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Era ormai da mezz'ora che Akai si era allontanato dal resto della squadra. Disse di dover orinare, perciò agli occhi degli altri Senshi non risultò strano il fatto che si fosse allontanato così tanto. Certo, magari uno come Matt non sarebbe andato così lontano, però dipendeva dal soggetto.
A quel punto, gli altri avrebbero potuto pensare che anche quella fosse una scusa, oppure che, dopo aver fatto ciò per cui si era allontanato, un nemico gli stesse impedendo di tornare indietro, il che fu un tantino strana come ipotesi. Data la forza di Akai, si sarebbe dovuto trattare di un nemico che avrebbe indiscutibilmente messo in difficoltà ogni Senshi. Irina temeva proprio questo. Secondo la ragazza proveniente dalla Russia, si sarebbe poi rivelato svantaggioso se tutti i componenti si fossero recati nella posizione di Akai. Irina teneva sempre gli occhi ben aperti, e ritenne opportuno mandare la maga spagnola a controllare come stesse Akai — viste le sue infinite abilità.
Al ragazzo dagli occhi color sangue furono sufficienti un paio di secondi per fare i suoi bisogni e all'incirca otto minuti (compreso il ritorno) per andare al lago a lavarsi mani e faccia. Spese diciassette minuti per stare un po' per conto suo. Sentì come di essere stato distante dal suo labirinto mentale nelle ultime ore. Durante la sua "normale vita" all'interno dell'edificio era immerso per quasi l'intera durata di gran parte delle giornate nei suoi pensieri, inoltre, grazie alla polvere rosa che aveva precedentemente invaso il punto in cui erano situati gli altri suoi compagni di squadra, era riuscito dopo tanto tempo a dormire sonni tranquilli — più o meno.
Una volta terminati quei diciassette minuti, e quindi quando si rese conto che sarebbe stato meglio non restare lontano dalla squadra ancora per molto, qualcosa gli impedì di fare ritorno. Honzu gli apparve alle spalle, con aria vivace, ma dal profondo dei suoi tondi occhi si poteva chiaramente percepire un minimo di preoccupazione. Akai lo guardò come guardava gli altri sottoposti di Higuma, un po' dall'alto in basso. Successivamente, tra il ragazzo e il cervo umanoide ci fu silenzio, che però si ruppe dai colpi di tosse di Honzu.
«Ops! Ahem, perdonami! Mi è andata si traverso la saliva!», disse, distogliendo lo sguardo.
Akai era confuso, ma non ne mostrava segni. Era probabile che il suo umore non fosse dei migliori. Capitava spesso dopo lunghi minuti immersi nel ''labirinto''. Ignorò il piccolo cervo e si incamminò nella direzione da dov'era venuto.
«Ah! A-Aspetta!», Honzu gli corse subito dietro, facendo attenzione a non spegnere il fuoco sulla sua fiaccola. Il ragazzo orientale si fermò e gli rivolse nuovamente il suo sguardo distaccato. «S-Stai tornando dai tuoi compagni, non è vero? Allora permettimi di accompagnarti! Vorrei parlare un po' con te». Quell'ultima frase la disse in maniera rilassata.
Akai fu lievemente sospettoso, ma poi gli disse: «Va bene».
I due ripresero a camminare, il giovane dai capelli mori avanzava a passo lento, affinché fosse più facile per il piccolo cervo restargli accanto.
«Di che cosa vorresti parlarmi?», chiese Akai, quando vide che Honzu stette zitto. Quest'ultimo lo guardò, e notò che il suo sguardo era cambiato, sembrava un minimo incuriosito.
«Io sono un cervo, ma parallelamente ho anche qualcosa di umano. Sin dall'antichità, il cervo è sempre stato un'importante fonte di cibo per l'uomo. Infatti, nelle pitture rupestri si possono trovare abbondanti raffigurazioni di cervi, per la maggior parte in veste di preda, ma alcune volte anche come entità spirituale», disse Honzu, con aria misteriosa.
Akai aggrottò il sopracciglio sinistro e alzò il destro. «Si può sapere come fai ad essere a conoscenza di cose simili?».
«Te l'ho detto: sono un cervo. È normale sapere cose sul nostro passato. Sono indispensabili per rafforzare il nostro rapporto con la natura». Il ragazzo si fermò, ma Honzu non lo notò e continuò a parlare. «Queste sono informazioni che ci tramandiamo da generazioni. Potrei dirti che ne sono venuto a conoscenza da mio nonno, che a sua volta l'ha saputo per via di suo padre, poiché il nonno del padre di mio nonno lo ha raccontato al mio bisnonno. È una sottospecie di spirale infinita».
Akai riprese a camminare e con meno di quattro passi si riallineò con Honzu.
«È una storia molto interessante, ma non riesco a capire dove tu voglia arrivare. Non credo tu avessi intenzione di parlarmi dell'importanza che i cervi hanno avuto per l'uomo». Honzu sbarrò per un millisecondo gli occhi. «Credo che tu voglia arrivare a un determinato punto, e se continui di questo passo non credo tu possa farcela».
Honzu si ammutolì. «Heh, hai un'ottima deduzione, umano dagli occhi scarlatti», disse poi, con aria amichevole. «A proposito, qual è il tuo nome?». Il piccolo cervo umanoide si girò verso di lui.
Akai rispose, continuando a guardare in avanti: «Mi chiamo Akai».
«Oh, che nome ambiguo! Per caso ha qualche significato? E il tuo cognome? Ha un significato anche quello?», domandò con voce pimpante.
Akai sospirò. «Il mio nome significa "rosso", mentre il mio cognome, almeno da quanto mi ha detto il mio capo, deriverebbe dalla parola "ketsueki", il cui significato è "sangue"».
Honzu si fermò e Akai fece lo stesso. «Wow», disse il piccoletto, «ecco perché i tuoi occhi sono di quel colore». Il giovane fece roteare le pupille fino a rivolgerle verso la sua sinistra, al cui fianco erano presenti soltanto alberi oscurati. «E dimmi, grazie a quelli sei in possesso di qualche abilità particolare?».
«Beh, sì».
«E di che si tratta?».
«Grazie ai miei occhi posso prendere il controllo di un essere umano o animale, sempre che la forza di quest'ultimo eguali la mia. Lo sforzo è abbastanza alto, ma dopo un paio d'anni ci fai l'abitudine e inizia a sembrare una cosa di tutti i giorni, più o meno», rispose Akai, con aria apatica.
«Oh... acciderbolina!», esclamò Honzu. «Sei capace di impartire ordini nel cervello di un essere umano o animale? Quindi, volendo, potresti farlo anche con me? Anche se non ci siamo scontrati, credo sia ovvio che tu sia più forte di me. Posso dedurlo dal tuo sguardo, dalla tua postura, da quell'arma che tieni sulla cinta... e anche dal fatto che io sono proprio una schiappa nelle attività fisiche». Il piccolo cervo abbassò le orecchie.
Akai guardò il coltello che teneva dentro la guaina. «Questa, dici?».
«Esatto! È un semplice coltello, giusto?».
«Sì». Sbottonò la guaina e come un lampo tirò fuori il coltello, posizionandolo saldamente tra le sue dita. P-Perdincibacco! Questa sì che è una velocità impressionante, pensò Honzu, con sguardo attonito. «In verità, c'è qualcosa circa questo coltello che lo distingue da tutti gli altri», aggiunse Akai, con voce misteriosa.
«A-Ah... E cosa?».
«Beh... Come ti ho detto un minuto fa, sono in grado di controllare persone e aninali attraverso un contatto visivo. Dunque, come hai detto tu, posso impartire degli ordini e se la loro forza è inferiore alla mia, si trovano costretti ad ubbidirmi senza avere neanche la possibilità di controbattere. Se io ti dicessi che sono in grado di fare una cosa simile anche con questo coltello, tu mi crederesti?».
Le sopracciglia rettangolari di Honzu si abbassarono in parte e gli occhi tondi assunsero una forma bizzarra, come quella di una palla che viene schiacciata da un lato.
«C-Cosa... Vorresti...». Non è possibile. «Vorresti dire che sei in grado di muovere il coltello con la sola forza del pensiero?», domandò il piccoletto, con tono quasi allarmato.
Akai rispose illuminando gli occhi e quando lo fece, il coltello si staccò dalla sua mano e iniziò a fluttuare nell'aria. «In pratica... sì», disse poi.
Honzu quasi non poteva credere ai suoi occhi. Ma è pazzesco, pensò, per poi ripetersi mentalmente altri sinonimi di quella frase.
«Ma... Sei sicuro di non essere in possesso di un qualche tipo di telecinesi?», domandò il cervo ad Akai.
Quest'ultimo lo guardò, mentre il coltello continuava a levitare a pochi centimetri dalla sua mano. «Non lo so. Non credo. Da quando ero bambino faccio uso del mio potere oculare. Se questa fosse stata solamente una variante di una telecinesi... me ne sarei accorto». Honzu riprese a guardare l'arma volante, ancora non capendo come tutto ciò fosse possibile. Era intenzionato a chiedere ad Akai se era in grado di farlo solo col suo coltello, oppure con qualche altro oggetto. Fortunatamente, non dovette chiedere, poiché il ragazzo moro disse: «Tuttavia, è da almeno un anno che sono capace di fare una cosa simile, e francamente non sono mai riuscito a spiegarmi il perché. Neanche il mio capo riuscì a darmi una vera e propria spiegazione, però ricordo di un particolare. Quando gli mostrai questa mia capacità, lui non fu pienamente sorpreso. Ripensandoci adesso, sembrava che, in fondo, fosse al corrente di una simile eventualità. Ugh». Gli occhi di Akai ritornarono al loro rosso naturale, e il coltello cadde delicatamente dalla parte del manico sul palmo della sua mano. «Per qualche strana ragione è leggermente più stancante di quando prendo il controllo di una persona». Rimise l'arma nella guaina. «Nel tempo, mi sono fatto una sottospecie di teoria a riguardo. Essendo il mio coltello l'oggetto con la quale ho maggiore familiarità, può darsi che col tempo ci abbia instaurato una sottospecie di legame che mi ha portato ad essere in grado ad usarlo anche in questo modo». Si guardò la mano destra, quella con cui usava il coltello. «Possono sembrare spiegazioni non molto concrete. Sono consapevole di questo, ma il fatto è che non saprei cos'altro pensare. Non ho avuto modo di parlarne con altri o di fare delle ricerche accurate».
Anche Honzu guardò la mano destra del giovane, ancora incredulo. Akai riprese a camminare, lasciandosi alle spalle il piccolo cervo umanoide, che se ne stava impalato come un manichino. Quando il moro si accorse che era l'unico che stava proseguendo, domandò a Honzu cosa lo stesse trattenendo dal fare un passo in avanti. Appena il cervo udì quella domanda, fu come se si risvegliò, battendo ripetutamente gli occhi. Akai lo stava guardando con quel suo misterioso sguardo.
«S-Scusami! Il fatto è che...», sembrava che il piccoletto provasse timore nel continuare la frase. Akai alzò impercettibilmente un sopracciglio. A Honzu stava tremando la voce e aveva iniziato a balbettare. Non si capiva assolutamente nulla di quello che stava tentando di dire al ragazzo dagli occhi rossi, e conseguentemente, smise di parlare, lasciando Akai nel dissapore.
Quest'ultimo si girò e chiese: «Cosa c'è che non va?». Anche se per ragioni sconosciute, i suoi occhi incutevano una certa paura nei confronti di Honzu, il tono con cui gli fece quella domanda fu molto tranquillo. Ciononostante, fu come se il piccolo cervo umanoide vedesse un altro essere dinanzi a lui, un essere con cui sarebbe dovuto stare allerta.
