«Siete sicuri che Irina se la caverà da sola?», chiese la maga mentre seguiva il resto del gruppo, che avanzava lungo l'oscura scalinata in pietra.
«Accidenti a lei!», esclamò Matt. «Non capisco che bisogno c'era di essere così ostinati! Insomma, questa è una missione seria, si può rischiare la vita! Non ci pensa a questo? No, per lei l'unica cosa importante è quella di dover eliminare quel folle maniaco!». Sembrava ce l'avesse con la sua compagna, ma in realtà non era davvero così. Certo, a parere suo non avrebbe dovuto comportarsi in quel modo, però adesso che cosa poteva farci? Avrebbe solo potuto lamentarsi e basta.
«Se non vado errato, Irina era molto decisa nel combattere quel ragazzo. Sicuramente per lei è qualcosa di più importante anche della sua o della nostra vita, qualcosa che le dà la forza di continuare a vivere», disse Akai, guardando terra e con tono basso.
«Ho capito, Akai, però non è questo il modo in cui si comporta un membro di una squadra, accipicchia!», gli rispose il castano.
«Chissà che cosa gli avrà fatto per meritare così tanto odio da parte sua», si domandò Candy, guardando in alto. Anche se Irina non era in grado di provare in maniera corretta le sue emozioni, riteneva che non avrebbe odiato qualcuno per puro caso. Anche perché lei non era molto capace di provare odio, seppur l'esistenza di Murasaki dimostrasse l'opposto. Il fatto era che per la russa risultava impossibile odiare qualcuno che non le aveva fatto nulla, e che quindi le era indifferente. Lei sarebbe arrivata ad odiare qualcuno al punto di volerlo uccidere solo se, questo qualcuno, le avesse causato un dolore talmente profondo da non essere più riparabile. E Murasaki aveva proprio fatto questo, ma gli altri non conoscevano i particolari.
«Aaron, tu che sei capace di leggere i pensieri, non hai letto nella mente di Irina allo scopo di comprendere tale motivazione?», gli domandò Akai.
Immediatamente, il canadese gli rivolse lo sguardo. Con voce vagamente triste gli rispose: «Ho preferito non farlo. Non l'ho fatto con nessuno di voi, poiché non mi va l'idea di frugare sgradevolmente nei vostri animi e ricordi».
Per un attimo, Aaron percepì quasi tutti gli sguardi su di lui. Dalla mente dei suoi compagni udì lo stesso pensiero: Sì, capisco.
Poco dopo, i Senshi giunsero ad un ulteriore portone, praticamente identico a quello che portava alla sala in cui avevano incontrato il marionettista.
La squadra, prima di avanzare oltre, rimase immobile con le menti annebbiate da chi si potesse trovare dietro quel grosso portone in legno. Inoltre, seppur impegnandosi, Candy, Matt e Aaron non riuscivano proprio a non domandarsi se Irina se la sarebbe cavata o meno, contro Murasaki.
Alex aprì il portone, in maniera quasi istantanea e naturalmente brusca. Non appena lo fece, un grande fascio di luce illuminò la buia area in cui i Senshi ancora si trovavano. Quella era una sala che disponeva di un'illuminazione molto più forte rispetto a quelle precedenti.
Ancora con gli occhi socchiusi, i componenti entrarono nella stanza. Il colore principale era il blu, tutto girava e si modellava attorno ad esso.
Ma questi... Aaron non fu in grado di terminare la frase nella sua testa, che Akai tradusse ciò che vi era scritto sulla targhetta in argento sopra al portone.
«Sala lapislazzuli», disse il ragazzo, in un certo senso rubando le parole al suo compagno.
Il pavimento, interamente in lapislazzuli, era composto da molte intrecciature a mosaico, con altre forme ovali che ricordavano delle catene. Al centro della sala vi erano quattro colonne, di forma perfettamente rettangolare. Quello spazio era colmo di vasi dalla forma allungata e slanciata alla cima e tozza al fondo. Inoltre, sulla sinistra, in maniera quasi imboscata, era presente una ruota per mulino che dolcemente accarezzava l'acqua cristallina sotto di esso. Il movimento era talmente delicato che solo trattenendo il respiro e tendendo con attenzione le orecchie si riusciva ad udirlo.
Al lato desto, parallelo con quella ruota, vi era un piccolo spazio di terra bagnata sempre dall'acqua dove crescevano delle piccole piante. Tenendo conto di ciò, si sarebbe potuto pensare che chiunque si trovasse all'interno di quella sala, o almeno chi vi ci passasse più tempo, aveva interesse nella coltivazione e nella natura.
