Capitolo 15

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 «Piccola umana, non è me che devi temere...» la bambola si piegò verso un pezzetto di legno. «Lo sai chi sono?»

Thymeria lanciò un'occhiata ad Aurora. Aveva seguito le indicazioni che le avevano dato prima della partenza e, se non avesse superato il crinale poco prima che la nuvola coprisse il piccolo altopiano, non avrebbe visto la casera in cui ora stavano riposando. Aveva sistemato alla bell'e meglio il tetto e la finestra, sistemando i teli impermeabili per avere almeno qualcosa di asciutto sopra di sé, ma il lavoro era stato intralciato dalla scarsa visibilità.

«Una cheatura.» rispose il pezzetto di legno.

Leto stava russando sullo zaino di Thymeria, abbracciato a questo e con la bocca appena socchiusa che riversava un filo di bava, accanto al piccolo fuocherello acceso nel focolare. Thymeria aveva sistemato dell'altra legna accanto al focolare, in modo che si asciugasse.

«Di che creatura si trattava?» chiese Thymeria, con un sorriso verso la bimba, appoggiandosi con la schiena alla parete.

I capelli erano arruffati e impiastricciati, ma si staccò soltanto un attimo dalla parete per legarsi i capelli con un laccio rosso.

«La donna nel lago.» rispose Aurora, sollevando lo sguardo dai suoi giochi. «Quale alta?»

Thymeria annuì appena, ricambiando il suo sguardo e poi portando gli occhi sul fratellino. Le sarebbe decisamente piaciuto sapere cosa gli aveva riferito la vivana, ma le parole della bambina erano state confuse. Le vivane tergiste non erano in grado di distinguere tra un adulto e un bambino e parlavano nello stesso modo ad entrambi, evidentemente anche quelle floriane avevano quel difetto.

Allungò la mano verso il pezzetto di legno, prendendolo con delicatezza alla bambina. «Di cosa mi volevi parlare?» chiese la donna, in falsetto.

«Tanti pericoli...» disse la bimba, cercando di fare una voce profonda. «quelli che vi seguono...»

«Che pericoli?» inarcò un sopracciglio.

Aurora si strinse nelle spalle, scuotendo piano il capo. Thymeria lanciò un'occhiata alla finestra dagli scuri socchiusi, sentendo la preoccupazione montare dentro di lei.

***

«Interfector Arys Somnaris della Valpiega a nome di Dossacles.»

La voce stentorea della guardia fece sollevare gli sguardi delle cinque persone che si trovavano attorno ad un tavolaccio di legno su cui era distesa una mappa. Arys chiuse a pugno la mano sul petto e attese un cenno di uno dei cinque prima di avvicinarsi.

La luce all'interno era limitata dal pesante tessuto colorato di bianco e di turchese, la maggior parte di questa, anzi, proveniva dal telo che l'altra guardia all'ingresso della tenda aveva sollevato per farlo vedere dagli occupanti.

«Vi davamo per disperso, Somnaris.» commentò un uomo. Indossava una pesante armatura di piastra, sopra la quale si trovava una giacca aperta di colore nero, e un cappello come quello di Arys gli copriva parte dei capelli grigi. Una profonda cicatrice gli segnava orizzontalmente il viso e aveva perso una parte della punta del naso.

«Ditemi, vostra moglie ha ucciso tutti i messaggeri?» intervenne l'uomo alla sinistra di colui che aveva parlato.

Arys lo squadrò, pur mantenendo un'espressione neutra. I capelli erano corti in capo, quasi se li tagliasse molto spesso, ma ancora neri nonostante una vasta stempiatura che era coperta da una corona tempestata di pietre preziose in capo. Soffermò lo sguardo sul viso di lui, notando la corta barba ben curata e inanellata che gli giungeva a metà del collo e gli abiti di fili argento e dorati dalle maniche molto ampie. Infine un pesante mantello porpora bordato di ermellino gli copriva le spalle.

La disfatta di FlorisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora