𝚌𝚑𝚊𝚙𝚝𝚎𝚛 𝚝𝚠𝚎𝚕𝚟𝚎

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Midoriya's POV

Ho passato il resto della giornata interamente chiuso in camera, da solo, sul letto, a fissare un punto indefinito del soffitto. Sono uscito da qui solamente per pranzare e per cenare, senza guardare in faccia nessuno.

Comincio a pensare a ciò che potrei fare domani, volendo evitare di trascorrere una giornata identica a questa.

Sono le due e non riesco a prendere sonno. Il che è un male, perché mi ritrovo sempre a pensare, e la mia mente finisce sempre dove vorrei non vada.

Todoroki. Kacchan. E ora anche Kirishima.

Prevalentemente sui primi due.

Prevalentemente sul primo.

Scuoto la testa da destra a sinistra, con la convinzione che mi aiuterà a scacciar via ogni pensiero, nonostante sappia che non sarà mai così.

Ma a distrarmi, invece, è lo schermo del cellulare che si illumina, il quale afferro e sblocco, così da riuscire a visualizzare la notifica appena arrivata: un messaggio.

Chi potrebbe avermi scritto a quest'ora, di notte?

<ei, sei sveglio?>
✔︎✔︎

<si, dimmi>
✔︎✔︎

<ti va di uscire a prendere un po' d'aria?>
✔︎✔︎

<ok>
✔︎✔︎

Poso, momentaneamente, l'oggetto sul mobiletto da cui l'avevo preso e apro l'armadio in cerca di una felpa da indossare, poiché l'aria è fredda e non è mia intenzione rischiare di ammalarmi.

Infilo un paio di calze, afferro nuovamente il cellulare ed esco dalla stanza, recandomi verso l'uscita del dormitorio, e sperando di non fare rumore.

Scesi tutti quei gradini e giunto all'uscita, noto che lui è già lì. Una domanda mi sorge spontanea, ora che lo sto raggiungendo: perché l'ha chiesto a me?

"Ehi" lo richiamo in un sussurro, facendolo voltare.

"Ehi" risponde, contrariamente a me, con il suo tono di voce quotidiano.

Udita la mia voce, mette un piede dopo l'altro fuori dalla porta, seguito da me. Non ci è concesso uscire di notte, ma non è tra i nostri piani camminare, in quanto ci sediamo sui gradini dell'edificio, uno di fianco all'altro.

"Pensavo dormissi" afferma.

"Non ho sonno"

Dopo quell'unico frase da me pronunciata restiamo in silenzio, per un arco di tempo che non riesco a definire. Sembrano passare minuti interminabili, durante i quali non faccio altro che fissare il cielo colmo di stelle.

"Come ti sei fatto quell'ustione?" domando, senza distogliere lo sguardo dal cielo.

"Me lo chiedo dal primo giorno" aggiungo, poi.

"Mia madre, quando ero piccolo, mi ha buttato dell'acqua bollente" risponde, tutto d'un fiato.

"Perché?"

"Non accettava un lato di me, il sinistro, che genera le fiamme. Le ricordava mio padre" continua, con tono leggermente irritato.

𝐆𝐥𝐢 𝐨𝐩𝐩𝐨𝐬𝐭𝐢 𝐬𝐢 𝐚𝐭𝐭𝐫𝐚𝐠𝐠𝐨𝐧𝐨 | 𝖳𝗈𝖽𝗈𝖽𝖾𝗄𝗎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora