Capitolo 20

6 1 0
                                    

Si acquattò dietro ai massi e osservò con attenzione il sentiero che avevano fatto e che si era inoltrato di nuovo in mezzo ad una piccola macchia d'alberi.

Non era stata una sorpresa sentirsi il fiato sul collo e aveva deciso di scendere di quota per infilarsi in quella piccola macchia. Aveva creato con la bambina una piccola nicchia in mezzo a due grossi massi, facendo una copertura con i rami caduti e delle felci strappate dal suolo intere. Solo quando aveva deciso che i bambini fossero sufficientemente invisibili aveva deciso di lasciarli per creare la trappola. Era tornata indietro e aveva rimosso tutte le possibili tracce del loro passaggio e ne aveva creato di nuove, aveva creato piccole trappole che avrebbero rallentato gli inseguitori e si era sporcata interamente di fango per nascondere la carnagione chiara.

"Se solo avessi qualcuno dei miei..." pensò con nostalgia, controllando la situazione.

I passi si facevano sempre più forti e sentì un ramo rompersi in più pezzi.

«Se u ciemo kenassciomimo ve unostriru.» disse uno degli inseguitori. «Sche veffombe ettru unostriruke dan se zaramo.»[1]

Imprecò mentalmente, la lingua non era decisamente quella di Floris. anche se le si avvicinava molto, e non era in grado di capire cosa stessero dicendo. Osservò attraverso la fenditura e strinse le labbra.

I vestiti degli uomini erano di un rosso brillante, per quanto fossero sporcati dal fango, una casacca coperta da una giornea gialla che si allungava fino ai piedi. Alla cintura portavano le spade lunghe e solo uno di loro aveva un arco. Deglutì appena quando quello che andava in avanscoperta si girò verso i suoi compagni.

«Ima sche terginko chinnucio izunnerelli?»[2] chiese, mentre il mantello rivelava un simbolo che Arys le aveva spiegato più volte: due cerchi concentrici erano tagliati da una riga verticale e una orizzontale, ad ognuna c'erano come delle corna, rivolte verso l'interno quelle sull'asse orizzontale e verso l'esterno le altre.

Dovette trattenere lo stomaco quando vide che non c'era solo il simbolo ricamato sul mantello, ma anche scalpi di almeno cinque creature diverse.

"Venatores" pensò, con il gelo che le si inoltrava nelle vene.

Perché i venatores alfei erano su quelle montagne e li avevano sicuramente inseguiti dal primo giorno? Forse volevano i bambini per far fare qualcosa ad Arys?

Lanciò un'occhiata ai rami che aveva irto di bastoni velocemente appuntiti e all'innesco in cui bastava lanciare un sasso per far cadere il peso dal sostegno.

«Imardavu sche unostriru, be edittonzoke de su... fi ecengiomo embiore ata da filtre...» sbuffò uno dei cinque, riprendendo a camminare. «se aiidru kra ettru izunnerellike ata fi sarza? Sche e otunne unostrirusa ata atreremo...»[3]

Prese in mano il sasso che si era preparata e mirò con attenzione all'innesco. Lanciò con precisione e colpì il rametto che teneva su il contrappeso e i rami schizzarono verso il sentiero che aveva creato.

Un gorgoglio, le voci che si zittirono all'improvviso e dei fruscii tra il sottobosco.

Si sporse a malapena dalla fenditura e vide che i rami avevano colpito al tronco solo quello che era avanzato troppo, trafiggendogli i polmoni e inchiodandolo in piedi.

"Calidona, madre di tutti, aiuta questa tua figlia..." pregò, lanciando un'occhiata ai dintorni.

Non fu un problema vedere i cinque nascosti tra le piante, con i vestiti rossi che riducevano notevolmente la possibilità di mimetizzarsi con successo.

"Calidona, ti prego, chiedi supporto a tua sorella Gea e permetti che le creature dei boschi si ribellino agli intrusi" pregò.

Aveva visto prima dei cinghiali, una scrofa con i suoi piccoli, e aveva detto ai bambini di stare lontani da loro, aveva dovuto trattenere soprattutto Leto. Mirò con attenzione il più vicino e trattenne il fiato.

La disfatta di FlorisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora