L'ospedale aveva sempre quel tipico odore di disinfettante e garze sterili, Daichi cominciava a pensare che i propri vestiti si stessero impregnando di quell'odore pungente. Girò l'angolo e, senza nemmeno guardare, entrò nell'ascensore. Si sentì picchiettare sulla spalla e a quel punto si rese conto di essere in compagnia del grigio.
Lo salutò con un gesto della mano, ma non aprì bocca, sentiva una sorta di malinconia avvolgerlo e in qualche modo vedere quel ragazzo dal carattere spensierato non lo aiutava affatto.
Uscì dall'ascensore e si lasciò alle spalle Sugawara, il quale lo guardò con curiosità mentre si allontanava.
Il moro giunse alla porta della stanza della nonna, ma non vi trovò nessuno. Il lenzuolo sul letto era ben tirato e le tende coprivano la finestra che si affacciava sul giardino privato dell'ospedale. Con sguardo stanco si guardò intorno e poi vide un medico raggiungerlo.
L'uomo in camice bianco teneva una cartella in mano e si avvicinava con sguardo triste al ragazzo. Daichi scosse la testa e fece un passo indietro.
-no-
"salve Daichi, mi disp..."
"no" sussurrò il moro indietreggiando ancora e andandosi a scontrare con il letto alle sue spalle.
"mi dispiace tanto ma sua nonna se n'è andata questa mattina" disse il medico a bassa voce. Provò ad allungare il braccio verso il ragazzo per carezzargli la spalla, un gesto semplice, l'unico che uno sconosciuto potesse fare per consolare qualcuno che aveva appena perso una persona cara, ma Daichi lo allontanò schiaffeggiandogli la mano.
-non può essere-
Si girò a guardare il letto vuoto. Era sempre stato così chiaro quel lenzuolo, eppure, quando c'era la nonna a occupare quel materasso, gli sembrava più allegro anche il lenzuolo candido.
-dove sei andata, nonna?-
Corse verso il piccolo bagno privato della camera, ma lì non vi trovò nessuno.
-ma io non c'ero-
Si portò una mano al petto, lì dove poteva sentire il cuore impazzire, e strinse la felpa tra le dita.
-se n'è andata da sola-
Si piegò sulle proprie gambe e si scontrò con le ginocchia con il pavimento lucido. Quel pavimento che spesso aveva fissato nei momenti di disagio passati in quel posto. Avrebbe voluto urlare, avrebbe voluto sfogarsi, ma non poteva farlo, non in quel posto.
-lo hai raggiunto, vero? Ti sei ricongiunta con il nonno-
Dopo aver realizzato dove fosse sua nonna, si alzò, faticando per le gambe che tremavano, e uscì di corsa da quell'ospedale. Superò i cancelli che delimitavano la proprietà privata di quel grande edificio e a quel punto sollevò il viso.
"in questi casi contro chi si urla?" la domanda che gli aveva posto il grigio il giorno prima gli tornò in mente e istintivamente chiuse gli occhi e aprì la bocca sprigionando un urlo.
"contro il cielo"
L'unico colpevole di tutta quella sua sofferenza era il tempo che inesorabile scorreva.
Si portò le mani tra i capelli, non aveva nemmeno fatto in tempo a togliersi i guanti dello sconosciuto, i polpastrelli non potevano percepire le ciocche che stringeva con forza, tirandosele appena.
L'urlo riprese dopo aver inspirato di nuovo. L'ambiente intorno era stranamente in silenzio, forse dovuto alla presenza della neve intorno che attutiva tutti i suoni.
Quando riaprì gli occhi, si piegò portando le mani alle ginocchia e cominciando a respirare con grandi boccate d'aria, che si disperdevano con nuvole dense di vapore.
Sentì dei passi veloci raggiungerlo e una mano poggiarglisi sulla schiena curva. Quella mano disegnava degli ampi cerchi, accompagnava i suoi respiri e cercava di attenuare i singhiozzi.
Daichi girò piano la testa e guardò da sotto il proprio braccio chi fosse ad averlo raggiunto lì fuori di corsa, forse uno sconosciuto che aveva creduto si stesse sentendo male. Lasciò scendere altre lacrime e mise a fuoco la figura al suo fianco.
