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Molte persone fanno fatica a rispondere alla domanda: "Qual è il senso della vita?".
Ma una risposta la danno sempre. "Vivere", dicono.
È una risposta scontata, ma è la verità.
Perché in questa verità è racchiuso tutto: vivere per qualcuno, vivere con qualcuno, vivere per ammirare il futuro e il progresso, vivere per fare sempre più esperienze.
Ho posto a me stesso questa domanda numerose volte, però non ho mai trovato una risposta, non ho mai compreso con precisione quale fosse il senso della mia vita.
Se qualcuno dovesse domandarmi come faccio ad uccidere così facilmente le persone, se provo qualcosa negli istanti in cui vedo i loro occhi spegnersi, risponderei che questa non è una mia scelta. Mi hanno sempre definito un mostro, e poi, una persona decise di rendermi la sua arma per appagare il suo senso di giustizia. Ed è proprio questo ad avermi reso ciò che sono adesso: un assassino vuoto.
Sono una persona nata con un'orribile maledizione addosso, che poi fu scelta da un'organizzazione specializzata in uccisioni di criminali, per fare strage di persone corrotte, stupratori, gente che abusa del proprio potere; persone che, per il bene dell'umanità, sarebbe meglio far sparire.
Non provo nulla a riguardo, non mi importa della loro vita, e di conseguenza neanche di uccidere.
Inizialmente non volevo far del male alle persone, solo dopo ho iniziato a farlo. Però non è stata una mia scelta. Quest'organizzazione è riuscita ad avermi fra le sue braccia, ad usarmi come macchina da guerra, per uccidere coloro che "se lo meritano". In realtà, questo è il punto di vista del mio capo. Io non credo di averne uno. Non voglio dire se sia giusto o sbagliato, perché, ormai, mi sono abituato a questo stile di vita. Faccio solo quel che mi dicono di fare, e ci sono delle motivazioni dietro ogni ordine che eseguo. Se smettessi di eseguire gli incarichi che il mio superiore mi assegna, non avrei più alcun posto in cui stare, dovrei adattarmi ad una vita in strada. Questo, io, non lo voglio.

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Quando i raggi del sole iniziarono ad illuminargli il viso, Akai aprì gli occhi. Si rigirò continuamente sul letto e solo quando si sedette si rese conto di non aver passato la notte sveglio.
Guardò alla sua destra e notò che sul comodino c'era l'orologio che gli aveva dato Rick la sera prima, con lo schermo ancora verde. Erano quasi le dieci.
Successivamente, il ragazzo uscì in balcone, e mentre guardava la città davanti ai suoi occhi, si stiracchiò.
Si appoggiò al parapetto, fece un grande respiro, assaporando la fresca aria della mattina.

Quando uscì dal bagno notò che sul tavolo vi era un piatto con due onigiri all'interno.
Sicuramente era stata Meiko, la cameriera, a portarglielo. Non si fece troppe domande e ne assaggiò subito uno.
Era ancora caldo, il riso era morbido, si scioglieva in bocca. Il forte contrasto con il salmone fritto, la parte croccante e la fonte di calore della pietanza.
Divorò le due polpette di riso in un batter d'occhio, lasciando il piatto completamente pulito, privo anche di un chicco di riso.

Akai era seduto sul tetto di una casa, intento ad osservare ogni persona che passava nelle vicinanze. Gli sarebbe piaciuto scendere e confondersi tra di loro, ma i luoghi affollati non erano per lui. Era più un tipo che controllava la situazione dall'alto, senza immischiarsi, senza farsi notare.
Inoltre, non gli era permesso di uscire dal palazzo in cui risiedeva, Higuma non glielo permetteva. Ma questa regola l'aveva già infranta numerose volte, da anni ormai.
Il ragazzo si spostò velocemente da un tetto all'altro, senza essere notato dai passanti, arrivando sul tetto di una casa color carne, si fermò appositamente lì.
Udì dei versi di dolore e qualcuno che rideva.
«Fermo!», sentì. Si affacciò sul vicolo e vide una donna, con le spalle al muro. Davanti a lei vi era un uomo intento a molestarla.
Akai li inquadrò meglio: lei era molto giovane, una ragazza di almeno una ventina d'anni. L'uomo era molto più grande di lei, lo capì dai capelli.
«Avanti, fai la brava», disse lui, passandole la mano sulla gamba. Lei, poverina, non poteva muoversi. Nonostante il corpo di quell'uomo fosse gracile, aveva una grande forza, o magari era lei che si era rassegnata. «Sei te ne stai buona... non sentirai molto dolore». Estrasse un coltellino svizzero dalla tasca, intento a tagliarle i vestiti.
Akai si precipitò immediatamente nel vicolo in aiuto di quella ragazza. Il rumore che fece quando atterrò, attirò l'attenzione dell'uomo, che si girò di scatto, al pensiero che avrebbe potuto trattarsi di un poliziotto in borghese. Quando vide che era solo un ragazzo, si sentì sollevato. La ragazza riuscì ad intravedere la lucentezza degli occhi di Akai da una grande distanza.
«Che cosa vuoi?», domandò l'uomo. Akai non rispose. «Vattene. Se non vuoi fare anche tu una brutta fine, ti consiglio di andartene».
«Lascia stare quella ragazza», enunciò Akai, con sguardo fisso sull'assalitore. Quest'ultimo spalancò gli occhi, attonito. Dopodiché iniziò a ridere.
Lo sguardo di Akai si fece di pietra quando la risata dell'assalitore divenne incontrollata.
«Senti, ragazzino, non so chi tu sia. Forse sei il fratello di questo bel bocconcino, ma ti consiglio di andartene e di non dire a nessuno quello che hai visto». Si vedeva da lontano un miglio che quell'uomo era ubriaco. Ad ogni modo, Akai non aveva dato retta alle sue parole, quindi l'uomo, constatando ciò, lasciò cadere la ragazza a terra.
«Quindi fai sul serio», disse, avvicinandosi a lui, mettendo in mostra il coltello. «Ma non dovresti startene a scuola?». Continuava ad avvicinarsi, ma Akai non sembrava intimorito.
La ragazza si appoggiò con la schiena al muro, guardava il ragazzo con sguardo sorpreso, incredulo. Se ne stava lì, davanti a quell'uomo armato, in una posizione sicura. Era impensabile che stesse provando paura all'interno del suo corpo.
Una volta che l'uomo arrivò ad un paio di mentri da Akai, gli puntò il coltello all'occhio destro. «Inizierò col toglierti quelle stupide lenti a contatto». Impugnò per bene l'arma, pronto a colpire. «Non avrei voluto, ma-». Immediatamente sentì un immenso dolore al petto, un dolore così forte da tagliargli il respiro. Si trovò subito a terra, disarmato, lontano da Akai, che intanto aveva riappoggiato il piede a terra.
La ragazza non poteva credere ai suoi occhi: l'aveva steso con un solo calcio. Si portò una mano alla bocca, quasi come a voler coprire il suo respiro.
Akai rivolse lo sguardo su di lei. «Puoi andare ora. Non ti preoccupare, è tutto finito», gli disse, quando vide che tremava. Akai non sapeva bene come comportarsi in queste situazioni, ma nonostante ciò abbozzò un sorriso rassicurante.
Successivamente, la ragazza si alzò e corse subito via, dando un ultimo sguardo al viso del giovane. Notò che anche la sua bellezza, oltre alla sua forza, era fuori dal normale. Una volta che la ragazza scappò, Akai tirò un sospiro di sollievo.
«M... Male... detto... bastardo». L'uomo cercava di alzarsi, ma era troppo debole. Non trovò il coltello e quando vide che era vicino al piede del ragazzo, ringhiò di rabbia. «Come... Come?!», urlò.
Akai fu più che stufo della sua presenza, così decise di farla finita. Lo guardò intensamente negli occhi, i quali esprimevano rabbia, stupore e confusione. I suoi si illuminarono, come un faro nelle ore più buie della notte. Quel forte, quasi accecante, colore rosso penetrò l'anima dell'uomo attraverso i bulbi oculari, rendendoli completamente rossi, non come quelli di Akai, ma privi di pupille, completamente rossi, stranamente spenti.
Con un contatto visivo, Akai ordinò in maniera muta all'uomo di alzarsi, e lui lo fece, senza badare al dolore che provava poco prima, in quanto adesso non sentiva più nulla.
Una volta in piedi, lasciò cadere le sue braccia in avanti, a peso morto. La bocca era aperta, spalancata, come se stesse dormendo.
Sul volto di Akai si formò un'espressione rabbiosa. Spalancò gli occhi e le braccia dell'uomo si ravvivarono. Portò le mani al mento e con grande potenza si diede il colpo di grazia, cavandosi gli occhi, causando l'immediata fuoriuscita di un abbondante quantità di sangue. Non urlò, pareva non aver percepito il dolore, ma era solo perché si trovava ancora sotto il completo controllo di Akai. Ma non per molto, visto che quell'uomo non possedeva più l'unica parte del corpo con cui il giovane avrebbe potuto usare quella tecnica: ossia gli occhi.
Prima che potesse incominciare ad urlare, e quindi attirando l'attenzione di qualcuno, Akai saettò in avanti e gli storse la testa, facendolo morire all'istante.
Nel momento in cui l'uomo cadde a terra, privo di vita, Akai chiuse gli occhi, facendoli ritornare al loro colorito regolare.
In seguito, con un paio di salti sulle mura delle abitazioni, ritornò sul tetto e successivamente al suo edificio.

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