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L'atmosfera che regnava in quella notte era sorprendentemente calma, quasi inquietante. Si sentiva solo il lieve fruscio delle cime degli alberi, che vibravano al vento nella profondità della foresta. Era da quasi un'ora che i Guerrieri si erano fermati per riposare e riprendere un po' di forze. Il fuoco nato dalle mani di Matt, e che ora si poggiava su dei pezzi di tronco, li riscaldava. All'inizio non sapevano di cosa si sarebbero nutriti, o cosa avrebbero bevuto, ma poi trovarono dei frutti che la vegetazione della Foresta Mori offriva, tra cui bacche, piccole mele d'un rosso sbiadito e alcune pere di colore giallo. Matt e Irina avevano assicurato al resto della squadra che quei frutti erano privi di veleno, essendone immuni. Quei frutti non erano particolarmente saporiti, ma almeno placavano la fame. Matt mangiò quattro mele, cinque pere e delle bacche — aveva una fame da lupo. Irina sembrava sazia già dopo averne assaggiato qualcuno, Candy mangiò solo le bacche, Aaron provò un po' di tutto, ma senza esagerare e Alex mangiò solo due mele. L'unico che in realtà aveva mangiato ben poco era Akai. Non sapeva se era colpa di quei frutti, ma avvertiva un intenso giramento di testa, accompagnato da un lieve senso di vomito. Sembrava fosse all'interno di una macchina da ore, mentre il veicolo faceva brusche curve. Comunque, cercò di non farci caso. Magari era solo lo stress della missione...
Per quanto riguardava il bere, invece, erano riusciti a bagnarsi le labbra grazie al ghiaccio di Irina, sciolto dalla magia di Matt. Nonostante quell'acqua non avesse sapore, riuscì a far tirare un sospiro di sollievo a tutti i presenti, che non bevevano da molte ore.
Akai pensava che quella strana sensazione sarebbe passata dopo aver bevuto un po' d'acqua, invece gli rimase, anzi, peggiorò leggermente.
Non poteva vedersi, ma la sua faccia era più pallida del solito. In realtà non si notava così chiaramente, visto che era il fuoco la loro unica fonte di luce, e non era particolarmente elevata. Ancora una volta, cercò di non farci troppo caso. Passerà, pensò.Akai fissava un punto indefinito ed oscuro della foresta, lì, tra gli alberi. Era da almeno sette minuti che stava fermo in quella posizione; braccio appoggiato sul ginocchio destro, che gli copriva le labbra, l'altra gamba passava sotto l'altro arto inferiore, che in quel momento aveva una forma a triangolo. Stava pensando a molte cose. Pensieri confusi punzecchiavano il suo cervello, strane ipotesi pullulavano al suo interno, ma il vero nucleo di tutto ciò erano dei ricordi sbiaditi, frammenti. Io, una sedia, un secchio, un secchio d'acqua. Tocco l'acqua, il mio dito si allontana da essa autonomamente, prima che il mio cervello potesse dargli il segnale; l'acqua è fastidiosamente gelida. Qualcosa di estremamente freddo, come le mani della ragazza che mi apparve in sogno, mentre sedevo sul bordo di quel laghetto, la cui faccia mutò fino a deformarsi completamente e raggiungere un aspetto incredibilmente agghiacciante. Ma cosa significava quel sogno? Chi era quella ragazza? Ragazza, bambina... quanti anni aveva? Perché anche solo pensare al freddo... mi fa questo strano effetto? Come se fossi al centro di una bufera di neve, privato dei miei vestiti. Cosa... significa tutto questo?
«Ehi», una voce delicata e leggermente insicura distolse Akai da quei grattacapi inestricabili. Il ragazzo orientale si voltò, come se inaspettatamente qualcosa lo avesse toccato in maniera brusca. Aaron era di fianco a lui, in piedi. «Posso occupare un posto di fianco a te?», gli chiese, con aria affettuosa. Akai lo fissò ancora per altri istanti. Lo aveva sentito? Aveva chiesto di sedersi di fianco a lui per distoglierlo da quei pensieri, facendo così un favore al ragazzo? «Sì... certo». Aaron si sedette. Entrambi si misero a gambe incrociate.
Inizialmente ci fu silenzio tra i due, un leggero senso di disagio li circondava, fino a quando il ragazzo canadese decise di parlare per primo, iniziando così una conversazione.
«Senti, io... ti chiedo scusa», Akai lo guardò con la coda dell'occhio, muovendo in maniera impercettibile la testa. Aaron ci mise un po' a continuare la frase e arrossì un po'. «Ti chiedo scusa a nome di mio fratello». Ah... Akai tirò un silenzioso sospiro di sollievo. Comunque, si aspettava una cosa del genere. Aaron gli sembrava il tipo di persona che cercava in tutti i modi di rimediare agli errori del fratello, porgendo mille scuse a nome suo come prima cosa.
Akai continuò a guardarlo. Socchiuse lievemente gli occhi, come se fosse sospettoso. Non sembrava stesse leggendo nel pensiero di nessuno, era troppo a disagio e imbarazzato.
Cosa dovrei fare? Sorridere e far finta di niente? No, capirebbe subito che sto mentendo. Accidenti, non è facile mentire ad una persona telepatica. Va beh... Alla fine optò per reagire sinceramente.
«Ti ringrazio, ma non c'è bisogno di sentirsi così a disagio. Non sei stato tu a sfidarmi senza apparente motivo, rallentando così la squadra». Uff. Un altro sospiro silenzioso, ma questa volta non di sollievo. Aaron tolse la mano da davanti le labbra, smettendo di mordersi l'indice per l'imbarazzo. Guardò il prato su cui sedeva, sembrava che i suoi occhi fossero tristi, oppure pensierosi... Forse la seconda. Akai non smise di guardarlo.
«Alex è fatto così. Purtroppo io non posso fare nulla per rimediare ai suoi errori, se non chiedere scusa. Cosa che, ovviamente, non basta...». Dopo aver detto quelle parole, cambiò posizione, abbracciandosi le gambe e appoggiando il mento sulle ginocchia. Non c'era bisogno di parlarci per capirlo, Aaron era senza dubbio il Guerriero più insicuro e timido.
Akai abbassò lo sguardo. Alex è fatto così. Sapeva che quella non era affatto una scusa — almeno per lui non era. Non aveva otto anni, era più che maggiorenne, sapeva come porsi alle altre persone. La sua era semplicemente una scelta, lui sceglieva di apparire in quel modo. Non ne conosceva i motivi, ma supponeva che fosse così. Non aveva un disturbo psicologico, altrimenti Aaron gliel'avrebbe detto. Quindi, il succo di tutto era che... Alex era fatto così. Non c'era altro da aggiungere.
Akai tentò di tranquillizzare Aaron. «Non me la sono presa, io me ne sono già dimenticato. Per me è come se non fosse successo nulla». Non era proprio così, ma si sforzò di non pensarlo nelle vicinanze di Aaron.
Il ragazzo dai capelli dorati alzò lentamente la testa ed inspirò in maniera rumorosa. «Va bene. Scusami». Proprio non ce la faceva a non scusarsi, anche se non aveva torto.
Successivamente ci fu altro silenzio tra i due. In realtà Aaron aveva in mente qualcosa da chiedere al ragazzo dagli occhi rossi, però, prima di farlo, doveva ripetersi la domanda nella sua testa, vedere come suonava e capire se fosse stato il caso di farla. «Akai... p-posso farti una domanda?», richiamò nuovamente l'attenzione del giovane di fianco a lui, che disse di sì con la testa. Alla fine, dopo aver riempito il cervello con quella domanda continua, gliela fece: «Tu... come ti trovi all'interno dell'organizzazione?». Non che fosse una domanda inappropriata, era lui che si faceva molti problemi.
Akai guardò attentamente i suoi occhi, che in quel momento si distolsero per l'imbarazzo, lasciando intravedere una leggera sfumatura rossa sulle guance di Aaron. «Che cosa vuoi dire?». Quella del ragazzo biondo era una domanda abbastanza generica. Cosa intendeva? Se si trovava bene col suo capo? Se le missioni affidate da quest'ultimo fossero di suo gradimento? Se si trovasse bene a vivere costantemente in quell'edificio, anzi, nella sua stanza?
