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«Anche Metal Dancer, quello sì che è un bel fumetto». Matt si stava riferendo al suo terzo fumetto preferito. Ne stava parlando con il ragazzo dai capelli dorati che sedeva di fianco a lui, attorno al fuoco. Anche la ragazza spagnola assisteva alla conversazione tra i due e ne sembrava interessata. Nonostante avesse letto giusto qualche fumetto in vita sua, ovviamente classificati come "per ragazze", trovava molto adorabili i disegni di uno in particolare, che si chiamava Waterfall Glamour. Se ricordava bene, quest'ultimo era un fumetto di origine giapponese, quindi un manga. In realtà, era anche grazie a questi che si era lievemente interessata alla cultura nipponica — e quando vide sul foglio che riportava le informazioni di Akai la scritta "nazionalità: giapponese" si interessò alla sua terra in maniera molto più esponenziale.
Aaron arrossì e spostò lo sguardo sul falò. «Credo che mio fratello l'abbia letto quando abitavamo ancora insieme. Secondo me ti troveresti molto meglio a parlare con lui di cose come questa. Entrambi condividete la passione per i fumetti, a quanto vedo». Sorrise, ricordando i bei vecchi tempi, di quando la sua vita aveva anche solo un tocco di normalità.
Matt assottigliò lo sguardo e poi lo spostò su Alex, che stava seduto con la schiena contro un albero, voltato dalla parte opposta, come la notte precedente, anche se però la distanza era ridotta. «Mmh, sai, non penso che potrei trovarmi bene a parlare con lui, non mi pare una persona dotato della capacità di socializzare. Senza offesa», disse, appoggiando le mani sull'erba e spostando il peso del suo intero corpo sulle braccia.
«Non ti preoccupare», rispose Aaron. Le parole uscite dalla bocca di Matt non erano certo una novità per il ragazzo canadese.
«È quasi incredibile pensare che voi due siate fratelli», disse Candy, guardando Aaron. Quest'ultimo ricambiò immediatamente lo sguardo, mentre aveva ancora le guance rosse. «Siete praticamente l'uno l'opposto dell'altro. Per come la vedo io, è una cosa molto carina, sai?».
«Che cosa? Il fatto che siano diversi l'uno dall'altro?», domandò Matt.
«Certo. Dove hai mai visto una cosa simile?».
Matt guardò in alto, con occhi pensierosi. «In un manga», disse poi. «Aspetta... com'è che si chiamava? Non è nella mia top ten, quindi non ricor... ah! Bergentrückung! Sì, effettivamente c'è una coppia di fratelli che è molto simile a voi. Il maggiore è molto aperto, socievole e gentile, mentre il minore è chiuso, scontroso e preferisce stare nella sua camera da letto tutto il giorno».
Alex aprì gli occhi, udendo quel che stava dicendo il ragazzo inglese. Successivamente li richiuse. In realtà, non era stato quel che stava dicendo sulla coppia di fratelli che aveva attirato l'attenzione dello statunitense, ma il nome del fumetto appena citato da Matt. Era uno dei preferiti di Alex. Aaron lo sapeva bene, perché gliene aveva parlato spesso e gli aveva anche consigliato di leggerlo.
In quel momento, il ragazzo canadese, dopo aver sentito i pensieri provenienti dalla mente del fratello maggiore, sorrise e si domandò perché non aveva mai letto quel fumetto. Sicuramente, una volta che la missione sarebbe giunta al termine, avrebbe rimediato - sempre se ne fosse uscito vivo, ovviamente.
Irina si avvicinò ai tre attorno al fuoco, torreggiando di fianco a Matt, che piegò immediatamente la testa per guardarla. La ragazza aveva uno sguardo distante dal resto del gruppo, come se fosse assorta nei suoi pensieri.
«Che cos'hai?», domandò il ragazzo inglese.
Prima che Irina potesse rispondere, Aaron diede una veloce letta a ciò che gli passava per la testa. Non era cambiato nulla rispetto al giorno prima, stava ancora pensando a quell'oscura figura che desiderava ardentemente eliminare.
«Non ho nulla. Mi premeva solo domandarvi come vogliamo organizzarci con i turni di notte», disse poi, quando spostò lo sguardo sui suoi compagni. Se Irina fosse stata in grado di esprimere normalmente le sue emozioni, Aaron sarebbe giunto alla conclusione che stava cercando di nascondere la sua tristezza. Leggere nei pensieri di una persona permette soprattutto di comprendere la sua anima, e non solo quello che non direbbe mai a voce alta. Era più o meno riuscito a "leggere" e decifrare l'anima dei suoi nuovi compagni di squadra, partendo dalle più semplici, come quelle di Matt e Candy, per poi arrivare a quelle ancora impossibili da comprendere, ossia quelle di Akai e Irina. Per quanto di riguardava la ragazza russa, in realtà non c'era chissà quanto da leggere, essendo lei stessa una persona con un carattere freddo e, da certi aspetti, vuoto. In questo caso, l'anima di Irina rispecchiava i suoi occhi. Invece, per quanto riguardava Akai... Aaron non era proprio riuscito a capirci nulla di quell'ammasso di pensieri confusi presenti all'interno della sua mente e di quel "labirinto", che era come se rinchiudesse l'animo del ragazzo al suo interno. Anche solo per provare a comprendere Akai, il canadese avrebbe dovuto avventurarsi in quel suo labirinto, con l'alto rischio di perdersi. Era per questo motivo che Akai era il Senshi che lo incuriosiva più di tutti. Non che avesse vissuto così a lungo, ma in tutta la sua vita non gli era mai capitato di incontrare un simile individuo e sapeva che, in fin dei conti, non esistevano altri casi simili.
Il fatto era che se un individuo non fosse riuscito a scavare neanche un piccolo buco all'interno del proprio animo, Aaron non avrebbe potuto farsi neanche delle teorie su quella persona. Questo rendeva Akai un libro chiuso con più di un lucchetto per lui.
«Perché, tu hai sonno? Ti ricordo che abbiamo dormito per una decina di ore», disse l'inglese, per poi allungarsi sul fresco prato. «Questa nottata la passerò stando sveglio. Ah! È quasi strano avere così tanta energia ad un simile orario. Davvero, sento che potrei saltare da un treno in corsa ad un altro treno in corsa, e poi atterrare su una moto e guidarla». Sorrise.
Irina chiuse gli occhi e disse: «Nonostante questa bizzarra vitalità, vedi di startene buono e fermo. Non vorrei rischiare la vita un'altra volta per colpa tua». Poi si sedette con la schiena contro un albero, distante dal fuoco, in quanto non amava stare troppo vicino a delle elevate fonti di calore.
Successivamente l'atmosfera fu di nuovo calma e per brevi istanti nessuno proferì parola. Quel silenzio rilassante venne però interrotto dalla domanda di Candy, che chiese, con voce timida:
«Posso farvi una domanda?». Dopo che ebbe gli occhi dei suoi compagni — e anche l'attenzione del ragazzo statunitense — addosso, proseguì. «Spero che non sia troppo personale, ma... Ecco... Come vi trattano i vostri capi? Nel senso, voi come vi trovate all'interno del vostro edificio?».
Matt e Aaron abbassarono lo sguardo, cercando di pensare ad un modo per rispondere.
«Male», disse Irina, schiettamente. Candy la guardò. La russa alzò un sopracciglio. «Ti aspettavi qualche altra risposta?». Era come se attraverso lo sguardo volesse dirgli: "Come dovremmo trovarci?".
In realtà, Candy non voleva in alcun modo mancare di rispetto a nessuno dei presenti. Aveva posto quella domanda perché lei veniva trattata abbastanza bene dal suo capo. (Sicuramente era il Senshi trattato meglio). Lei parlava spesso col suo capo, tra di loro si era instaurato un bel rapporto, una sottospecie di amicizia, si sarebbe potuto dire. Tant'era vero che, quando la ragazza iniziò a provare dei lievi sentimenti per Akai, scelse di non utilizzare più il suo corpo come una trappola per gli uomini che vi sbavavano dietro. Lo disse al suo capo e lui, dopo un paio di minuti, accettò la sua volontà. Gli disse che era un peccato, un grande peccato, poiché sarebbe stato molto difficile trovare una persona che non avrebbe desiderato avere il corpo di Candy tra le mani. Però poi, disse che, alla fine, gli bastava che avrebbe ucciso i criminali, non importava chissà quanto come. Inoltre, in quel periodo dell'anno, in Spagna, erano presenti numerose ragazze che facevano lo stesso "mestiere" di Candy e che utilizzavano la propria bellezza per attirare gli uomini per poi ucciderli.
