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Può non sembrare, ma in fondo, abbiamo tutti la stessa cicatrice sulla stessa parte del corpo: il cuore.

Dopo che Higuma lo mise al corrente della sua scelta, Akai non poté fare altro che accettare in silenzio. Non avrebbe obbiettato, si fidava di Higuma. Era una persona che trovava sempre uno spiraglio di luce, anche negli angoli più bui. Però, l'idea di incontrare per la prima volta gli altri Senshi e di fare squadra con loro lo metteva in agitazione.
Giravano molte voci su quei Guerrieri sparsi per il mondo, Akai ne ricordava qualcuna. Nel gruppo c'era una ragazza proveniente dalla Russia, che era definita estremamente pericolosa, oltre che totalmente imprevedibile. Tutti la descrivevano come una statua di ghiaccio, non solo per la sua temperatura corporea, ma anche per il suo carattere freddo e insensibile.
Ogni Senshi aveva un livello di pericolosità, che andava da uno a dieci. Quello della ragazza era nove, proprio come quello di Akai. Quel grado era considerato il massimo, dato che il decimo significava l'uccisione immediata per colui o colei che lo possedeva.
Poi ricordava di due ragazzi: uno con i poteri del fuoco e l'altro dotato del teletrasporto. Quest'ultimo era anche conosciuto per i suoi occhi azzurri, che le persone descrivevano limpidi come il cielo. Poteva vantare di un grado molto alto: otto.
Per quanto riguardava il ragazzo dotato dei poteri del fuoco, Akai ricordava quel che gli raccontò Higuma. Ovvero che un paio d'anni prima, egli fece scoppiare un enorme incendio che bruciò un intero paese a sud dell'Inghilterra. Solo chi era a conoscenza dell'esistenza dei Senshi sapeva che era stato lui a provocarlo, per tutto il resto del mondo l'origine di quell'incendio rimase un mistero.
Quel fatto provocò molti, anche troppi morti. Nessun essere umano fu in grado di domare le fiamme, per via dell'improvvisa rapidità con cui incenerirono tutte le abitazioni. Fu opportuno l'intervento della ragazza proveniente dalla Russia, che, nonostante l'età, riuscì a congelare tutta la zona colpita dal fuoco con la sua magia del ghiaccio, impedendo così che le fiamme si espandessero ulteriormente. Naturalmente, quella fu l'unica volta in cui uno dei Senshi dovette intervenire per rimediare ad un incidente di un altro, e inoltre, in quella circostanza, sia il Senshi proveniente dalla Russia che quello proveniente dall'Inghilterra non si incontrarono.
A detta del ragazzo inglese, quello fu un incidente, dovuto all'incontrollabile furia che stava provando prima che succedesse tutto. Nessuno, oltre a lui, sapeva cosa stava provando.
Akai lo immaginava, così come il resto degli altri Guerrieri, che, proprio come lui, avevano subito le stesse sofferenze. Il cuore di quei ragazzi era segnato da quel che avevano provato da piccoli. Nonostante le loro diversità, condividevano tutti un passato così buio che risultava impossibile da dimenticare.
Nonostante fosse notte fonda, Akai non riusciva a togliersi quei pensieri di mente. Rimaneva sveglio a fissare la città, così illuminata, che sembrava fosse ricoperta da pietre preziose.
Non riusciva a dormire, sia per la forte ansia che provava nell'incominciare la missione, sia perché ormai aveva paura di chiudere gli occhi. Eppure, nonostante questi ultimi non fossero stati chiusi da giorni, rimanevano perfetti. Non aveva neanche il minuscolo accenno di occhiaie, come se il fisico del ragazzo non percepisse la mancanza di sonno.
Ultimamente faceva degli incubi a dir poco terrificanti, e dopo l'irreparabile guaio che aveva creato, questi si erano fatti ancora più frequenti, impedendogli di dormire tranquillamente.
In genere, i suoi sogni venivano dimenticati, tranne quelli particolarmente spaventosi.