La presenza di quelle cose che generalmente sarebbero dovute stare all'esterno, faceva puzza sotto il naso dei fratelli Jonesty e di Akai. Non si poteva certo affermare lo stesso per la maga e il ragazzo inglese, che sembravano sorpresi ed entusiasti alla visione di quel piccolo campo coltivato.
Improvvisamente, nella sala si udì una risata che quasi fece sussultare i presenti, e che successivamente riecheggiò vigorosamente nell'aria, facendo notare quanto eco facesse un rumore prodotto lì dentro.
«La trovate bella, questa sala, dico bene?». Dopo quella frase, che i Senshi avevano capito fosse da parte di una donna, ci fu di nuovo una risata molto divertita.
Akai e i suoi compagni si affrettarono a cercare con lo sguardo la persona che aveva prodotto quei suoni, e che continuava a ridacchiare. Non videro alcuna sagoma, la stanza risultava vuota.
«Miei cari, non mi troverete mai laggiù. Perché invece non fate finta di ammirare il cielo e guardate verso l'alto?», enunciò la voce.
A quel punto, i Senshi fecero istintivamente ciò che gli era stato detto. Guardando su, videro che le colonne erano collegate tra di loro attraverso altri pilastri posti orizzontalmente. Sopra uno di questi, vi era qualcuno. Non appena Akai la intravide, la donna che sedeva a gambe accavallate sorrise mostrando i denti.
«Ed ecco che state guardando la stella più luminosa dell'intero universo».
Successivamente la donna si sbilanciò volontariamente all'indietro, e con una sequenza di giravolte riuscì ad atterrare in maniera più che perfetta. In quel momento, era sembrata una diva del cinema che aveva appena terminato di scendere una lunga scalinata in modo lento, sensuale ed elegante.
«State attenti», disse Akai, a bassa voce. Dopodiché prese il suo coltello.
La donna si tolse il cappuccio, lasciando i suoi lunghi capelli liberi di muoversi nell'aria. «Con immensa gioia e gratitudine da parte di coloro che vivono dentro questo castello...», mentre parlava avvicinò due dita al seno, e da lì estrasse una carta, per poi posizionarla vicino alle labbra, «io vi do il più lieto benvenuto nella magnifica sala lapislazzuli». Dopo aver detto ciò, baciò la carta che teneva tra l'indice e il medio.
Quella donna indossava dei lunghi stivali in pelle col tacco a spillo di colore fucsia che gli arrivavano fin sopra le ginocchia, risvoltati e con i lacci color porpora. Aveva dei fianchi da paura, che la maggior parte delle donne avrebbe invidiato. Le cosce erano in parte scoperte e quasi splendevano sotto la forte luce della sala.
Un corsetto nero come la pece che sembrava essere molto stretto, che metteva in particolare evidenza il suo seno prosperoso e che le copriva anche parte delle cosce. I lacci del corsetto erano dello stesso colore degli stivali.
Le spalle erano coperte da delle spalline di forma triangolare, che sembravano essere tutt'uno con le maniche che le coprivano le braccia — tranne in alcuni punti, visto che erano strappate. Alle mani, dei guanti particolari, che lasciavano comunque scoperte le dita, squisitamente modellate e con unghie del colore che pareva essere il suo preferito: fucsia.
Il volto, pur essendo delicato, aveva anche dei lineamenti marcati. La forma degli occhi, per esempio. Non si capiva se fosse per via dell'abbondanza di trucco o meno, ma questi parevano essere più grandi del normale, però in un modo affascinante, come se fosse più facile per lei essere ricordata, con quelle iridi color magenta. Le labbra erano bordeaux per via di un rossetto, le sopracciglia erano curate nei minimi dettagli, e raggiungevano quella che si sarebbe potuta definire la perfezione.
Infine, i capelli, che le scendevano soavemente sul seno e si poggiavano sulle sue spalle e guance. Sarebbe stato più rapido dire che anche questi erano di colore fucsia, ma ad essere precisi non era proprio così. Sicuramente il fucsia, nei suoi capelli e non solo, era il colore che spiccava e si intravedeva maggiormente, ma ce n'erano anche degli altri, tra cui magenta, rosso vino e anche delle punte color vermiglio.
