12.

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Ore 00:00, turno di Irina.
Per l'intera durata del suo turno, la ragazza non mostra alcun segno di stanchezza, e cambia posizione poche volte (seduta, in piedi, di nuovo seduta). Appena la lancetta più corta dell'orologio indica il numero 1, Irina si reca nelle vicinanze di Matt, intenta a svegliarlo. Quest'ultimo si sveglia definitivamente dopo due minuti e quarantasette secondi. Nulla da segnalare.

Ore 01:00, turno di Matt.
Egli trova fatica nel rimanere sveglio per così a lungo — data l'incredibile quantità di stanchezza, che gli fa sembrare una sfida mantenere gli occhi aperti. Si schiaffeggia leggermente il viso e si pizzica le guance spesso per non cadere vittima del sonno, si agita in maniera silenziosa per la frustrazione nel rimanere sveglio nelle ore in cui normalmente avrebbe dormito.
Finalmente, scoccano le 2, e Matt si alza da terra, avvicinandosi a suo malgrado al Guerriero che avrebbe seguito il suo turno. Fortunatamente, Alex era sveglio da un po', quindi, appena vede il ragazzo inglese, gli prende l'orologio dalla mano e si allontana, dando così inizio al suo turno di guardia. Matt gli lancia un'occhiata di sfida e in men che non si dica riprende il sonno che aveva faticosamente interrotto. Nulla da segnalare.

Ore 02:00, turno di Alex.
Il ragazzo dagli occhi azzurri passa tutto il turno seduto accanto al fratello e qualche volta lo osserva mentre dorme. Gli vengono in mente dei ricordi di quando lui e Aaron erano più piccoli, di quando quest'ultimo dormiva con la testa appoggiata sulle sue gambe.
Dopo svariati minuti, il biondo controlla l'orologio: la lancetta più corta indica il numero 3, mentre quella più lunga il 12. Alex è indeciso su che cosa fare. Avrebbe tranquillamente fatto anche il turno del fratello, così da farlo dormire un'ora in più rispetto agli altri, ma poi decide di svegliarlo, in quanto, se non l'avesse fatto, Aaron avrebbe sicuramente avuto qualcosa da ridire.
Il minore si sveglia, Alex gli sposta i capelli dal viso e lui si alza. I due si scambiano qualche parola a bassa voce e Aaron manda Alex a dormire. La somma totale del tempo che Alex ha passato ad osservare il volto di suo fratello mentre era addormentato, è di quindici minuti. Nulla da segnalare.

Ore 03:00, turno di Aaron.
Il canadese si stropiccia gli occhi e sbadiglia svariate volte nei primi venti minuti. Ogni tanto dà un'occhiata a suo fratello maggiore, per controllare se stia dormendo. Il rumore delle foglie che si muovono dolcemente per via del vento attira l'attenzione del ragazzo dai capelli color miele, ma solo per dei brevi attimi. Anche durante il suo turno, l'atmosfera pareva tranquilla.
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Non mi sento bene, qualcosa sta cercando di soffocarmi. Sento un vento freddo che viaggia ad alta velocità verso di me, esso penetra nel tessuto dei miei vestiti, bloccandomi il respiro, come se stessi annegando in un mare dalle acque gelide.
I miei occhi si aprono di scatto, la prima cosa che sento è il mio respiro affannato, la seconda è l'accelerato battito del mio cuore. Sopra di me, un cielo coperto da nuvole grigie. Sembra che si stia preparando un minaccioso acquazzone.
Alzo il busto, e come al mio solito, appoggio una mano sulla mia fronte. Questa è un'azione che eseguo ogni volta dopo essermi svegliato. Lo faccio per sistemarmi i capelli, per cercare di tenere a bada il mal di testa — che in alcuni e strani casi è dovuto all'incubo che ho fatto mentre avevo gli occhi chiusi —, oppure per stropicciarmi gli occhi, passando così la mano sul viso. In questo caso, l'ho fatto per sistemarmi i capelli.
Non appena sposto lo sguardo dalla mia mano, posso vedere cosa mi circonda. Prima di tutto, sono seduto su dell'erba ancora bagnata — magari è mattina, magari ha piovuto. Il terreno dà una piacevole sensazione alla mia mano, che passa su di esso come se fossi un bambino affascinanto dalle gocce d'acqua che invadono i fili d'erba. Ad ogni modo, questa piacevole sensazione sparisce non appena mi accorgo di essere solo. Non ci sono... Ugh! Cosa...? Qualcosa mi ha punto sulla fronte. No, sento un piccolo dolore all'interno del mio cervello, più precisamente alla parte destra. Non capisco... Stavo per dire qualcosa, ma è come se mi fossi accorto che non... mi appartenesse. Non ricordo cosa volevo dire dopo. "Non ci sono". Chi è che non è qui? Quanti sono?
Cerco di darmi una calmata, mi stavo lasciando trasportare dai miei strani pensieri. Devo alzarmi. Mi sento le gambe intorpidite, non riesco più a stare seduto. Una volta in piedi, tolgo la mano dalla mia fronte e mi guardo attorno. Niente... vuoto... un cancello. Un cancello? A prima vista mi sembra di stare nella natura, cosa ci fa un cancello qui? E inoltre... non vedo nulla dietro. È come se fosse un cancello che non porta da nessuna parte, una costruzione inutile. Comunque, dato che qui intorno non c'è altro, mi avvicino ad esso. Un passo dopo l'altro riesco a prendere il pieno controllo delle mie capacità motorie, e inoltre mi sembra di intravedere qualcosa dietro a quel cancello. Non solo dietro, ma anche di fianco. Delle mura. Ma... prima non c'erano. Saranno alte... all'incirca un metro. Mi avvicino ancora di più, la mia curiosità sta mandando delle lievi scariche di adrenalina al mio cervello.
Io sono alto un metro e settantadue centimetri, e queste mura mi arrivano poco sopra la vita. Sono fatte interamente di mattoni marroni. Comunque... anche se sono più alto di queste mura... non riesco comunque a vedere cosa c'è dentro. Non riesco a capire.
Mi avvicino al cancello, esageratamente alto rispetto a me (almeno sei metri). Noto che sopra la serratura vi è un disegno di un drago cinese, non più grande della mia mano. Stranamente, il cancello si apre. Però, io non ho fatto nulla, l'ho solo osservato.
Esso completa la sua apertura, ed io vedo ciò che ai miei occhi era parso invisibile fino a poco prima. Quello che si trova dietro al cancello, quello che le mura coprono... è un cimitero.
Ingoio rumorosamente la mia saliva e faccio un passo avanti. Che strano, è come se la temperatura fosse cambiata, all'improvviso sento di nuovo un debole vento freddo che mi accarezza in modo rozzo la pelle. Stringo i denti e continuo ad avanzare. Prima di rendermene conto, arrivo davanti ad una lapide. Sono esattamente nel punto in cui giace... il signor Kwari Otakata. Aspetta un momento... Il mio corpo si blocca, posso sentire chiaramente che il mio cuore ha saltato un battito. Inizio a viaggiare con la mente, attraverso i miei ricordi. Questo nome... mi è familiare. Ci sono! Adesso ricordo. Quest'uomo era nella lista di Higuma. La famosa lista di criminali giapponesi (o che si trovavano in Giappone) di cui mi sarei dovuto occupare io stesso. Io ho ucciso quest'uomo. Sì... Lui è stato un mio target. Quanto tempo fa? Due, o forse tre anni fa? "Otakata" era un cognome molto conosciuto fino ad un paio d'anni fa. Quest'uomo ha commesso atroci crimini e si è macchiato del sangue di molte persone facendola franca ogni singola volta. Ecco perché Higuma me l'aveva affidato. "Potrà anche scappare dalla polizia, da comuni esseri umani, ma non potrà scappare al tuo sguardo". Argh, di nuovo quel lieve dolore alla testa... Mentre mi massaggio la fronte con la mano destra, continuo a guardare la lapide. Come mai nella mia testa risuonano le parole di Higuma?
Dopo un po' tolgo la mano dalla fronte e abbandono la tomba del signor Otakata, e passo a quella di... Urebaki Mono. Di nuovo? Anche... anche lui, in passato, è stato un mio target... Ecco, il mio cuore ha saltato di nuovo un battito — e questa volta ha fatto male. Ma che significa tutto ciò? Per caso, questo è il cimitero di tutti coloro che sono stati presi di mira dall'organizzazione e poi uccisi da me? No, mi rifiuto di crederci!
Passo alla lapide a fianco: Korowa Ryudeki. Un altro mio ex-target. No... Il mio cuore salta di nuovo un battito, ma questa volta è durato più a lungo. Inizio a correre, già affaticato. Do un rapido sguardo a tutti quanti i nomi delle lapidi. Tutti, tutti, tutti! Erano tutti miei target. Sono stati tutti uccisi da me. Terrorizzato, mi fermo e perdo la capacità di reggermi su due gambe, inginocchiandomi e poggiando i palmi delle mani a terra. Non riesco a respirare, mi viene da vomitare, ho un gran mal di testa, percepisco che tra qualche attimo le lacrime faranno la loro comparsa — e non riesco neanche a capire tutto ciò. Queste erano persone indegne. Loro hanno fatto del male ad altre persone. Ecco perché Higuma me li ha fatti uccidere. Tu sei come loro. Spalanco gli occhi e giro la testa. Chi... chi ha parlato? Non c'era nessuno dietro di me. Io... io sarei come loro? Esatto. Assalito dal panico, mi guardo attorno, per capire da dove provenisse quella voce, ma mi accorgo di essere sempre da solo. Loro sono esseri che hanno fatto del male per il puro gusto di farlo, e anche tu hai fatto così. NO! NON È VERO! Io... io l'ho fatto perché me l'ha ordinato il mio capo! Lui mi ha... mi ha sempre costretto a farlo! Sento una risata. Mi accorgo che la voce che sento, in realtà, proviene dalla mia mente. Nessuno sta parlando, sono io che mi sto immaginando queste cose. Nonostante ciò, non riesco a farlo smettere. Smettila di dire idiozie. A prima vista può sembrare come dici tu, ma in realtà eri il primo che moriva dalla voglia di trucidare quei corpi, di privarli della loro vita, di far assaggiare loro le stesse sofferenze che hanno fatto provare alle loro vittime. Volevi provare un senso di superiorità mentre guardavi i loro occhi pieni di lacrime e sangue, per poi vederli morire ai tuoi piedi. Ti prego... smettila... QUESTO MONDO SAREBBE UN POSTO MIGLIORE SE PERSONE DEL GENERE CESSASSERO DI ESISTERE! Un'altra risata. Ma bravo, ti sei fatto abbindolare da Higuma. Lo sai perfettamente: questo è il suo modo di pensare, non il tuo. Sbarro gli occhi. A te non è mai importato niente di tutto ciò, sei sempre stato impegnato a cercare di capire per quale motivo tu stessi costantemente affogando nella tristezza e nel dolore, quello che tu chiami "labirinto". Voglio farti una domanda: per caso sei riuscito a trovare l'uscita? Quel tono era vagamente provocatorio. No... non ci sono ancora riuscito. Io penso che... che l'uscita da questo labirinto, in realtà, non esista... Eccole, le lacrime.
