stava lasciando libero di pensare un po' più a se stesso, ma la situazione con la nonna non era per niente leggera e l'insistenza degli amici a volerlo far uscire per farlo distrarre era, forse, anche peggio. L'unico che in quel periodo poteva sopportare era Tanaka, che non era cambiato affatto, era rimasto lo stesso di sempre, genuino ed energico.

Decise che per quel giorno sarebbe andato a fare un saluto alla nonna prima di recarsi alla vecchia palestra, giusto per accertarsi che stesse andando tutto bene. Aveva un brutto presentimento e sicuramente, se non fosse andato in ospedale, non sarebbe riuscito a concentrarsi sul pallone o la rete.

Arrivò all'ospedale e salutò l'infermiera all'entrata, non era la stessa che di solito incontrava nel pomeriggio, ma la conosceva abbastanza bene. Lei ricambiò il saluto con un sorriso caloroso e poi tornò con lo sguardo sulle scartoffie che teneva in mano.

Daichi giunse all'ascensore e sentì una voce lontana che urlava chiedendogli di tenerlo aperto. Si girò in tempo per vedere il ragazzo dalla chioma color fumo correre verso di lui e fiondarsi all'interno dell'ascensore.

"g-grazie" disse il grigio riprendendo fiato e piegandosi su se stesso portando le mani alle ginocchia. Aveva la fronte leggermente imperlata di sudore e le guance paonazze. Daichi gli si avvicinò e lo osservò con curiosità.

"non dovresti stancarti in questo modo" disse leggermente preoccupato. Notò lo sguardo di Sugawara fulminarlo e si tirò indietro.

"ho solo ventisette anni, posso fare quello che voglio"

"ma tu s..."

"non sai nulla sulla mia malattia, posso correre, saltare, arrampicarmi e volare"

"volare?"

"certo, volare"

Il moro strinse la bocca in una linea retta e guardò il grigio portandosi le mani sui fianchi. Inclinò la testa e pensò a cosa rispondere. Gli aveva parlato con un tono che non gli piaceva, ma forse anche lui non avrebbe dovuto provare a tirar fuori le condizioni fisiche di un ragazzo che conosceva a malapena.

"siccome puoi correre e saltare, che ne dici di venire con me oggi a giocare a pallavolo?" non seppe perché se ne fosse uscito con una proposta del genere, non sapeva nemmeno se fosse vero che quel ragazzo poteva stancarsi, ma attese comunque la risposta, rimanendo con le mani sui fianchi e cercando di non pensare al movimento dell'ascensore che gli faceva venire mal di testa.

Sugawara allargò gli occhi che gli si illuminarono e cominciò ad annuire energicamente, come un bambino davanti al gelato o a delle caramelle.

"sì, sì, sì, sì..." riprese fiato e poi ricominciò a parlare sempre con voce allegra e con un tono un po' più alto del solito "...io giocavo a pallavolo al liceo"

"davvero?!" chiese quasi senza crederci il moro "posizione?"

"alzatore" rispose con orgoglio il grigio indicandosi con il pollice. Era fiero di ciò che aveva fatto al liceo, portare la propria squadra a occupare il podio nel torneo interscolastico non era stato affatto facile, ma, con l'aiuto dei suoi amici e compagni di squadra, ci era riuscito.

"bene, allora vieni con me in palestra"

Le porte dell'ascensore si aprirono e il moro uscì da quella piccola cabina di acciaio. Alzò la mano e gli fece segno di aspettarlo. Arrivò davanti alla porta della stanza della nonna, era leggermente sfessurata e si sporse senza nemmeno bussare.

Prima si affacciò e poi entrò del tutto, inizialmente non la vide, il letto era vuoto, disfatto, e la colazione si trovava ancora intatta sul vassoio posato sul comodino. Si guardò intorno allarmato, si girò e fece dei lunghi passi verso l'esterno della stanza, pronto a chiamare qualche medico o infermiere.

"Sawamura?" la voce delicata e stanca della nonna lo fece voltare di scatto. Le andò incontro e la strinse in un abbraccio. Ne respirò il profumo nostalgico e poi la guardò negli occhi.

"tesoro, è successo qualcosa? Sei venuto prima del solito" disse la signora guardando preoccupata il nipote, che intanto scuoteva la testa in negazione andando a scontrarsi con il suo palmo che si stava adagiando delicatamente sulla guancia per accarezzarlo, come era solita fare.

"sono venuto a vedere come stai prima di andare a giocare a pallavolo"

Before you goDove le storie prendono vita. Scoprilo ora