Insomma, la maga sembrava a tutti gli effetti la "cocca del papà" col suo capo.
Quando Candy condivise agli altri suoi compagni di squadra il rapporto che c'era tra lei e Eloy, il suo capo, gli altri rimasero un tantino sorpresi. Pensarono rapidamente al rapporto che c'era tra loro e i loro superiori. Non che quello tra Eloy e Candy fosse esattamente come un legame tra padre e figlia o come tra fratello e sorella, ma quello degli altri Guerrieri era più che distante da una cosa simile. Glielo dissero e immediatamente la maga si sentì in colpa per aver posto quella domanda.
Matt spostò lo sguardo sul volto di Irina. L'espressione della giovane pareva assente. Fu allora che Matt gli disse che, secondo lui, avrebbe dovuto tentare di sorridere. Ovviamente, l'inglese non era a conoscenza della sua incapacità di provare emozioni positive, d'altro canto però sapeva che all'interno della sua testa erano presenti pensieri tenebrosi, e quello era il suo modo per convincerla a distrarsi, per fare in modo che non ci pensasse più. Non era indispensabile possedere il dono di Aaron per comprendere che il cervello di Irina era come consumato da quegli oscuri e misteriosi pensieri, gli si leggeva in faccia.
Non appena la ragazza udì le parole di Matt, dette con una spensieratezza affatto indifferente, rimase in silenzio. Sarebbe stato inutile fingere di sorridere ironicamente. Dopodiché rispose, con tono imperturbabile: «Suppongo aiuterebbe, ma mi preme renderti partecipe del fatto che... non mi è rimasta più alcuna motivazione anche solo per abbozzare un sorriso». Lo sguardo di Matt si assottigliò, Aaron rivolse la sua massima attenzione alla compagna che aveva appena parlato, Candy fece una faccia mista tra la preoccupazione e lo stupore e Alex, che aveva richiuso gli occhi, li riaprì.
«Che cosa vuoi dire?», domandò Matt, guardandola, con tono e sguardo seri, appesantendo la tensione.
Irina guardò al lato del suo stivale sinistro e rispose: «Sin da quando ero una bambina non ho mai saputo esprimere correttamente il mio stato d'animo, finendo col non provare alcuna emozione, che fosse positiva o negativa». Espirò in maniera lievemente rumorosa e cambiò posizione del volto, in maniera tale che gli altri Senshi potessero ammirare l'unicità racchiusa nei suoi occhi. «In passato avevo dei motivi per sorridere, e di rado capitava che qualcuno mi vedesse esternare in maniera accennata questa minuscola forma di gioia. Adesso non dispongo più di nulla, inoltre non sono come voi, quindi non avrebbe senso neanche fingere di sorridere e di stare con la testa altrove». Aveva chiaramente accennato un argomento personale come se nulla fosse. Sicuramente, a differenza degli altri suoi compagni di squadra, avrebbe potuto parlare tranquillamente del suo passato. Effettivamente, soltanto il suo volere gliel'avrebbe impedito, non la paura, né tantomeno le lacrime. La sua voce non avrebbe affatto tremato. Le guance di un individuo che non disponeva del meraviglioso dono di provare emozioni non si sarebbero mai potute bagnare per via delle lacrime.
Matt e gli altri attorno al fuoco avrebbero tanto voluto non credergli, ma dopo esser stati quasi due giorni con lei in squadra, si resero conto che quella era la pura verità.
«Per caso ne vuoi parlare?», domandò il ragazzo dagli occhi color corallo.
Irina lo guardò come se gli stesse facendo un affronto. «Ma fammi il piacere», disse, alzandosi da terra. «Non credo che ti possa in qualche modo interessare».
Non appena la giovane dai poteri e modi glaciali pronunciò quelle parole, Matt passò da allungato a seduto in un batter d'occhio. «Se non me ne fosse importato non te l'avrei chiesto». Sembrava vagamente infastidito. «C'entra con la persona che vuoi uccidere?», si azzardò a chiedere, ma forse non avrebbe dovuto farlo, visto che dopo quella domanda gli occhi di Irina parvero sfavillare in maniera sinistra.
«Questa è una questione che riguarda me, non voi», rispose, quasi come se avesse toccato un tasto dolente.
La temperatura corporea del ragazzo inglese salì di all'incirca un grado. «Ci riguarda eccome! Adesso siamo una squadra e dobbiamo preoccuparci l'uno dell'altro. Per caso condividi il mio stesso pensiero solamente quando ti fa comodo?».
Aaron, sentendo i pensieri di Irina dedusse che quest'ultima era un po' infastidita. In considerazione di ciò, colse l'occasione per porgli una domanda e interrompendo la discussione che stava prendendo vita tra lei e Matt.
«Irina, se permetti avrei una domanda da farti», disse il biondo. Irina spostò lo sguardo su di lui in attesa che proseguisse. «Perdonami, ma mi sono permesso di intrufolarmi nei tuoi pensieri». Approfittò per precisare agli altri che non leggeva i loro pensieri a loschi fini personali, ma per cercare di conoscerli meglio ed entrare in sintonia con loro. «Tu hai detto che, sin da bambina, sei sempre stata incapace di esternare in maniera corretta le tue emozioni. Hai anche aggiunto che è questa la motivazione principale del tuo carattere apatico e distaccato. Però mi pare di aver notato delle "irregolarità", se così possiamo chiamarle. Mi riferisco ad un paio d'ore fa, quando tu e mio fratello avete combattuto contro quelle statue di pietra. Sembravi visibilmente irritata in quella circostanza e lo sembri anche adesso. Per cui, la mia domanda è... davvero non sei in grado di provare nessuna emozione?». Aaron disse tutto quanto tenendo lo sguardo sulla legna che bruciava - non avrebbe saputo mandare avanti un simile discorso guardando una persona negli occhi, specialmente Irina. «Chiedo eventualmente scusa se dovesse rivelarsi una domanda troppo invadente e se non dovessi sentirtela di rispondere», aggiunse poi.
La ragazza russa non staccò lo sguardo dal canadese neanche per un istante, per poi farlo un secondo prima di rispondere. «Posso tranquillamente rispondere a questa domanda». Si girò di lato, fissando un punto oscuro tra gli alberi. «In realtà devo correggermi», disse, come se Aaron avesse scoperto un suo segreto. «Allo stato attuale non credo di essere più in grado di sorridere, se non per finta. Anzi, l'ho fatto talmente poche volte che quasi non mi ricordo come si fa. Come ho detto poco fa, non ho più alcun motivo anche solo per fingere un sorriso». I suoi compagni di squadra ascoltavano col massimo dell'attenzione e con gli sguardi fissi verso il suo volto. «Il mio responsabile, nonché mio capo, ha dovuto sottopormi ad un allenamento affinché io provassi l'emozione della rabbia. Ci sono voluti svariati mesi, neanche lo ricordo con esattezza. Comunque, al termine di questi lunghi mesi, ero riuscita a padroneggiare l'emozione della rabbia. In verità, se devo proprio essere onesta, tra tutte le emozioni, quella della rabbia è sempre stata quella più vicina a me, e forse è anche per questo che sono stata in grado di padroneggiarla così rapidamente. Se si fosse trattato della gioia, con tutta probabilità non ci sarei riuscita. Come vi ho detto, mi è capitato di mostrare dei lievi accenni di felicità nel periodo della mia infanzia, ma erano situazioni in cui le persone attorno a me si erano davvero impegnate nel cercare di strapparmi un sorriso. Una persona normale avrebbe pianto dalla gioia. Se qualcun altro avesse solo sorriso dopo quell'enorme sforzo da parte di tutte quelle persone, si sarebbe immediatamente sentito in colpa. Ovviamente, io conosco solo il significato di questa parola».
Quelle parole, dette in maniera spenta, fecero breccia nei cuori di Matt, Candy e Aaron, costringendoli ad assumere un'espressione malinconica. Alex rimase sempre con lo sguardo imbronciato, le sue iridi erano puntate a sinistra.
«M-Mi dispiace davvero tanto...».
Aaron quasi non finì di pronunciare la frase, che subito Irina gli parlò sopra, dicendogli: «Non serve che nessuno di voi si senta triste riguardo a questa mia particolarità. Al momento, una delle ultime cose di cui ho bisogno è ricevere segni cordiali da parte vostra quando non servono». Fu tagliente come il vetro, e aspra come un limone maturo.
Matt aggrottò di poco le sopracciglia. «Hai davvero una visione distorta del mondo, tu! Non l'ha detto per fare il bel faccino, ma perché è quello che pensa davvero. Dovremmo per caso prendere questa tua ultima risposta come segno che non ti fidi ancora di noi?». Sembrava che il ragazzo inglese si stesse iniziando a scaldare. Con tutta probabilità, se la risposta di Irina avesse contenuto la stessa amarezza di quelle precedenti, sarebbe scoppiata una discussione.
La ragazza lo guardò e con noncuranza rispose: «Come posso ciecamente fidarmi di individui che a malapena conosco da neanche due giorni?».
Matt fece uno sguardo confuso, come se stesse pensando che quello che era in procinto di dire non fosse più adatto. Dopo dei brevissimi istanti di silenzio, rispose: «Non hai tutti i torti, ma ti posso assicurare che in circostanze simili è controproducente dubitare dei propri compagni di squadra. Siamo stati gettati nella situazione peggiore del mondo, non abbiamo potuto dire nulla a riguardo, se non accettare in silenzio. Entro domani questa missione avrà fine, non sappiamo se riusciremo a sopravvivere. In simili circostanze non aiuta affatto avere degli atteggiamenti simili ai vostri». (Con l'ultima parte si riferiva ad Irina e Alex).
Irina sembrava in procinto di dire qualcosa, ma una voce fuori campo glielo impedì.
«E quindi che cosa vorresti che facessimo? Che giocassimo a fare finta di nulla, ignorando il fatto che, molto probabilmente, domani saremo morti?», commentò Alex. «Ognuno affronta le cose a modo suo», disse poi, con voce nervosa.
Matt lo guardò, momentaneamente a corto di parole. Aaron fece lo stesso, per poi riabbassare lo sguardo.
L'inglese fece un'espressione rassegnata, per poi commentare: «Quel che volevo dire era che potreste aprirvi con noi senza alcun timore, in maniera tale da dare vita ad un rapporto d'amicizia che magari possa andare oltre al legame da "compagni da squadra"». Successivamente sospirò pesantemente anche lui.
Irina non sembrava molto d'accordo con la sua ultima affermazione, e per tanto si girò verso di lui, rivolgendogli uno sguardo oltremodo criticante, ma ci pensò nuovamente Alex a parlare al posto suo.
«Se davvero pensi questo, allora perché non inizi a raccontarci del tuo passato?». Appena glielo disse, il ragazzo canadese alzò gli occhi, allarmato.
Matt guardò le spalle del ragazzo statunitense, con sguardo inquieto. Aaron riusciva a leggere nella mente dell'inglese e sapeva che la sua espressione facciale non rappresentava per nulla al mondo ciò che si faceva spazio all'interno della sua testa.
«Scusami?», domandò Matt, mostrando un lato talmente serio che non sembrava neppure appartenergli.
Aaron sembrava preoccupato. Riusciva ad intuire che di lì a poco l'atmosfera sarebbe cambiata in maniera drastica, se lo sentiva, in particolar modo quando intravide la sagoma di suo fratello cambiare postura.
«Chiedi di argomenti altrui come se riguardassero il meteo. E tra l'altro, da quel che so, quelle del meteo sono conversazioni molto diffuse in Inghilterra. Se vuoi davvero essere coerente con quello che hai detto, perché non incominci tu?», disse Alex, con lo sguardo rivolto verso il ragazzo castano. Adesso le probabilità che quella semplice discussione si trasformasse in una lite a tutti gli effetti erano aumentate a dismisura. Aaron era preoccupato proprio per questo. Cercò di far tacere suo fratello, parlandogli telepaticamente, ma quest'ultimo lo zittì quasi istantaneamente. Non appena Aaron venne zittito, chiuse gli occhi con forza, la voce di Alex continuò a risuonargli in testa nei secondi a venire, tanto che smise per qualche attimo di leggere i pensieri dei suoi compagni di squadra.
Matt continuò a mantenere la sua solita espressione confusa, però adesso, diversamente dalle altre volte, si poteva capire che non era nel suo lato goffo e impacciato.
«Sarebbe come raccontare il tuo passato ad un estraneo», disse Irina, rispondendo a quello che l'inglese disse prima, sul fatto di aprirsi liberamente l'uno con l'altro e di non vederli solamente come compagni di squadra. «Almeno... io la vedo in questo modo. Tu lo faresti?».
Matt sembrava che non stesse ascoltando, e infatti poi chiese alla ragazza di ripetere la domanda. Aaron, in quei brevi — quasi inesistenti — attimi, analizzò gli occhi di Matt. Caspita se era assente.
«Tu saresti disposto a condividere con noi il tuo passato? Com'eri da bambino? Come si chiamavano i tuoi genitori? Ricordare i loro volti mentre pronunci i loro nomi... Dirci come sono morti?».
Aaron spalancò immediatamente gli occhi, e Matt fece lo stesso, soltanto che lo sguardo di quest'ultimo era esageratamente più sconvolto.
Il ragazzo dagli occhi color rosso corallo cambiò posizione, di nuovo da allungato a seduto, con la stessa velocità di un fulmine.
Aaron iniziò a concentrarsi sui pensieri di Matt, riuscendo a leggere cose come: "Cazzo, non può accadermi qui", "Hanno ragione loro, sono proprio uno stupido", "Che diamine! Sono proprio ridicolo! Non sono molto diverso da come mi descriveva... mio padre". In accompagnamento al quel suo ultimo pensiero, all'interno della sua mente ci fu stampata per un momento l'immagine di una sagoma seduta ad un tavolo in legno molto consumato, mentre si girava verso colui che lo stava osservando.
Matt si alzò immediatamente, con lo sguardo oscurato. Fu in quel momento che Aaron smise di leggergli nella mente.
Silenzio. Occhi puntati sul giovane "Drago di fuoco" — specialmente quelli di Alex. Ancora silenzio. Un soffio di vento. Un sorriso. Era stato Matt a sorridere.
Quest'ultimo mise la mano dietro la testa e disse: «Ah, accidenti, avete proprio ragione. Davvero, non so cosa mi sia passato per la testa! Voglio dire, effettivamente ci conosciamo da poco. Sarebbe spingersi oltre se vi chiedessi di condividere i vostri lati più personali con me», poi rise.
Aaron aggrottò leggermente le sopracciglia, in preda ad un lieve stato confusionale. Riprese con la lettura dei suoi pensieri. La mente del ragazzo canadese fu scarsamente illuminata da una scintilla: Matt stava fingendo di stare bene. Avrebbe voluto allontanarsi da tutti per sfogarsi, anzi, aveva un bisogno davvero impellente di farlo. Aaron si accorse della bravura del suo compagno di squadra nel fingere. Se non avesse dato una sbirciata all'interno della sua mente non se ne sarebbe mai accorto. Non vedeva alcuna differenza tra il Matt di un paio d'ore fa, e molto sicuramente non le vedevano neanche gli altri. Inoltre, non aveva neanche gli occhi lucidi.
Indubbiamente, Matt era il Senshi più in grado di mentire e riuscire a farla franca. Non si parlava soltanto di una semplice finzione allo scopo di sedurre qualcuno, come facevano Akai, Irina o Candy, ma di sopprimere il suo dolore e rimpiazzarlo servendosi della maschera della spensieratezza e dell'ironia. Era riuscito — se anche per poco — a tenere persino Aaron all'oscuro di questo suo lato, proprio l'unico del gruppo in grado di leggere nelle menti altrui.
«Ahem, a voi non è venuta sete? Perché la mia gola è talmente secca che faccio anche fatica a parlare», abbozzò un'altra risata. Ecco, pensò Aaron, adesso si inventerà una scusa per allontanarsi dal gruppo. «Vado a prendere un po' d'acqua al lago qui vicino. Per caso qualcuno ne vuole un po'? Tanto non ho bicchieri o contenitori, quindi se la volete dovrete obbligatoriamente seguirmi». Nonostante il suo animo si stesse per rompere dopo anni, non accennava a togliersi quel sorriso sincero dalla faccia.
«Che senso ha dirigersi fino al lago per un sorso d'acqua se possiamo crearla grazie ai nostri poteri?», domandò Irina, con occhi dubbiosi.
Matt girò appena la testa per risponderle. «Beh, sai com'è. Abbiamo consumato parecchie energie fino ad ora, tu in particolar modo. Dovrei rinunciare al mio titolo di gentiluomo se decidessi di farti usare la tua abilità quando non ce n'è bisogno. E, sai, prima, mentre facevo il bagno nelle acque di quel lago, ho potuto sentire quanto fossero buone solamente bagnandomi le labbra. Spero che tu non la prenda a male, ma l'acqua creata dalla fusione delle nostre due magie non ha proprio alcun sapore e mi è difficile da mandare giù». Detto questo, fece la linguaccia, per poi sorridere nuovamente.
In seguito, Matt sparì accompagnato da un fruscio di vento, facendosi risucchiare dall'oscurità tra gli alberi.
«Credo non abbia tenuto conto del fatto che abbiamo passato svariate ore addormentati, e che quindi abbiamo tutti recuperato quelle poche forze che avevamo consumato», commentò Candy, con tono rilassato, supponendo che la prima motivazione esposta dal ragazzo inglese fosse una scusa. Aveva rubato le parole alla sua compagna di squadra.
Alex richiuse gli occhi e si toccò con la lingua il palato duro, per poi ritirarla rapidamente, dando vita ad un leggero ''tsk''.
Suo fratello minore, che aveva lo sguardo abbassato da quando Matt aveva risposto alla domanda di Irina, attivò il Mind Hunt cercando di non dare nell'occhio, per tenere sotto controllo i pensieri del componente della squadra che era appena andato via. Nel momento in cui Matt sfiorò i duecento metri, Aaron non riuscì più a proseguire con la lettura dei suoi pensieri. Con le sue attuali abilità avrebbe potuto ampliare il raggio del Mind Hunt fino a cinquecento metri, ma per farlo avrebbe dovuto sforzarsi molto di più, proprio come un paio d'ore prima nella Foresta Mori.
Uffa, pensò. Gli sarebbe piaciuto scoprire di più. Ciò che si celava all'interno della testa di ogni suo compagno di squadra - tralasciando ovviamente suo fratello che conosceva meglio di chiunque altro - lo incuriosiva moltissimo. Non avrebbe potuto seguire Matt. Gli sarebbe piaciuto farlo, ma non avrebbe potuto per due motivi: il primo era per evitare di dare troppo nell'occhio. Se due Senshi fossero tornati indietro per un po' d'acqua che si poteva ottenere con il ghiaccio di Irina sarebbe risultato sospetto, molto più di quando non lo sia sembrato il breve allontanamento di Matt. Il secondo motivo - il più ovvio - era che, sì, ci teneva a scoprire di più sul suo compagno di squadra appena andato via, ma ci teneva ancora di più a rispettare la sua privacy.
Aaron si morse l'interno guancia. Fortunatamente e contrariamente da come pensavano quasi tutti all'interno del suo edificio, Aaron non aveva mai fatto uso del suo potere per fini personali o meschini. Nonostante fosse in possesso sin dalla nascita di una dote che gli permetteva di leggere nell'animo delle persone, venire a conoscenza di loschi pensieri che non avrebbero mai condiviso neanche per scherzo con nessuno, di violare la loro privacy senza che lo venissero a sapere, il ragazzo canadese aveva sempre saputo dove e quando fermarsi. In un certo senso, questo gli faceva onore. Non tutti avrebbero scelto una strada del genere con un simile potere, ed era per questo che Aaron cercava, in qualche modo, di ''differenziarsi''.
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Red Tangle
FantasyAkai è un ragazzo di diciassette anni intrappolato in un labirinto di pensieri infiniti, che lo tiene prigioniero da quando era piccolo. Due occhi rossi come il sangue sono la sua caratteristica principale, in quanto, grazie ad essi, è capace di pre...