Silenzio. Un'altra risata. Ti sbagli. Uh? L'uscita da quello che tu chiami "labirinto" c'è. Ma lo scoprirai solo al termine di questa missione. I miei occhi rimangono spalancati, il mio respiro si affanna ancora di più. A-Aspetta...! Cosa significa? Come farò a trovare l'uscita alla fine di questa missione? Non ricevo alcuna risposta, quella voce dal timbro cupo è sparita. Mi viene spontaneo fare una smorfia di dolore e rimettermi a piangere. Ma so fare solo questo? Do un pugno al suolo e poi ci appoggio la fronte. Le mie lacrime bagnano il secco terreno del cimitero. Perché quella voce non ha continuato a parlarmi? Io penso che avrebbe voluto dirmi altro, ma non l'ha fatto. Come mai? Essa sembrava conoscermi meglio di quanto io conosca me stesso. Ci sarà occasione di risentirla di nuovo, cosicché possa rispondere alle domande a cui non riesco a trovare risposta sin da quando ho memoria?
Rimango ancora un po' con la fronte appoggiata al terreno, ma poi, quando le lacrime parevano essersi placate, rialzo la testa. Mi metto in piedi e passo il braccio sugli occhi lucidi. Adesso che posso vedere meglio, noto qualcosa sul terreno. Un disegno... di una freccia. Essa mi indica di andare avanti. Io vedo solo una lunga via di lapidi, quello che c'è alla fine è interamente coperto da una debole nebbia.
Tiro su col naso e inizio a correre. Potrei dare un rapido sguardo ai nomi incisi sulle lastre di marmo, ma non è mia intenzione farlo. Sono stato costretto ad uccidere tante, troppe persone, non voglio rivedere i loro nomi. Così, con sguardo fisso verso la foschia, mi faccio strada in quella lugubre via, formata solo da nomi insanguinati.
Intravedo qualcosa, la fine di questa lunga via. Le mie gambe iniziano a muoversi ancora più velocemente e, quando non posso proseguire oltre, mi fermo di colpo. Per un attimo non riesco quasi a credere ai miei occhi, poi, però, mi rendo conto che avrei dovuto aspettarmelo. Guardo il cielo. Dall'interno della mia anima — ma non all'esterno — sorrido ironicamente, come se volessi prendermi gioco di me stesso. Abbasso lo sguardo, per esaminare al meglio ciò che indica la fine della mia corsa. Ma... Aah! Faccio un sospiro allarmato. No... C-Cosa... cosa accidenti significa? È uno scherzo? Rimpiango di aver anche solo lontanamente pensato ad un sorriso. N-No... Non riesco più a rimanere in piedi e mi inginocchio bruscamente a terra, continuando a fissare il nome inciso su quella lapide. Ichiro Higuma, era questo il nome riportato.
Improvvisamente inizio a sentire gli occhi pesanti, la mia bocca è spalancata, la mascella freme. Un brivido che mi fa alzare di scatto le spalle mi attraversa l'intera colonna vertebrale, e successivamente su tutto il corpo. Adesso sto tremando. Perché? Non riesco ancora a capire. Come mai su questa lapide è scritto il nome di Higuma? Spalanco gli occhi, il terrore aumenta e sposto lo sguardo sui palmi delle mie mani. In questo posto sono seppellite tutte le persone a cui ho tolto la vita. Ho dato uno sguardo, per quanto rapido: è così. Ciò significa... che sono stato io ad ucciderlo? E quando l'avrei fatto? No, io non avrei potuto fare una cosa del genere. Lui... Insomma, mi avrebbero ucciso.
Sento qualcosa che mi cola sul viso, ci passo la mano sopra e mi rendo conto che è sangue. Mi si blocca il respiro — questa volta definitivamente. Sto... piangendo sangue? M-Ma questo... D'un tratto, comincio a chiudere gli occhi e successivamente perdo i sensi. Non ho potuto terminare la frase per la mancanza di fiato. Non riesco a respirare.
La parte superiore del mio corpo cade in avanti, ai piedi della lapide, e appena avviene l'impatto col suolo... riapro gli occhi, ma adesso pare che sia buio.

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