Osservando per bene le sue forme, a Matt venne istantaneo arrossire un po'. È-È questo l'avversario che dobbiamo affrontare? Si trattenne dal non assumere un'espressione che lasciasse chiaramente trasparire le sue emozioni. Sento provenire qualcosa da lei. Sembra quasi che la sua aura trasmetta talmente tanta energia, da risultare estremamente forte. Così tanta energia da quel corpo... da quelle curve, pensò, posando involontariamente lo sguardo sul suo seno. Accidenti a te, stupido! Si può sapere dove stai guardando?! Non è questo il momento per osservare certe cose, e che cavolo!
La donna si accorse che Matt faticava a guardarla, così ridacchiò e ne approfittò per proferire altre parole. «Cosa c'è di più bello al mondo nell'avere degli ospiti dopo un lungo e incalcolabile periodo di tempo?». Girò la carta, mantenendo quel sorrisetto inebriante in volto. «Avere degli ospiti affascinanti!», disse poi, facendo l'occhiolino.
W-Wow... com'è bella, cavolo. Matt non riuscì a trattenersi dal pensare ciò. Anche se tra poco avrebbero dovuto scontrarsi, non si poteva in alcun modo negare la realtà dei fatti: quella donna possedeva una bellezza fuori dal comune. Provocante, dallo sguardo voluttuoso; il classico tipo di donna che farebbe cadere chiunque ai suoi piedi.
«Il mio nome è Saiku Gamble, però all'interno di questo castello sono stata ribattezzata con il nome Dice», pronunciò i suoi nomi quasi sussurrando. «Sono un'umile servitrice di colui che è definito il "Signore dell'oscurità", al fine di ottenere qualcosa che lui mi ha promesso - è stato proprio lui che mi ha dato questo nuovo nome! Ho preferito dirlo direttamente poiché ritengo sia alquanto inutile tenerlo nascosto, non pensate? E in ogni caso, lo sapete già! Uh uh!».
Dopo aver sentito il suo nome, Candy assunse un'espressione riflessiva. Cominciò a fare spazio nella sua testa e capire dove avesse già sentito quel cognome. "Gamble". Sì, gli sembrava di averlo già sentito, ma non ricordava esattamente dove e in quale contesto.
«Io mi sono presentata, adesso perché non lo fate voi?», disse Saiku, guardando per primo Matt. «Vuoi iniziare tu, handsome?».
Matt tese le orecchie, e l'ultima parola pronunciata da Saiku gli rimbombò nelle orecchie per i secondi a venire. Oltre che ad essere una parola positiva nei confronti del ragazzo, era stata anche pronunciata molto bene. Wow, pensò, che bella pronuncia. Non poté fare a meno di accennare una risposta.
«Ehm, d-dici a me?», domandò, sforzandosi di guardare gli occhi, solo gli occhi e non altri punti molto più in evidenza del corpo di quella donna. «Io mi chiamo...».
«Non dargli corda, idiota», lo interruppe Alex, mantenendo lo sguardo fisso davanti a lui, più precisamente sugli occhi del nemico.
Matt lo guardò, ancora con la bocca semi aperta e con occhi confusi.
«E perché non dovrebbe? Stava semplicemente rispondendo alla domanda che gli ho posto. Non vedo dove sia il problema, ragazzone», gli disse Saiku, mettendosi la carta tra i denti.
«Smettila di atteggiarti in questo modo. Mi dai sui nervi», gli rispose lo statunitense.
«Ooh! Ma guarda un po'! Pare proprio che qui, tra questi ospiti così affascianti, si nascondano dei caratterini piuttosto... interessanti», commentò la donna, spostandosi lentamente e producendo un rilassante tacchettio. Arrivò a mettersi di schiena contro una colonna, e una volta lì si tolse la carta dalla bocca. «Ma dimmi, c'è per caso qualcosa che non ti dà sui nervi, Alexander Jonesty?».
Quando udì il suo intero nome, ad Alex venne spontaneo di avanzare a passo pesante verso di lei con l'intento di zittirla una volta per tutte. Tuttavia, la mano del fratello gli impedì di farlo. Quest'ultimo gli disse che avrebbe fatto meglio a restare dov'era, almeno per ora. Chissà perché, ma tutti sembravano percepire una forza mirabolante in Saiku, talmente tanto che l'unica cosa che riuscivano a fare era restare immobili. Era come se quella forza gli stesse parlando, convincendoli sempre di più a stare fermi lì dov'erano.