«Ahem, Akai, permetti una domanda da parte mia?», chiese, con lieve preoccupazione. Il ragazzo asiatico rispose di sì, annuendo. «Uhm... p-per quanto tempo avete intenzione di restare in questa foresta?». Unì i suoi piccoli zoccoli, e ne mise uno sopra l'altro.
Akai aggrottò un sopracciglio e alzò l'altro. «Non sono la voce del gruppo, ma suppongo fino a quando non sorgerà il sole». Non appena gli rispose, Honzu abbassò lo sguardo e, assorto nei suoi pensieri, si fece scappare un flebile sospiro di sollievo. «Come mai mi fai questa domanda?». La domanda del giovane fece sì che Honzu smettesse di ponderare tra sé e sé, facendo in modo che i loro sguardi si incrociassero. Da una parte occhi calmi, con un pizzico di incertezza, e tenuamente smarriti, dall'altra dei cerchi di forma perfettamente sferica che trovavano fatica nel provare fiducia per l'individuo che stavano fissando.
«Ecco... questa è la prima volta che questi alberi vengono visti da degli esseri interamente umani, non credo che... la natura di questo posto possa accettarvi come si deve». Accidenti a me! Ho detto una tale fesseria...
Lo sguardo di Akai si modificò, diventando più serio. «Non riesco a cogliere il significato di ciò che hai appena detto. Comunque, se fai un breve passo indietro giungerai alla conclusione che noi siamo stati costretti a passare la notte qui per causa tua. Anche se non era tuo intento, la motivazione principale è questa. Inoltre, correggimi se sbaglio, ma non sei stato tu a dirci di restare qui fino all'alba? Noi tutti abbiamo pensato che fosse un gesto da parte tua per farti perdonare. Ci hai anche offerto del cibo». Honzu si ritrovò costretto a distogliere lo sguardo. «Siamo da poco usciti da un'area forestale smisuratamente estesa rispetto a questa. Abbiamo incontrato creature dalle fattezze parecchio ripugnanti. Non vorrei in qualche modo offendere questo territorio, ma in confronto mi sembra di stare in un giardino ben curato, con tanto di fiori profumati». Honzu si morse l'interno guancia. «Facendomi una simile domanda, mi viene da pensare che in realtà sia tu quello che non ci vuole più». Akai non smise per un istante di guardarlo, e poi aggiunse: «Per caso... mi sto sbagliando, Honzu?». Adesso i suoi occhi lasciavano trasparire anche un briciolo di nervosismo, ma era talmente poco che passava praticamente inosservato.
Beh, un essere umano sicuramente non ci avrebbe fatto caso, e una creatura con sembianze da cervo umanoide... neanche, ma ciò non valeva per Honzu. Egli era in grado di "leggere" l'animo di un essere umano o animale tramite il primo contatto visivo. Il suo non era un potere, ma una sottospecie di competenza. Sin da quando era piccolo aveva sempre avuto questa maestria nell'afferrare al volo il carattere di un suo simile solo dallo sguardo, e nel 96% dei casi aveva sempre ragione. Le volte in cui le sue teorie non corrispondevano alla realtà, era quando il soggetto in questione maturava e di conseguenza modificava alcuni aspetti della sua personalità. Honzu aveva praticamente afferrato il carattere di ogni Senshi — aveva persino compreso che dietro lo sguardo intimidatorio di Alex si nascondeva una persona completamente diversa —, ma con Akai... gli risultava difficile. Proprio come Aaron, il piccolo cervo non riuscì a farsi un'idea concreta della personalità di Akai. O meglio, sapeva che c'era qualcosa di più rispetto al ragazzo che parla agli altri con tono strafottente e che è perso per la maggior parte del tempo nei suoi pensieri. Ecco, erano proprio quei pensieri che facevano sembrare la predisposizione di Honzu nell'afferrare gran parte dell'animo degli esseri viventi una frottola. Gli sembrò strano, molto strano. Era ancora giovane, però in vita sua non gli era mai capitato un tipo come Akai, e gli individui che, da questo punto di vista, assomigliavano a lui erano stati davvero pochi. Appunto per questo, quando vide che si era allontanato dagli altri, spinto dalla curiosità, colse l'occasione per cercare di analizzare al meglio la sua persona, ma adesso sembrava che quella curiosità fosse stata rimpiazzata da un grande timore.