«Le missioni... Che missioni ti affida il tuo capo?».
Il bagliore rosso presente negli occhi di Akai diminuì impercettibilmente. Aaron sapeva perfettamente che non si trovava bene nell'essere obbligato a stare al chiuso in maniera perenne, se non per uccidere qualcuno. Aaron non aveva un balcone nella sua stanza, il suo capo gliel'aveva vietato. Tecnicamente, ad Akai era consentito andare in balcone, ma doveva sempre fare attenzione. Le restrizioni variavano da capo a capo. Comunque, il ragazzo proveniente dal Canada voleva sapere se ad Akai piacesse uccidere i suoi target. (Ad Alex piaceva, gliel'aveva detto durante quella missione).
Il ragazzo orientale smise di guardarlo per tornare a fissare quel punto indefinito tra gli alberi, fu allora che rispose. «Le missioni che mi affida il mio capo sono di due tipi: uccidere il target appena entra nel mio mirino, quindi da subito, oppure... accalappiarlo per prendere delle informazioni». Gli venne un nodo alla gola quando disse l'ultima frase e Aaron se ne accorse. «Raramente svolgo missioni differenti. Le mie si concludono sempre con una stanza cosparsa di sangue e qualche arto di qua e di là». Voleva dire altro. Ci pensò e poi lo disse: «Aggiungerei che il 60% delle volte il target è nudo». Ad Akai vennero in mente tutte le volte in cui aveva mutilato il corpo di qualcuno, tutte le volte in cui aveva spezzato le ossa a chi cercava di portarselo a letto, di quando cosparse una stanza d'hotel col sangue del target, solo per farlo soffrire prima di togliergli la vita. Involontariamente, Akai condivise quelle immagini con Aaron, che decise di interrompere momentaneamente la lettura dei suoi pensieri.
Dal tono con cui Akai aveva risposto, Aaron capiva che non amava per nulla fare questa vita. Sì, il desiderio di uccidere qualcuno, per qualche sconosciuto motivo... è molto stimolante, però... avrei preferito vivere una vita diversa. Praticamente, le voci all'interno del suo cervello dicevano questo. Aaron rifletté. "Per qualche sconosciuto motivo". Ci deve essere qualcosa che lo spinge a commettere omicidi, che neanche lui sa. Ed è diverso da quel che prova mio fratello. Lui... Non so, è diverso... In quel momento gli tornò alla mente il fatto che i membri delle altre organizzazioni lo conoscevano come "demone". Che fosse un'esagerazione, come al solito? Oppure...
«Comunque, devo dire che non mi dispiace ucciderne qualcuno», disse Akai, che interruppe i pensieri di Aaron. Poi, quando realizzò quel che ebbe detto, sbarrò di poco gli occhi: era la risposta alla sua domanda, anzi, era quella che stava cercando Aaron.
Prima di parlare, il biondo rifletté e lesse i pensieri del ragazzo di fianco a lui, poi si sbloccò: «Quindi... provi piacere nell'uccidere?». Akai non si fermò ad analizzare il tono di voce con cui Aaron gli pose la domanda — un misto tra la preoccupazione e la paura —, ma gli rispose immediatamente.
