Capitolo 30.

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Nonostante lo shock capisco di aver pianto relativamente poco perchè quando alzo la testa sento ancora delle guardie passare davanti alla porta; mi asciugo le lacrime strofinandomi le mani sulle guance; il mio viso è caldo e arrossato, anche se sono seduta sul ghiacciato pavimento di marmo della sala in cui sono capitata.
Facendomi leva sulle mani mi alzo in piedi e perlustro la zona camminando attorno agli eleganti tavoli di legno.
"Credo che sia una sorta di sala da pranzo." Mi dico tra me e me accarezzandone la superficie con le dita.
Sento ancora un indistinto vocio provenire dalla porta da cui sono entrata; quando sento il nome di Emi capisco che hanno trovato il corpo e che ora sulla mia testa incombe una grossa taglia.

"Forse è meglio così.." Penso collegandomi al nome di Emi "Oramai avevo perso per sempre l'amica che era, le avevano fatto un lavaggio del cervello irrimediabile."
Autoconvincermi è la cosa che, in questo momento, ritengo la migliore; decido su due piedi di riprendere la mia fuga verso l'uscita che ogni porta che apro sembra diventare sempre più astratta.
Apro la porta che si trova nella parete opposta e mi ritrovo per un altro corridoio, questa volta più breve e illuminato da centinaia di vetri colorati che compongono le finestre.
Cammino lentamente attraverso la stanza, lasciando che le scarpe creino un leggero e ripetitivo rumore a contatto con il parquet.
Mi fermo a metà della sala perchè la mia attenzione viene attirata da uno specchio alto come la parete e che, quindi, per la prima volta, dopo il mio risveglio nella cella, mostra il mio terribile aspetto: non indosso più il cardigan ma solo la camicia; gonna, calze e cravatta sono tutti strappati e sporchi di nero; mentre i capelli sono arruffati e in disordine.
Rimango a fissarmi per alcuni istanti senza muovere un solo muscolo, poi afferro l'elastico che ho al polso e mi faccio una treccia, anche essa disordinata, in modo da sistemarmi un minimo i capelli; poi proseguo la fuga.

Attraverso il corridoio e arrivo in un posto che riconosco subito: è il piccolo porticato in cui ho incontrato Gabriel la prima volta che sono venuta a palazzo, quando mi ero persa.
Chiudo la porta alle mie spalle e mi incammino sotto la tettoia, il sole sta tramontando e colora le pareti di un caldo arancione che mi da una sensazione di tranquillità, dopo tutto quello che è successo in così poco tempo.

-Sapevo che saresti riuscita a fuggire.- dice una voce alle mie spalle. Mi volto di scatto e incontro due occhi dorati inconfondibili, che mi fissano divertiti.

-Principe Gabriel, quale onore.- ribatto sgarbatamente e facendo un inchino, afferrandomi la gonna come si deve.

Lui non mi risponde; fa una risata soffocata e poi comincia a camminare passandomi accanto.
Quando la sua spalla sfiora la mia sento un brivido lungo la schiena: è incredibile che nonostante tutto lui riesca ancora a farmi questo effetto.
Mi supera e si ferma alle mie spalle; lo seguo con lo sguardo mentre lui tiene gli occhi fissi sul soffitto decorato da stemmi, probabilmente di altri cacciatori di demoni.

-Non indossi l'anello.- mi dice ad un tratto senza distogliere lo sguardo.

-No.- rispondo trattenendo qualsiasi emozione.

Lui abbassa lo sguardo su di me, sembra deluso ma non lo vuole dare a vedere.

-Peccato.- dice mettendosi le mani in tasca e camminando verso di me. -Saresti stata una splendida principessa.- mi sussurra nelle orecchie e poi prosegue a camminare fino ad andare a sedersi su una delle panche.

-Principessa?- chiedo io, confusa ma anche interessata da questa sua affermazione.

-Immagina..- comincia a parlare guardando davanti a se. -Uno splendido principe come me che ha accanto a se una forza rara come la tua.

-Vostro padre non sarebbe d'accordo. Mi odia.- dico mantenendo le distanze e non mostrandomi sorpresa dalle sue parole.

-Mio padre vuole solo averti sotto il suo controllo, in modo che tu non possa rovinare tutto, ora che è giunto il momento.- dice guardandomi negli occhi.

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