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I primi raggi solari iniziavano ad illuminare la città, arrivando anche a poggiarsi sugli occhi di Akai, rendendoli più scintillanti che mai. Il ragazzo si trovava in balcone, perso nei suoi pensieri e intento ad osservare le strade ancora vuote. Non era più riuscito a prendere sonno, quel sogno lo aveva spaventato a tal punto da impedirgli di riaddormentarsi. Ci stava ripensando, cercava di capire quale oscuro significato nascondesse. La ragazza che lo teneva prigioniero aveva un viso completamente nuovo. Avrebbe potuto fermarsi a pensare che tutto quello fosse solamente frutto della sua fantasia, ma ad impedirglielo era la smisurata realtà con la quale provò quelle orribili sensazioni.
Non faceva nulla, poteva solo attendere. Solo, nella sua stanza. E, come da abitudine, anche oggi stava aspettando che il suo capo si facesse vivo per aggiornarlo sulla situazione. Nonostante Higuma stesse organizzando un piano — anzi, qualcosa che avrebbe potuto dare un briciolo di speranza —, Akai era all'oscuro di tutto. Erano passati tre giorni da quando si era fatto scoprire, da quando si rese conto di aver messo tutti in pericolo. Infatti, il giovane iniziava ad essere preoccupato. Se non fosse andato da Kaneshi per offrire il suo potere entro i giorni rimanenti, quest'ultimo avrebbe posto fine all'umanità. Ma comunque, per quanto ne sapeva, niente era in grado di fermarlo.
Erano tre giorni che Akai affogava in quel mare dalle acque gelide, che rappresentava l'attesa: un'attesa infinitamente snervante. Rifiutò ogni pasto che Meiko gli portò. Nonostante fossero i suoi piatti preferiti, gli veniva la nausea anche se ne percepiva l'odore, il che risultava strano. Ultimamente si sentiva molto debole. Una stanchezza mentale davvero fastidiosa.
Proprio in quel momento, l'attenzione del ragazzo venne attirata da un rumore proveniente dall'interno della stanza. Così rientrò immediatamente e vide la maniglia della porta girata. Pensò che fosse la cameriera, ma non era l'ora della colazione. La porta iniziò lentamente ad aprirsi e il ragazzo riuscì ad intravedere dei ciuffi di capelli. Riconobbe subito quel colore castano, simile al tronco di un albero, e gli si bloccò per un istante il respiro.
Quando la persona si fece vedere, le pupille di Akai si ingrandirono lievemente. Higuma teneva ancora la mano sulla maniglia, mentre lo sguardo si posava sul giovane. I suoi occhi scuri lo stavano esaminando da cima a fondo, e poi, quando arrivò al viso, più precisamente a guardarlo negli occhi, distolse lo sguardo.
«Come stai?», gli domandò, con un filo di voce. Quel tono era quasi privo di emozioni, ma il ragazzo vi percepì un leggero senso di preoccupazione.
«Sto...». Non seppe cosa rispondere. Neanche lui sapeva come si sentiva, ma sicuramente non era in ottima forma. «Bene», rispose poi, per non far preoccupare ulteriormente il capo.
«Mmh...». Quest'ultimo iniziò ad avanzare nella stanza, verso la portafinestra. Lo fece come se stesse camminando nel vuoto. Si fermò ad osservare il panorama della città attraverso le tende.
Akai non diceva niente, lo osservava in silenzio, speranzoso. Attendeva che dicesse qualcosa a proposito della situazione in cui si trovavano.
«Senti, voglio arrivare subito al dunque», disse, a corto di parole. Il ragazzo gli rivolse tutta la sua attenzione. «In questi giorni ho pensato molto ad un modo per contrastare quel folle». Spostò con un dito la tenda per avere una visuale migliore delle strade, oramai con qualche macchina che ci passava sopra. «Per quanto io mi sia sforzato, non sono riuscito a pensare ad altro». Afferrò una parte di tenda col pugno, dando l'impressione che volesse tirarla via. Il braccio divenne teso e vi spuntarono delle grandi vene. «Ho telefonato agli altri responsabili dell'Organizzazione Eagle», quello era il nome dell'organizzazione di cui Akai faceva parte, «ho spiegato loro la situazione e, con un po' di impegno sono stato in grado di giungere ad un accordo». Lo guardò in volto; Akai era immobile, con espressione invaghita. Dentro di lui non poteva credere che Higuma avesse sul serio telefonato gli altri capi, in quanto era considerato un avvenimento più unico che raro. «Hanno accolto la mia proposta, di farvi collaborare al fine di sconfiggere Kaneshi». Ad Akai parve di sentire all'interno della sua testa il potente rumore di un fulmine, che distrusse ogni suo pensiero. Cosa?, pensò, con una spiccata incredulità.
«So che potrà rivelarsi un rischio molto grande, considerando che disponente tutti di personalità diverse e, da certi aspetti, imprevedibili», continuò Higuma. «Però non c'è altro modo. Kaneshi è un avversario che va ben oltre le tue possibilità. Nonostante tu sia un combattente straordinario, con una notevole abilità oculare, sono sicuro che non riusciresti neanche a fargli un graffio. Ma se tu e gli altri Senshi sarete in grado di unire le vostre incredibili forze e abilità, ci sarà una discreta possibilità di vittoria. Non dico che sia una vittoria assicurata, però ritengo sia l'unica speranza a cui aggrapparci». Si allontanò dalla portafinestra, spostandosi dall'altro lato della stanza.