«Diciamo che è l'unica soddisfazione che ricevo. Dover vivere praticamente segregato all'interno di un edificio e poter uscire solo per uccidere qualcuno che il mio capo reputa spregevole... non è il massimo». Non lo è neanche dover offrire il mio corpo... Ugh. «Però, sai, quando adesco un target attraverso la mia "bellezza", come dice Higuma, lui prova molto piacere. Il classico piacere che provi pochi attimi prima di avere un rapporto sessuale. Perché tanto è questo quello che vogliono...». Aaron sentì un po' di fragilità nella voce e nei pensieri di Akai. «Invece, quando tolgo loro tutto il piacere che provano, magari uccidendoli sul colpo o provocandogli un'enorme quantità di dolore... sono io quello che prova piacere. Però, è un piacere totalmente diverso. Potrebbe essere paragonabile a quando, dopo aver assunto la tua dose di eroina preferita, l'adrenalina e il piacere pervadono il tuo corpo, rendendoti... semplicemente te». Mentre Akai andava avanti e si immergeva ancora di più nella sua spiegazione, lo sguardo di Aaron si pietrificò. Quelle parole accompagnate da quei pensieri... erano disturbanti. Lui, qualcuno, un coltello nella sua mano — l'arma che deciderà l'ora del decesso della figura davanti a lui. Buio. La scena riappare: Akai è fermo e il suo corpo è cosparso di sangue, anche se nulla era paragonabile alla quantità di sangue che perdeva la vittima a terra. Ormai era un cadavere. Aveva una camicia, ma era rossa. No, in origine quella era una camicia bianca, ma adesso è diventata rossa per l'immane quantità di sangue. La scena cambiò di scatto, no, era solo dal punto di vista di Akai. Praticamente, Aaron vedeva attraverso i suoi occhi. All'uomo a terra mancavano tutte le dita, un bulbo oculare affogava nella gigantesca pozza rossa attorno a lui. Al posto del suo ex-occhio sinistro aveva un buco color rosso scuro, da cui si poteva intravedere del liquido grigio e gelatinoso che ne usciva fuori. L'occhio destro, ancora al suo posto, ma più sporgente del solito, sembrava una biglia rossa che fissava in modo assente il soffitto. N-No... Adesso la visuale era rivolta ad Akai. La sua faccia sembrava triste, o comunque molto pensierosa. Però si alternava. Akai stava immaginando più scene tutte in una volta, alcune volte era triste, altre aveva un sorriso malefico in viso, ed entrambe le volte era sporco di sangue. No!
Aaron interruppe la lettura dei pensieri di Akai. Non lo dava a vedere, ma gli sembrava di essere finalmente riuscito a tirar fuori la testa da un secchio pieno d'acqua gelata, dopo aver perso ogni speranza di poter continuare a respirare. Che cosa... Si mise una mano in fronte. Guardò Akai, che nel frattempo stava dicendo qualcosa, mentre continuava a guardare un punto fisso davanti a sé. E-Erano scene realmente successe, quelle? Akai... il... il demone... Forse il suo soprannome non era esagerato. Faceva ancora fatica a riprendersi del tutto. Aveva letto nella mente di tutti coloro che aveva incontrato, aveva sentito pensieri orribili, osceni, ma non aveva mai visto una cosa del genere. Cose stomachevoli, così malsane pensate in una maniera così calma.
Nella sua mente vagavano molte ipotesi. Magari il nome "demone" serviva solo a distinguere la sua parte "cattiva". In poche parole, era probabile che soffrisse di un disturbo della personalità.
Aaron notò che Akai lo stava guardando e subito si allarmò. Ha notato qualche atteggiamento sospetto? Accidenti, non deve sapere che-
«Come va, ragazzi?». Sia il canadese che l'asiatico si girarono — ma il movimento di Aaron fu più fulmineo. Matt torreggiava dietro di loro. «Vi dispiace se mi unisco a voi?», chiese, anche se aveva già preso posto tra i due. «Allora, di cosa parlavate?». Si mise in una posizione comoda, aspettando che qualcuno dei due rispondesse. Aaron guardò Akai, che in quel momento fissava il collo di Matt. No... non ho lasciato trasparire nulla... meno male.
Akai alzò lo sguardo e rispose: «Di come uccidiamo i nostri target. Tu cosa ci puoi dire, Matt?». Sembrava che avesse detto qualcosa di sbagliato, perché Aaron lo guardò in modo strano. Comunque, Matt rispose, con tono pacato. Aaron tirò un sospiro di sollievo. Anche se quei pensieri non volevano abbandonarlo. Non trovava una risposta.
Sull'elicottero mi è sembrata una persona diversa. Figurati, cosa ne vuoi sapere? Vorresti giudicare la sua personalità solo dopo un paio d'ore averlo conosciuto? Effettivamente... Potrebbe avere un lato nascosto. Il mio ragionamento sul suo soprannome... poterebbe essere corretto...
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Red Tangle
FantasyAkai è un ragazzo di diciassette anni intrappolato in un labirinto di pensieri infiniti, che lo tiene prigioniero da quando era piccolo. Due occhi rossi come il sangue sono la sua caratteristica principale, in quanto, grazie ad essi, è capace di pre...