«Honzu». Akai fece un passo avanti, avvicinandosi a lui. «Qual è il problema?».
«Fermati!», urlò il cervo, e il ragazzo dagli occhi rossi si fermò istantaneamente.
Akai fece una faccia quasi sconvolta, aggrottando le sopracciglia e aprendo di poco la bocca. «Si può sapere che cosa ti sta succedendo?».
Honzu si accorse in ritardo di aver posizionato la mano con cui teneva la fiaccola davanti a lui, come se dovesse fungere da protezione. Si rese conto di aver alzato improvvisamente il suo tono di voce e che lasciava chiaramente trasparire la paura che stava provando. «A-Akai... p-posso farti una d-domanda?», chiese, con voce tremante. Akai annuì con la testa. «A-Anzi, i-in verità ne sono due! La prima è... quanti anni hai?». Lo sguardo della piccola creatura si fece lievemente più serio.
«Diciassette», rispose Akai, con tono smarrito.
«In questi diciassette anni hai mai... p-percepito... no, sei mai giunto alla conclusione che...». Honzu stava balbettando troppo e sembrava non trovare le parole adatte per portare avanti la seconda domanda. Scosse la testa, dopodiché riprese a parlare. «Akai, come si comportano gli altri con te?». D'improvviso, dato che non trovò difficoltà a pronunciare quelle parole, sembrava che fosse più sicuro di quello che stava dicendo.
«Cosa intendi?». Non... non sto capendo dove vuole arrivare. Fino ad un paio di minuti fa si comportava in maniera diversa, cosa gli sarà successo tutto d'un colpo? Come mai è così diffidente nei miei confronti?
«Intendo...». Honzu non fece in tempo a terminare la frase, che Akai mosse il braccio, e il piccolo cervo umanoide, pensando che avesse brusche intenzioni gli disse, con tono parecchio agitato: «Stai fermo! Non provare a fare nessuna mozza azzardata!».
Non appena gli disse quelle parole, il suo pelo si rizzò, e Akai, dopo poco, capì per quale motivo si stava comportando così.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, facendo in modo che i suoi capelli glielo coprissero, rendendogli il volto inespressivo. Adesso ho capito. Quindi è così che stanno le cose. Strinse i denti, e poi si morse il labbro inferiore.
Proprio in quel momento, Candy si fece viva. Honzu si accorse di lei e smise di essere teso.
«Oh! Ehm, A-Akai...», la maga arrossì, «Ecco dov'eri. T-Ti stanno aspettando. Cioè, noi ti stiamo aspettando. E-Eravamo preoccupati per te». Alla fine sorrise, abbassando lo sguardo per l'imbarazzo.
Akai non la guardò, né le fece qualche altro cenno. Sembrava non essersi neanche accorto della sua presenza.
Honzu spostò lo sguardo nelle stesse due direzioni: prima in quella della ragazza dai capelli lilla, poi in quella del ragazzo moro. Si era reso conto di essersi lasciato un po' andare alle emozioni, e adesso cercava di trovare un modo, un qualsiasi modo, per anche solo provare a risolvere. Ciononostante, non sarebbe stato corretto dire che il timore che misteriosamente provava nei confronti di Akai era ormai andato via.
Il ragazzo orientale strinse i pugni, dopodiché, con voce bassa pronunciò il nome del cervo. Quest'ultimo si sentì leggermente rabbrividire per il tono usato dal giovane.
