Capitolo 19.

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Un auto nera, molto elegante, mi è venuta a prendere alle otto del mattino, precisa come un orologio svizzero.
Il viaggio è stato lungo ma piacevole, osservare il paesaggio attraverso il finestrino si è rivelato più affascinate di quanto pensassi.
Le strade che dividono i tre regni sono molto simili: presentano molte curve e a tratti sono disseminate di campagne, boschi verdeggianti oppure rovine risalenti alla Guerra del Potere. L'unica differenza sono appunto i tre regni, Ohzelof è il regno più colorato, più allegro; una delle sue principali caratteristiche sono i palazzi dorati e ornati di vetri di ogni colore, uno spettacolo mozzafiato.
Nel regno in cui vivo io e dove si trova l'istituto è Thezelof, il regno più semplice fra tutti. A differenza degli altri non ha caratteristiche speciali, tranne la presenza dell'istituto più prestigioso e famoso.
Dhazelof è il regno che non ha mai visto la luce diretta del sole. Il cielo li è sempre coperto di nubi, anche se piove raramente ed è caratteristico per i palazzi dai colori blu e viola. Molti, erroneamente, lo considerano il regno più "malvagio" fra i tre solo perchè la concentrazione di demoni nei suoi territori è più elevata; molti cacciatori di demoni vivono a Dhazelof proprio per l'elevata presenza di tutte quelle specie diverse.

Quando finalmente avvisto il cancello di quella che vista da qui sembra una villa il mio cuore ha un sussulto: siamo arrivati.
La macchina si ferma aspettando l'apertura completa del cancello per entrare e io mi metto ad osservare l'edificio: come mi aspettavo, è nei toni blu/azzurri, i muri sono cosparsi di finestre e dietro al tetto vedo spuntare una torre. Per vivere in un posto così Gidan deve essere ricco, oppure appartenere ad una famiglia illustre.
L'auto prosegue per un vialetto per poi fermarsi improvvisamente sotto ad una tettoia apposita alle auto. L'autista scende e si reca nel retro dell'auto per prendere il mio bagaglio, io apro la portiera e scendo, osservandolo; mi sento così a disagio in questo momento, non sono abituata ad essere trattata con una certa importanza.

-Nako!- una voce fin troppo riconoscibile mi chiama alle mie spalle.
Mi volto e vedo Gidan, elegantissimo nella sua camicia bianca infilata dentro ad un paio di sobri pantaloni neri. Corro verso di lui e getto le braccia al collo per abbracciarlo.
Rimaniamo per un attimo attaccati e sento nascere sulle mie labbra un sorriso.

-Finalmente sei arrivata. Non ci speravo più.- mi dice prendendomi una mano.

L'autista si avvicina a noi con la borsa in mano, fermo immobile come una statua.

-Questa posso prenderla io.- gli dico allungandomi verso la borsa.

L'uomo si irrigidisce e guarda Gidan un po' confuso, un po' sconvolto. Lui gli fa un cenno con la testa e mi lascia prendere la borsa, poi fa un leggero inchino e se ne va, sparendo attraverso una porta.

-Vieni, ti mostro la stanza.- mi dice prendendomi la mano.

Mi metto a seguire Gidan all'interno del palazzo che è un luogo incantevole: nulla è fuori posto e i mobili d'epoca sono bellissimi. I muri sono dipinti con colori sobri oppure ricoperti di carta da parati dalle fantasie floreali.
Saliamo una scala e percorriamo il corridoio, camminando su un elegante tappeto rosso, che è lungo tutto il percorso, fino ad una porta con un numero sopra: 56.

-Questa è la tua camera.- mi dice Gidan porgendomi una chiave con una targhetta ritraente lo stesso numero. -Il ballo questa sera inizia alle nove ma mi piacerebbe che conoscessi la mia famiglia.

Mentre prendo la chiave in mano e ascolto Gidan le mie guance prendono colore. Dovrò incontrare la sua famiglia e a giudicare dalla sua faccia, seria ma non fredda, non mi sta dicendo una bugia.

- O-ok, grazie.- rispondo infilando la chiave nella toppa e aprendo la porta.

Lui mi rivolge un luminoso sorriso, fa un leggero inchino e poi se ne va tornando indietro.
Faccio un respiro profondo ed entro nella stanza, che come il resto del palazzo è elegantemente ammobiliata. Appoggio il mio zaino sul bordo del letto e mi siedo sul piccolo sgabello ai piedi del letto.
Mentre sono seduta osservo la stanza e mi imbatto sullo specchio posizionato nell'angolo accanto all'armadio: la mia immagine riflessa, scialba, sembra così fuori posto in quella stanza così elegante.
Poso le mani sulle ginocchia scoperte e rimango immobile osservandomi nello specchio per quelli che probabilmente sono minuti perchè quando qualcuno bussa alla porta mi sembra di svegliarmi da un sogno.
Mi alzo e velocemente cammino verso la porta, la apro e davanti mi ritrovo Gidan che mi sorride ma si vede chiaramente che è nervoso.

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