Ne ricordava uno che lo aveva segnato. Lo fece in quella settimana, e riguardava un bambino. Quest'ultimo era impaurito e stava scappando da qualcosa. Nel sogno non si vedeva nessuno dietro di lui, ma sembrava che lo stesse rincorrendo la cosa che lo terrorizzava di più in assoluto. Il bambino non se ne accorse, ma stava correndo all'interno di un labirinto. Fu proprio quando arrivò in un vicolo cieco che vide delle ombre avvicinarsi a lui. A quella visione, il bambino scoppiò in lacrime, perché sapeva di essere in trappola, e si buttò contro il muro, come se esso nascondesse un passaggio segreto attivabile solo con la forza.
Le ombre si avvicinavano, e iniziavano ad intravedersi dei buchi sui loro volti, che formavano gli occhi. Dopodiché si formò anche la bocca, determinata da denti aguzzi e un sorriso inquietante.
Il bambino urlò a pieni polmoni. Il sogno si interruppe quando quelle ombre lo toccarono. Il tutto fu accompagnato da un urlo raccapricciante.
Quel sogno fece piangere il ragazzo così tanto, che in pochi secondi iniziò a fare dei versi di dolore, come se una sua parte del corpo gli facesse male.
Una reazione del genere era del tutto comprensibile, dato che quel bambino era Akai.
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Il sole splendeva in cielo ormai da ore. Un cielo così limpido da sembrare l'acqua cristallina del mare.
L'intero quartier generale si era già messo a lavoro da tempo. In questi giorni lavoravano senza sosta, in maniera più impegnativa, per assicurare la massima sicurezza durante la missione che avrebbe avuto inizio quello stesso giorno. I dipendenti di Higuma verificavano da giorni il percorso da fare per arrivare al castello dove risiedeva Kaneshi, il mezzo con cui sarebbero dovuti andare — in questo caso un elicottero — e i vari ostacoli che avrebbero potuto incontrare. Su quest'ultima parte erano abbastanza tranquilli. Sapevano che Kaneshi aveva un esercito a sua disposizione, ma, in base alle loro ricerche, nessuno dei suoi uomini era in grado di volare o comunque di sferrare attacchi in grado di abbattere un veicolo aereo.
Intanto, Akai stava seguendo Higuma, il quale lo avrebbe condotto nella stanza in cui si trovavano gli altri Guerrieri. Non ci avevano messo molto ad arrivare in Giappone. Subito dopo la telefonata da parte di Higuma, i loro capi avevano preso provvedimenti e li fecero partire. Tutti avevano un accompagnatore, sarebbe servito in caso qualcuno avesse 'perso il controllo', come dicevano. Ma anche perché non potevano viaggiare da soli.
Come al solito, il ragazzo dagli occhi rossi era perso in un labirinto di pensieri. Si domandava come avrebbero reagito gli altri Senshi alla sua visione. Non si conoscevano, non poteva prevedere nulla, però poteva immaginare. Ecco il ragazzino viziato che non rispetta le regole, avrebbero pensato.
Non sarebbe stato facile fare squadra con loro. Infrangendo il regolamento, Akai li aveva praticamente condannati a morte. In pochi minuti, avrebbe avuto inizio una missione mortale. Dal profondo del cuore, pensava che non tutti sarebbero riusciti a ritornare vivi. Avevano una probabilità su cento di sopravvivere tutti e sei. Con questi pensieri in testa, ad Akai venne un gigantesco nodo alla gola.
Higuma si girò verso di lui e il giovane si rese conto di aver inconsciamente rallentato il passo. Si ricompose e riprese l'andatura che aveva prima.
«Comprendo il tuo stato d'animo», gli disse il capo, che nel frattempo tornò a guardare in avanti, «ma devi credermi, loro non ti odiano per questo». Akai alzò lo sguardo, e anche dal tono, notò che Higuma era abbastanza calmo. Forse stava nascondendo la sua agitazione, forse cercava di sopprimere la sua paura per non farlo preoccupare ulteriormente.
«Come possono non odiarmi? Anch'io odio me stesso per l'errore che ho commesso». Abbassò lo sguardo ed improvvisamente si sentì un peso per tutti, nonostante non li avesse ancora incontrati.
«Non mi piace questo tuo atteggiamento», disse Higuma, con sguardo fisso davanti a lui, come una statua. Akai gli arrivò a fianco e lo guardò con aria confusa, mantenendo però l'espressione triste che aveva da giorni. «Ti stai comportando da debole. Se loro ti vedranno con questo comportamento, non ci metteranno molto a prendersi gioco di te». Il ragazzo abbassò lo sguardo. «Magari è stata colpa mia. La mia reazione ha scaturito in te un senso di colpa così forte da influenzare completamente il tuo carattere». Puntò gli occhi sul suo volto. «Persino il tuo sguardo». Akai pensò che aveva ragione. In questi giorni si stava lasciando un po' troppo andare alla tristezza. Nonostante avesse cercato di controllarla, essa era ancora molto evidente. «Per questa missione ho bisogno del ragazzo che ho cresciuto, del ragazzo che ho addestrato per qualsiasi tipo di incarico. Il ragazzo che sa recitare qualsiasi parte, affinché la preda cada nelle sue grinfie. Fattene una ragione, ci serve il solito Akai per far sì che questa missione vada per il verso giusto. L'Akai dagli occhi infuocati, con un carattere strafottente, pericoloso e totalmente imprevedibile. Ci serve lui». Il solito Akai? Il giovane strinse i denti. «Sei capace di darmelo?», lo guardò, attendendo una risposta. Disse di sì con la testa. Normalmente, Higuma gli avrebbe detto di parlare, ma sapeva che quando rispondeva in quel modo, significava che era infastidito, quindi lo lasciò stare.
Akai stava affrontando una battaglia nella sua testa. Era da anni che combatteva contro il suo carattere. Molto spesso era il comportamento di cui parlava Higuma, quello che mostrava in presenza di altre persone ad essere quello predominante, ma quando era da solo, questo atteggiamento spariva e se ne manifestava uno completamente diverso. Il suo lato pensieroso, quasi triste, di colui che aveva il peso dell'intero mondo addosso.
Aveva anche avuto a che fare con delle sfaccettature del suo carattere che erano molto diverse da questi due lati. Quando le provò, fu come se non appartenessero a lui. Non sapeva descrivere bene la sensazione, però le aveva provate solo quando era davanti ad un nemico. Fu come una voglia sfrenata, un desiderio incontrollabile di ucciderlo.
Il ragazzo venne fuori da quei pensieri solo quando il capo appoggiò la mano sulla porta.
«Siamo arrivati», disse. Finalmente, avrebbe voluto aggiungere Akai, poiché sembrava che il corridoio si fosse allungato ad ogni passo.
Loro erano dietro quella porta, lo stavano aspettando, probabilmente come leoni che attendono il momento giusto per azzannare la loro preda, per poi divorarla.
«Allora, sei pronto?». Una domanda inutile. Anche se non lo fosse stato, l'avrebbe aperta comunque, quella porta.
Ancora una volta, il ragazzo scosse lievemente la testa in segno di approvazione, e fu proprio quando Higuma aprì la porta che Akai si sentì completamente scoperto.
Fu come se in quella stanza ci fossero migliaia di lingotti d'oro, che splendevano ardentemente, accecando la vista di chiunque avesse provato ad entrare. Più o meno, la prima sensazione che provò il ragazzo fu questa. Non vide nulla per i primi istanti. Poi, quando il luccichio che si stava immaginando scomparve, vide delle sagome, che lo guardavano. Nonostante non li vedesse in faccia, gli sembrava che lo stessero giudicando.
Akai chiuse gli occhi, e quando li riaprì, finalmente, riuscì a vedere chiaramente chi aveva davanti.
Per prima, vide una ragazza, dal corpo slanciato e magro. Il ragazzo si concentrò sui suoi vestiti: una maglia nera a mezzo collo con apertura sul décolleté, le cui maniche e petto erano vedo non vedo. Poi, dei pantaloncini neri aderenti, sorretti da una cinta dello stesso colore, così come le calze che gli coprivano le gambe, e alti stivali da combattimento. Se ne stava in una posizione eretta, i piedi erano attaccati fra di loro e le mani si incrociavano dietro la schiena.
Il ragazzo alzò lo sguardo e notò la sua acconciatura: capelli corti, un taglio scalato. Le punte in avanti le sfioravano a malapena le spalle. Sembravano delle lame. La fronte era coperta da una frangetta perfetta.
Non capì se era frutto della sua immaginazione, ma tra quelle ciocche bianche come il gesso, notò delle sfumature celesti. Erano molto più percettibili alla luce, però.
Solo quando la inquadrò per bene, notò la delicatezza del suo volto. Dei lineamenti accennati, mento piccolo, così come il naso. Pallida, come se la sua pelle non fosse mai venuta a contatto con la luce del sole. Invece, per quanto riguardava i suoi occhi, essi davano l'impressione di appartenere ad un mondo completamente diverso, perché proprio come quelli di Akai, erano unici. Le pupille erano inesistenti, solo delle grandi sclere di un azzurro talmente chiaro, da farli sembrare dei cristalli.
Lei era la ragazza che proveniva dalla Russia, il suo nome era Irina Averin, aveva ventidue anni, e possedeva poteri legati al ghiaccio. Lo sapeva, Higuma gli aveva dato delle schede riguardanti ognuno di loro, ma su queste la foto non era presente.
Akai rimase letteralmente incantato sotto la visione di quegli occhi paradisiaci. Per un istante, aveva dimenticato tutto. Pensò che avesse un potere simile al suo, ma non era così.
Il giovane tornò con i piedi per terra e andò avanti, puntando il suo sguardo alla sinistra di Irina. Di fianco a lei, c'era un ragazzo, molto più alto di Akai, che se ne stava a braccia conserte, come se stesse passando un forte momento di noia, o di irritazione. Questo ragazzo aveva i capelli biondi, messi all'indietro — anche se alcuni ciuffi non erano d'accordo sul suo modo di acconciare i capelli. I suoi occhi erano dello stesso colore del mare, di certo non unici come quelli della ragazza russa, ma comunque rari. Anzi, rarissimi, dato che non si trattava del classico azzurro, ma di una lucentezza unica. Ricordavano un mare molto agitato, oppure il cielo in una calda giornata d'estate, interamente terso.
Il suo nome era Alexander Jonesty (chiamato Alex), proveniva dagli Stati Uniti. Aveva l'aspetto del classico "belloccio" che va al liceo e di cui tutte le ragazze sono innamorate, con dei lineamenti facciali accentuati. Aveva diciannove anni, ed era lui il ragazzo in grado di teletrasportarsi — e questo lo rendeva il più veloce tra i Senshi.
Successivamente, Akai si concentrò sull'abbigliamento, non molto elaborato. Una maglia molto aderente, che gli metteva in evidenza i muscoli, di colore verde muschio. Classico colore militare. La parte inferiore consisteva in dei pantaloni neri da combattimento ed infine degli scarponcini, anch'essi da combattimento — molto usati dai Senshi. Indossava anche una lunga collana con due targhette. Gli piace l'abbigliamento comodo, pensò Akai.
Però, c'era qualcosa in lui... Quel suo sguardo. Quegli occhi celestiali nascondevano un forte turbamento.
Senza farsi troppe domande, il ragazzo asiatico procedette con l'analisi dei Guerrieri rimasti.
Questa volta era una persona più bassa, forse alto come lui, o anche meno.
Per i primi secondi non capì se si trattava di un ragazzo o di una ragazza, ma poi, quando lo vide in volto, comprese che era un ragazzo. Anche lui era biondo, ma i capelli erano un po' più lunghi rispetto a quelli di Alex. La differenza stava anche nel colore, visto che i suoi erano letteralmente dorati, mossi e gli accarezzavano le guance.
Lo osservò per bene. Pensò di star sbagliando: assomigliava ad Alex. Solo dopo si ricordò che nel gruppo dei Senshi erano presenti due fratelli. Che strano, si somigliano, eppure sembrano così diversi... Alex aveva l'aria da ragazzo strafottente, mentre invece, questo ragazzo... aveva qualcosa di tenero. Sì, era tenero. Lo diceva quel colore verde presente nei suoi occhi, che andava ad affacciarsi sul dorato e guardava il rosso in quelli di Akai. Il suo volto risultava assai delicato, contrariamente da quello del fratello, e inoltre, era costellato di lentiggini.
Lui si chiamava Aaron, ed era nato in Canada. Beh, in un certo senso lo aveva intuito dalla sua felpa rossa, con sopra un orso polare disegnato a mo' di cartone animato.
Proprio in quel momento, mentre Akai osservava i suoi vestiti, Aaron gli sorrise. Questo lo mandò in lieve agitazione, ma neanche lui seppe perché. Forse perché si era mosso e non se lo aspettava. Però, così come il volto, anche il suo sorriso esprimeva una grande tenerezza. Magari anche un pizzico di timidezza. Aaron lo aveva fatto per tranquillizzarlo, in quanto sapeva che era molto agitato.
Immediatamente, Akai si concentrò sulla parte inferiore dei vestiti. Indossava dei jeans neri ed infine delle Lumberjack gialle consumate. Sapeva che tra tutti, lui era il più piccolo del gruppo, con i suoi sedici anni.
Ne mancavano due. Akai fece un respiro e passò alla prossima sagoma.
Un'altra ragazza, più bassa rispetto a Irina, che teneva in mano un gigantesco Candy Cane. Gli saltò subito all'occhio, visto che era più grande di lei, e non capiva come facesse a tenerlo in mano. Ma sembrava che vi ci fosse appoggiata, visto che lo teneva dietro la sua schiena.
Akai non ebbe neanche il tempo di inquadrarla bene, vide subito che la sua estetica era molto più elaborata e diversa rispetto a quella degli altri. Iniziando dai capelli lilla, raccolti da due fasce arcobaleno in due lunghe code posizionate ai lati della testa, con delle ciocche ai lati del viso, anch'esso, come quello di Irina, molto delicato. Si poteva facilmente intuire com'era caratterialmente, data l'espressione che la contraddistingueva dagli altri. Fattezze armoniose, e quell'aria da fatina lontana dalla realtà. Diversamente dallo sguardo del canadese, che dimostrava innocenza, il suo lasciava trasparire una vivacità smisurata, quasi incontenibile, si azzardò a pensare Akai.
Candy Fresa, proveniente dalla Spagna, l'unica dei Senshi in grado di utilizzare ogni tipo di magia. Da quelle basilari, a quelle più complicate. Dicevano che aveva una conoscenza molto dettagliata per quanto riguardava gli incantesimi. Aveva diciassette anni, proprio come Akai.
Il giovane con gli occhi rossi continuò ad esaminarla, e più andò avanti, più si rese conto che il suo abbigliamento ricordava quello di una fata, perché esso era composto da vestiti che si vedevano solo nei cartoni animati. Come, per esempio, uno strano top di colore blu, che terminava appena superato il seno, e al centro era presente un'apertura a forma di triangolo che si ricollegava con la parte inferiore, una gonna con le balze a strisce gialle e dei piccoli taschini marroni. La gonna era corta e lasciava le sue belle gambe scoperte. Aveva anche due fasce rosse attorno alle braccia e dei guanti bianchi. A completare l'abbigliamento, delle zeppe color argento con un laccio attorno alla caviglia. Non capì come avrebbe fatto a combattere con quelle, ma forse sapeva volare, dato che era una maga.
Quando gli occhi color smeraldo di Candy incrociarono quelli di Akai, la ragazza distolse subito lo sguardo, arrossendo lievemente. Il ragazzo non ci fece caso e passò all'ultimo componente della squadra. Eccolo, un altro ragazzo, questa volta altissimo. L'altezza era la stessa di Alex, forse un paio di centimetri in più. Capelli castani, occhi arancioni, sopracciglia aggrottate per la forte determinazione che aveva nell'affrontare la missione. Si stava stirando le braccia, molto muscolose, su cui si intravedevano delle vene rilevanti. Akai capì quanto fosse immensa la sua forza solo guardandogli le braccia. In una gara di braccio di ferro non avrebbe avuto speranze.
Indossava una maglia gialla, con le maniche che gli arrivavano fino a metà braccio, di colore blu notte. Sulla maglia, un disegno di qualcosa che ricordava un teschio stilizzato, o un sole con la faccia. Qualunque cosa fosse, aveva delle punte attorno. Soliti pantaloni da combattimento, questa volta grigi, e degli scarponi rinforzati (semplicemente come quelli che portavano Akai e Alex, ma molto più resistenti).
Lo guardò nuovamente in volto, e gli tornarono alla mente le parole di Higuma, su quel fatto che provocò molte vittime in Inghilterra. Era lui che aveva scatenato quel gigantesco incendio. Matthew Spike, il Drago di fuoco, come lo chiamavano alcuni. Ventuno anni, il terzo Guerriero più pericoloso secondo i capi. Anzi, in realtà il secondo, visto che Akai e Irina erano alla pari.
Il suo sguardo pareva essere infuocato per la determinazione che stava provando, e questo fece venire ad Akai un brivido che gli attraversò tutta la spina dorsale. Tra tutti era quello con cui non avrebbe mai voluto scontrarsi.
Akai smosse leggermente la testa, facendo scomparire quei futili pensieri dalla sua mente.
Proprio quando li esaminò tutti da cima a fondo, Higuma si fece avanti, dandogli le spalle.
«Vi ringrazio infinitamente per esservi scomodati nel venire fin qui», disse. Alex si lasciò andare ad un verso infastidito. Lo notarono tutti, ma fecero finta di niente. «Purtroppo, nonostante il grande rischio, non si poteva fare diversamente. Kaneshi è un avversario molto potente, e se vogliamo eliminare la sua minaccia, ci servirà tutto il vostro aiuto». Ad Akai venne un altro nodo alla gola. I Senshi ascoltavano attentamente le parole di Higuma. Irina in quella posizione da soldatino, dalla quale non si era mossa, Candy appoggiata al suo enorme bastone di zucchero, Aaron con le mani dietro alla schiena, mantenendo sempre quel sorriso buono in volto e Matt con occhi pieni di fermezza. L'unico che sembrava non stesse ascoltando era Alex. Diversamente dagli altri, aveva lo sguardo puntato altrove, visibilmente arrabbiato. Anche solo stare lì lo infastidiva parecchio. Come se dopo una lunga giornata di lavoro, impaziente di distendersi sul divano e di togliersi le scarpe, fosse costretto a restare per un'altra ora. Un'ora la cui fine non sarebbe mai arrivata.
Akai capiva benissimo come si sentiva, ma pensava che poteva almeno tentare di nascondere quel che provava, perlomeno dinanzi ad un capo che non era il suo.
«Ad ogni modo», continuò Higuma. «Gradirei parlarne in maniera più dettagliata nella "stanza delle missioni". Vogliate seguirmi». Iniziò ad avviarsi verso la stanza, e i Senshi iniziarono a camminare.
Akai, ancora fermo, notò che da dietro di loro spuntarono degli uomini, come se fossero usciti dall'ombra. Avevano tutti la stessa corporatura possente e indossavano tutti un completo di colore blu notte. Solo dopo realizzò che quelli erano gli accompagnatori.
Il ragazzo si decise a fare un passo quando tutti furono ad un paio di metri da lui.
Li seguiva silenzioso, con lo sguardo abbassato, sperando che non lo notassero. Sfortunatamente per lui, Aaron si girò. Lo guardò per un paio di secondi, dopodiché tornò a guardare davanti a sé. Ampliò il sorriso, e chiuse gli occhi.

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