Saiku attese che Matt terminasse la sua presentazione, ma non lo fece. Successivamente sperò che qualcun altro avrebbe preso il posto dell'inglese, presentandosi, ma ciò non accadde. «E va bene», disse, dopo un lungo silenzio. «Visto che non volete presentarvi, non mi rimane altro che farlo io stessa». Sembrava aver assunto un tono più serio, ma ciò cambiò non appena iniziò a dire i loro nomi, partendo da Alex. «Come ho appena detto, tu sei Alexander Jonesty, e vieni definito un leone. Mi piacciono tanto i leoni, sono così belli e mi fanno venire voglia di cavalcarne uno e ammaestrarlo. Vuoi essere il mio leoncino, Alexander?».
Alex piegò la schiena per l'immensa rabbia che stava provando. Puttana di merda, ti ammazzo. Il suo collo era cosparso di grosse vene e il volto iniziava a diventargli rosso. Ti ammazzo, ti ammazzo! Come via per sfogarsi, conficcò le dita nel pavimento, ne afferrò un pezzo e iniziò a stringere fino a farlo diventare polvere. Ripeté l'azione altre volte.
«Tu invece sei Aaron Jonesty, nonché suo fratello minore. Tu vieni visto come un barbagianni, eh? Beh, riflettendoci un pochino si potrebbe comprendere come mai è definito un animale adatto a te». Sapendo la prossima frase che aveva intenzione di dirgli, il canadese si strinse nelle spalle, come disgustato. «Ma lo sai che il periodo riproduttivo di questi uccelli coincide proprio con il mese in cui ci troviamo?», disse Saiku, con sguardo e tono sensuale.
Alex creò un forte rumore con un pezzo del pavimento che aveva staccato. «NON RIVOLGERTI A MIO FRATELLO IN QUEL MODO, RAZZA DI NINFOMANE!».
«Oh oh», Saiku spostò gli occhi su di lui, «protettivo nei confronti del fratellino. Davvero dolce, così tanto che quasi mi dispiacerebbe rubarvi l'uno dall'altro», commentò, leccandosi le labbra.
Con la stessa velocità e potenza di un fulmine, Alex scheggiò dal punto in cui si trovava, intenzionato a colpire quella donna, che stava giocando fin troppo con la sua pazienza. Anzi, aveva definitivamente superato il limite. Ad ogni modo, non fu in grado di teletrasportarsi oltre i quattro metri, che una linea di colore bianco comparve sul pavimento, dividendo la stanza a metà.
«Buono, leoncino», disse Saiku. «Prima terminiamo le presentazioni». Successivamente diede una lenta leccata i bordi della carta che teneva tra le dita, questa volta tra il medio e l'anulare. La linea che la divideva dai Senshi l'aveva tracciata lei, con l'aiuto di quella carta. Nessuno dei presenti sapeva che cosa sarebbe accaduto se qualcuno di loro avesse oltrepassato quella linea, ma forse era meglio non scoprirlo. Già solo guardandola, con la consapevolezza che era stata proprio opera di Saiku, dava un profondo stato di preoccupazione. Avrebbe spinto chiunque chiunque a starvi lontano.
Alex s'immobilizzò, ancora con espressione furiosa. Aaron gli disse di riavvicinarsi a lui e gli altri compagni, e così fece lo statunitense, ma solo dopo aver fulminato Saiku con lo sguardo un paio di volte. Quest'ultima sembrava essere soddisfatta nell'aver ricevuto quelle occhiate da parte di Alex. Lo aveva appena incontrato, ma già lo trovava affascinante, con quei suoi muscoli in bella vista. I capelli che tentavano di rimanere in ordine, ma proprio come lui non riusciva a controllare i suoi scatti di rabbia, questi non riuscivano a mantenersi appoggiati sulla testa e sentivano il bisogno di scendere sulla fronte. E poi quegli occhi dello stesso colore dell'oceano, sconfinati e ardenti. Quegli occhi gli ricordavano, se anche di poco, il suo dolce Murasaki. Già solo pensare quel nome, per poi ricollegarci mentalmente la figura del russo le faceva venire voglia di toccarsi intensamente. Ma dato che doveva fare la conoscenza con ancora tre dei suoi ospiti, non sarebbe stato quello il momento più adatto. Mentalmente si disse che lo avrebbe fatto dopo aver passato un po' di tempo con loro. Nella sua testa si formò l'immagine di un cuore pulsante.
Matt disse ad Alex che avrebbe dovuto starsene un po' fermo. Quest'ultimo, stranamente, lo ignorò.