«Higuma, aspetta», lo chiamò Akai, pensando volesse andare via. Quando Higuma gli rivolse lo sguardo, il giovane fu a corto di parole.
Higuma sospirò, socchiudendo gli occhi. «Immagino come ti senti, Akai. Nessuno ha detto che questo sarà un compito facile». Poi si avvicinò, mettendo le mani in tasca. «È vero che sono considerati estremamente particolari e spaventosi, ma ricorda che lo sei anche tu. Negli altri edifici — e anche in questo — parlano di te come se fossi qualcuno che non sei. Ci sono molte persone che hanno paura di te, che quando incrociano il tuo sguardo vengono circondati da un senso di agitazione e paura. Ma questo è perché tu sei diverso rispetto alle altre persone, e la stessa cosa vale per gli altri Senshi». Sebbene siate diversi di carattere, condividete molte cose, e lo stesso trattamento. Il ragazzo rammentò queste parole, che Higuma era solito dirgli quando parlava degli altri Senshi.
Akai distolse lo sguardo, rivolgendolo a terra. Sembrava stesse provando un intreccio di sensazioni: frustrazione, vuoto e magari anche un briciolo di rabbia. «Capisco che sia l'unica carta da giocare, ma come puoi avere la certezza che possa procedere senza alcun intoppo?», domandò, con voce spenta.
«Infatti non ce l'ho», rispose immediatamente e schiettamente Higuma. «Come ti ho detto, le possibilità che questa missione andrà per il verso giusto sono piuttosto basse, ma come hai detto tu, è l'unica carta da giocare. Se ti viene in mente qualcos'altro, sei libero di dirmelo».
Akai rivolse uno sguardo estremamente tagliente al suo capo, questa volta senza timore — era solito fare così, a volte.
«Naturalmente, ho promesso agli altri capi di tenere i loro Senshi sotto controllo, quindi se si dovesse presentare qualche complicazione tra di voi, saprò in che modo risolverla», disse Higuma.
Dopo aver detto ciò, si avviò verso la porta.
«Aspetta», disse Akai, richiamando la sua attenzione. «È tutto qui quello che hai da dirmi?».
Prima di rispondere, Higuma parve analizzare la sua espressione, che in quel momento lasciava trasparire della lieve preoccupazione. «Sono solo venuto per informarti, e per dirti che la missione avrà inizio domani mattina. Tra qualche ora passerà Meiko, che ti consegnerà delle schede che racchiudono tutto quel che c'è da sapere sui Senshi. In questo modo ripasserai meglio le loro abilità principali, potrai anche leggere ciò che i loro capi hanno scritto su di loro: il modo in cui portano a termine le missioni e gli atteggiamenti che assumono più spesso. Ti tornerà utile, anche se sarà opportuno incontrarli e fare squadra con loro per comprenderli meglio». Aprì la porta. «Nel pomeriggio ripasserò, e ne parleremo meglio. Tu vedi di mangiare qualcosa», aggiunse, prima di lasciare la camera da letto di Akai, lasciandolo sguarnito, col cuore appeso ad un filo, pronto a cedere.
Il giovane si sedette sul letto, ripensando alle parole del suo capo. Era chiaramente scettico al piano ideato da Higuma, e ansioso all'idea di fare squadra con gli altri Senshi.
Ecco che sentiva l'orribile sensazione che lo aveva avvolto in quei giorni ritornare, strattonare il suo cuore e mente, questa volta molto più amplificata. Improvvisamente i sensi di colpa lo stavano nuovamente recitando. Che cosa ho fatto?, pensava. Ho combinato un vero casino. È tutta colpa mia, è tutta colpa mia. È solo colpa mia. Chiunque, anche chi non è consapevole, sta rischiando la vita per un mio insulso errore. Anche loro, anche loro stanno per affrontare una missione che quasi sicuramente non li farà sopravvivere, e tutto per causa mia. Sono davvero uno stupido, sono così idiota. Non sapeva bene cosa gli stesse succedendo, non era capace di trattenere le lacrime. Non si era mai sentito così. Sarebbe potuta essere una semplice crisi di nervi, dovuta ai sensi di colpa e all'ansia, ma pareva essere molto di più.
È solo colpa tua. D'improvviso Akai alzò lo sguardo, gli occhi spalancati. Aveva udito una voce. Si guardò attorno, ma era presente solo lui nella stanza. Rimase con lo sguardo immobile su un punto fisso del muro, realizzando cos'era appena accaduto. Se nella stanza c'era solamente lui, di chi poteva essere quella voce? Forse era solo frutto della sua immaginazione, anche se avrebbe potuto giurare di averla sentita chiaramente, come se qualcuno gli avesse parlato all'orecchio.
Si autoconvinse che, molto probabilmente, era dovuto alla stanchezza. Così, cercò di rilassarsi, distendendosi sul letto. Per gli istanti a seguire, non fu in grado di liberare la mente dagli eccessivi pensieri, fino a quando socchiuse gli occhi e riuscì a trovare un po' di serenità nel sonno.

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