Sugawara scrutava il cielo, il viso impassibile, un'espressione indecifrabile era protagonista sul suo volto. Il moro si raddrizzò e lo guardò con odio, non ne conosceva il motivo, non sapeva perché in quel momento tutta la propria rabbia la stesse riversando su quel ragazzo che era andato a dargli una mano, ma sentì la necessità di sputare il proprio odio proprio in quel momento.
"PERCHÉ MI TRATTI COME SE FOSSIMO AMICI?" urlò in direzione del grigio, che si voltò di scatto e interruppe il movimento che stava facendo con la mano sulla schiena del moro. Lo guardò con un sopracciglio alzato, ma rimase in silenzio, sapeva che era solo un modo per quel ragazzo di sfogarsi. A Sugawara andava bene che se la prendesse con lui, ma non avrebbe risposto, non in quel frangente di sofferenza.
"DIMMELO, PERCHÉ ENTRARE NELLA MIA VITA?"
Ancora una volta il grigio lo guardò senza rispondere. Respirava piano, non mutava la propria espressione e piano faceva scorrere il pollice sui polpastrelli delle altre dita, come a volersi concentrare su altro che non fossero le parole dure che stava urlando Daichi.
"TI ODIO, PERCHÉ SEMBRI TANTO FELICE SE SEI MALATO? MORIRAI? È COSÌ? ANCHE TE MORIRAI COME MIA NONNA?"
Il grigio sostenne lo sguardo, non interruppe il contatto visivo nemmeno per un istante, neppure quando si rese conto che il moro aveva cambiato motivo per odiarlo. Se inizialmente lo aveva odiato per la sua spensieratezza, cosa di cui aveva avuto il dubbio la prima volta che l'aveva incontrato in ospedale, in quel momento lo stava odiando perché lo avrebbe fatto soffrire proprio come in quel momento lo stava facendo soffrire la morte della nonna.
Daichi strinse le mani a pugno, fu in quel momento che il grigio avrebbe dovuto indietreggiare, non conosceva quel ragazzo, tanto meno conosceva la sua collera e il modo di reagire a quella furia e rabbia. Rimase stabile sui propri piedi, se fosse giunto un pugno lo avrebbe preso senza troppe cerimonie. Rimase con lo sguardo alto, fisso negli occhi scuri e profondi del moro.
Daichi piegò il braccio sollevandolo appena, respirava a denti stretti emettendo dei lievi sibili. Quel ragazzo lo avrebbe fatto soffrire, lui lo sapeva, ma era consapevole che ormai per lui era impossibile allontanarcisi. Lo voleva odiare davvero, ma ciò che in quel momento stava odiando non era il ragazzo in sé per sé, era ciò che quel ragazzo rappresentava, una malattia a lui sconosciuta che avrebbe potuto o meno portargli via quel ragazzo.
Rimase con il braccio a mezz'aria, nemmeno lui interrompeva il contatto visivo con il grigio.
"colpiscimi se credi che possa farti sentire meglio" finalmente Sugawara parlò, lasciando interdetto il moro.
Daichi strinse ancora di più la mano, le nocche divennero bianche e all'improvviso lasciò cadere il braccio lungo il fianco, rilassando anche i muscoli e i tendini della mano. Guardò con sguardo afflitto il più basso e poi si morse il labbro, non poteva credere a cosa aveva provato a fare, ma soprattutto non poteva credere a ciò che gli aveva urlato senza pietà.
Si portò le mani al viso, se lo coprì con i palmi caldi e vi soffocò il pianto. Le lacrime solcavano le guance morbide e si andavano a infrangere contro la neve che si scioglieva al tocco di quelle gocce salate.
Sugawara a quel punto reputò innocuo il ragazzo e gli si avvicinò cingendolo in un abbraccio caloroso. Mosse entrambe le mani sulla schiena del moro, ne seguì la spina dorsale e attese che quello si calmasse all'interno delle sue braccia.
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Before you go
Fanfiction"ti interessa conoscere la malattia o ti interessa conoscere me?" "te" Daichi non dovette pensarci. »DaiSuga« Avvertenze! è una angst, ciò vuol dire che potreste piangere leggendo... #1 in DAISUGA (15/11/20)