«Bene, andiamo avanti». Come se fossero parte di una formula magica, non appena la donna pronunciò quelle parole, la linea iniziò a dissolversi e scomparve. Agganciò Akai con lo sguardo, e ampliò di poco il sorriso. «Oh, ma che bel ragazzo abbiamo qui, di fianco al fustacchione biondo. Tu sei Akai Sueki. Il tuo nome simboleggia il colore rosso, mentre il cognome deriva dalla parola "sangue". Questo mi fa pensare che tu possegga un animo che in un certo senso viene abbracciato dal sangue, o in generale dal pericolo. Lo penso anche per gli animali che ti rappresentano: il serpente e lo squalo». Akai non si mosse, sguardo fermo e orecchie tese. «È difficile trovare qualcuno che non provi paura per questi due animali, è così. Però devo ammettere di avere un lato che stravede per i ragazzi come voi: misteriosi, che sono circondati dalla paura in più modi, e con uno sguardo indecifrabile». Dopo aver detto ciò, Saiku si lasciò andare ad un profondo sospiro, mentre abbassava la mano per raggiungere il petto. «I tuoi occhi sono senza ombra di dubbio tra i più unici che io abbia mai visto, Akai. Sono pronta a scommettere che se qualcuno te li cavasse, potrebbe rivenderli ad un prezzo cospicuo». Fece una pausa, e chiuse gli occhi. «Ah, diamine. Credo che se ti guardassi ancora negli occhi, non riuscirei più a controllare me stessa. Il mio lato che freme dalla voglia di andare a letto con te sta scalpitando e se mantengo il contatto visivo o anche solo se penso al tuo sguardo... c'è davvero il rischio che io possa fare qualcosa di molto indecoroso, considerando che il mio Comandante mi sta osservando. Ma lascia solo che ti dica una cosa, Akai Sueki. Non mi dispiacerebbe se tu, come serpente, mi stringessi fino a farmi quasi perdere la capacità di respirare. Oppure, se come squalo, tu mi mordessi in ogni punto del corpo, magari anche facendolo sanguinare».
A quelle parole, sia Akai che il resto della squadra rimasero disgustati. A differenza dei suoi altri compagni, l'indignazione sul volto di Akai non era presente, ma lo era a grande quantità dentro di sé. Gli sembrava di avere a che fare con un suo target che gli faceva richieste assurde che lui aveva l'obbligo di esaudire. Non fu nemmeno in grado di pensare ad una frase che potesse rappresentare la nausea che quelle ultime parole di Saiku gli avevano fatto provare. Niente, non pensò niente. Ascoltò solamente, a denti serrati.
Immediatamente, Saiku riaprì gli occhi. «Oh, diamine. Perdonate questo mio lato, non sa proprio che cosa sia il contegno», ribadì, come se ignorasse ciò che aveva detto. Il suo sguardo, per un attimo sembrava essere sereno, poi ritornò quello di poco fa: estremamente e dannatamente provocante. Cambiò anche tonalità di voce, tornando a quella che aveva avuto finora. «Dunque, andiamo avanti. Oh, ma abbiamo un altro bel ragazzone, qui! E quanto sei alto!», disse a Matt, rilassando lo sguardo.
Il castano non riuscì a trattenersi dall'arrossire.
«Oh, sei diventato rosso, mio caro e tenero Matthew». Non appena Saiku pronunciò quello che era il suo nome, l'attenzione di Matt sembrò essere tirata bruscamente da una fune.
«M-Ma tu come fai a sapere i nostri nomi e gli animali che la nostra organizzazione ci ha affibbiato?», domandò il ragazzo.
Saiku alzò un sopracciglio. «Beh, partendo dal fatto che Kaneshi vi conosce quasi alla perfezione, in particolare uno di voi». Prese qualcosa dalla tasca. «Guardate, questi siete voi, no?». Mostrò agli ospiti delle immagini che li ritraevano quando erano piccoli. Quest'ultimi sembrarono essere parecchio impressionati da ciò. Chi aveva la bocca semi aperta, chi la fronte corrugata.
«Sono anni che Kaneshi ha queste fotografie. Sono rare delle foto in cui voi siete il soggetto principale, vero?». Dopo quel commento, se le rimise in tasca. «Poi, al fine di ottenere più informazioni per conto mio, ho sovrapposto le mie carte a queste fotografie, ed ho potuto leggere un paio di cosucce sul vostro conto. Sapete, le mie carte sono speciali e riescono a fare magie. Conosco molte cose su di voi, come per esempio i vostri gusti nel partner dei sogni, almeno chi ce l'ha. Per esempio, a te, caro e tenero Matthew, piacciono le ragazze la cui personalità si possa incastrare in maniera egregia con la tua. Non t'importa poi granché del fisico, basta che sia attraente ai tuoi meravigliosi occhi arancioni, dico bene?».
Matt sentì il suo corpo ghiacciarsi, come se Irina lo avesse toccato. Ci aveva azzeccato in pieno. Aveva fatto una descrizione migliore di quanto il cervello di Matt avesse fatto nel momento in cui giunse a quella conclusione. Era davvero inquietante, che quella donna fosse a conoscenza delle loro informazioni personali.
«Poi, tu, piccolo Aaron. A te non importa dell'aspetto fisico, ti basta che sia una persona che possa attrarti dal punto di vista mentale, che possa farti passare il pensiero di leggergli nella mente per comprendere cosa gli passa per la testa. Vorresti incontrare una persona che dispone una mentalità talmente complessa da far risultare il tuo potere inefficace, in modo da conoscerlo dialogandoci e non leggendogli nel pensiero. Ci ho azzeccato, non è così?».
In quel momento, il canadese arrossì a dismisura, e iniziò a provare un accenno di rabbia nei confronti di quella donna. Si sentiva imbarazzato da tutto ciò che aveva detto, che era poi la verità. Comunque, si sentì leggermente sollevato del fatto che non avesse aggiunto altro.
«Vedete? Io so molte cose su di voi. Ecco perché vi trovo estremamente interessanti e ci tengo a passare dei bei momenti con voi. In particolare con te, caro e dolce Matthew». Di nuovo, Matt arrossì, ma questa volta di meno. «Una tigre. È questo l'animale che ti rappresenta secondo il tuo capo. Ah, posso affermare con fermezza che le tigri rientrano tra i miei animali preferiti, specialmente quelle di colore bianco. Sono così affascinanti, forti, e mi piace pensare anche che siano timide, dall'interno. Più o meno come te. Ah, quanto mi piacciono i ragazzi che si mostrano timidi dall'esterno, ma poi all'interno hanno un carattere totalmente diverso. Voglio dire, Matthew, secondo me riusciresti a fare scintille insieme ad una ragazza, visto la tua temperatura corporea», gli disse, facendogli poi l'occhiolino.
Dopo quella frase, Matt sembrava aver ricevuto un pugno sul naso. Un bel, strano e imbarazzante pugno, dritto sul naso. Iniziò a fare delle movenze goffe, segno che era molto in imbarazzo per le parole di Saiku.
«Oh oh! Non siate timidi. Con me non bisogna certo esserlo», commentò poi quest'ultima.
«Adesso me lo ricordo», disse una voce femminile, con tono talmente basso che nessuno capì ciò che aveva detto. Candy alzò lo sguardo, verso la donna soprannominata Dice. «Il tuo cognome... mi sembrava di averlo già sentito. Tu sei la figlia di Moiko Garashi, il miglior mago della Quarta Generazione dei Maghi, che si faceva chiamare Moiko Gamble».
I suoi compagni la guardarono: Candy aveva le fini sopracciglia aggrottate, che sembravano modificare la forma dei suoi puri occhi verdi.
Saiku rise di gusto, compiaciuta. «Grandioso! Mi fa piacere che qui tra voi ci sia un'ammiratrice del mio predecessore, il mio caro papino». Squadrò rapidamente Candy da capo a piedi, come se fosse una ragazza vestita interamente in abiti firmati che giudicava in malo modo un'altra ragazza che vestiva con abiti economici. «E tu sei Candeline Fresa, la figlia di Aurora Fresa, nonché una delle maghe più note della Quarta Generazione dei Maghi».
Udendo le sue parole, improvvisamente Matt e Aaron si ricordarono che Candy aveva loro parlato di quella che era la Generazione della Magia. Il ragazzo inglese fece mente locale per ricordare al meglio quello che aveva detto la maga.
STAI LEGGENDO
Red Tangle
FantasyAkai è un ragazzo di diciassette anni intrappolato in un labirinto di pensieri infiniti, che lo tiene prigioniero da quando era piccolo. Due occhi rossi come il sangue sono la sua caratteristica principale, in quanto, grazie ad essi, è capace di pre...