«Non provare a farti vedere nei dintorni del nostro falò», disse poi Akai. Honzu sbarrò gli occhi e Candy lo guardò confusa. Successivamente, il ragazzo asiatico alzò lo sguardo, così da far notare di come i suoi occhi eravano diventati più lucenti. «Prova ad avvicinarti a noi, o a farci brutti scherzi con le conchiglie che emettono il gas soporifero, e avrai la mia piena parola che proverai uno smisurato dolore fisico». In preda alla paura, la bocca di Honzu si aprì, e lasciò che la fiaccola, ormai quasi spenta, gli cadesse a terra. Adesso stava tremando e aveva incominciato a fare dei piccoli passi indietro.
«Akai, come mai dici cose simili? Cosa sta succedendo?», domandò Candy, mentre abbassava lentamente il suo braccio destro, sulla cui mano vi era una piccola sfera di luce.
Akai la ignorò e continuò a parlare ad Honzu. «Se nei miei confronti, i tuoi occhi devono essere quelli di chi guarda con paura e disprezzo un mostro, allora non guardarmi e sparisci dalla mia vista». Il suo tono era diventato davvero inquietante, così come il suo sguardo.
Il piccolo cervo umanoide cadde a terra e per degli istanti fu incapace di muoversi per via della paura.
Akai assottigliò di poco gli occhi. «Non mi hai sentito? Ti ho detto di sparire. Altrimenti capirai cosa si prova ad essere nel bel mezzo di una sessione di torture infernali».
Candy iniziava a guardare il ragazzo per cui aveva una cotta in maniera confusa, e anche un po' spaventata. Non stava capendo cosa fosse accaduto, non sapeva il motivo per cui Akai stesse minacciando Honzu in quel modo.
Quest'ultimo ancora non era in grado di muoversi. Negli attimi in cui incrociò perfettamente lo sguardo del giovane dagli occhi cremisi, gli sembrò di essere la preda più debole di tutte, faccia a faccia con un gigantesco predatore, uno di quelli difficili da battere, anche dall'uomo.
Quando Akai rilassò il pugno della mano sinistra, Honzu trovò la forza di scappare e in men che non si dica fuggì.
La ragazza spagnola provò nuovamente a domadare al suo compagno di squadra dai capelli scuri come mai il piccolo cervo umanoide era scappato a gambe levate. Akai non rispose e si allontanò da lei. Strinse ancora più forte il pugno della mano destra, tanto da procurarsi dolore e far uscire del sangue. In seguito, in preda ad una potente furia, il giovane tirò un calcio al tronco di un albero, facendolo inclinare in maniera molto evidente.
A quella scena, Candy assunse un'espressione sconvolta e si mise la mano davanti alla bocca. Ma... si può sapere cosa diamine è accaduto qui? Perché non me ne vuole parlare?
Akai aprì la mano, e delle gocce di sangue caddero bruscamente sul prato. Si era fatto male con quello scatto d'ira, ma era un dolore sopportabile e che sarebbe passato in pochi minuti. Riappoggiò il piede a terra e si spostò i capelli dal volto muovendo la testa, dopodiché si guardò la mano. Restò fermo a guardarla all'incirca per venti secondi, poi se la mise in tasca. Come se nulla fosse, riprese a camminare, per poi dire alla maga, con tono aspro: «Andiamo».
Lei rimase immobile per dei brevi attimi, e notò che Akai, pur avendo notato che non lo stava seguendo, non si era fermato. Candy abbassò lo sguardo e poi raggiunse il ragazzo dagli occhi rossi, arrivandogli accanto. I due non si dissero nulla per il resto del tragitto, era scontato che Candy non avrebbe dovuto dire a nessuno degli altri membri ciò che aveva visto. Non che a gli altri importasse più di tanto, ma era per risparmiare domande inutili.
Comunque, essendo che la maga era di fianco al ragazzo che era capace di aumentare dolcemente il suo battito cardiaco, non poté ovviamente fare a meno di arrossire.

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Red Tangle
FantasiAkai è un ragazzo di diciassette anni intrappolato in un labirinto di pensieri infiniti, che lo tiene prigioniero da quando era piccolo. Due occhi rossi come il sangue sono la sua caratteristica principale, in quanto, grazie ad essi, è capace di pre...