♥ 7 - Fire ♥

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Avevo saltato tutte le lezioni di quella giornata. Non avrei avuto la testa per seguirle come si doveva. Manuel invece, non aveva nessun corso quel giorno a cui partecipare. Uscì di nuovo dal bagno coi capelli bagnati, che gli ricadevano sul volto. Avrei voluto toccarli. Avrei voluto sfiorare lui.

«Gin, io penso che tu debba reagire.» Si posizionò di fronte a me, con sguardo severo.

«Si, ma ho paura di lui, Manu. È pazzo, completamente pazzo.» Iniziai a mordermi i pollici, gesto che ero solita fare a causa della tensione.

«Non capisco perché è tornato dopo un anno, comunque, è insensato.» Mi sfilò il pollice dalla bocca, in modo molto tenero.

«Lui fa cose insensate, Manu.» Non potevo negare che il contatto con la sua mano mi avesse lasciata attonita, il mio corpo lottava tra l'intensità del momento e la voglia di scappare lontano dal mio istinto.

«Io devo studiare un po' oggi, ma tu fai quello che vuoi. È casa tua questa.» Si girò di spalle, denudandosi di fronte a me, come se niente fosse. Sentii una fitta allo stomaco e non riuscii a smettere di guardare la sua figura, snella ma tonica, infilarsi i vestiti con una grazia e lentezza che solo lui poteva permettersi di avere. Continuavo a pregare la voce della mia coscienza di farmi smettere di provare quelle sensazioni sbagliate e fuori luogo, sperando che mi avrebbe in qualche modo ascoltata.

Sorrisi e gli mandai un bacino. Decisi di sentire Caterina e raccontarle ciò che era successo, era sempre più convinta che avrei dovuto denunciarlo. Inspiegabilmente, mi chiese se fossi da Manuel e mi pregò di salutarlo da parte sua con una voce stridula. Non potei fare a meno di alzare gli occhi al cielo e fissarlo. La parte irrazionale di me avrebbe voluto prenderla per i capelli, ma non sarebbe stata una mossa saggia. Lui, nel frattempo, si era messo alla scrivania con un paio di occhiali neri e stava facendo calcoli astrusi di cui non si capiva nemmeno l'inizio. Aveva di fronte un grosso libro pieno di formule matematiche incomprensibili e biascicava qualcosa tra sé e sé.

Probabilmente, percepì il mio sguardo indagatorio, il che lo costrinse a girarsi verso di me: «Cosa c'è, Gin?»

«La tua Cate mi ha detto di salutarti», il mio tono era stranamente infastidito e lui sembrò proprio notarlo e mi guardò con fare interrogativo, come se avessi fatto il più grande sproloquio di sempre.

«Quindi?» Iniziò a picchiettare la matita sulla sedia, con un'espressione ostile.

«No niente, vado a fare una passeggiata con tua mamma», sbottai. Lui non provò nemmeno a ribattere. Mi alzai in modo brusco e andai di sotto da Elsa, che accettò subito la mia proposta.

Sua madre mi portò nei dintorni, poiché, a pochi metri, il Comune aveva costruito un percorso pedonale, nel mezzo di un parco abbandonato, così da permettere agli abitanti di sfruttarlo. La distesa verdeggiante si estendeva per pochi chilometri e l'accesso al parco permetteva di dirigersi in due direzioni, la prima dedicata all'aria ludica e la seconda a quella sportiva. Proseguimmo, decidendo di percorrere due chilometri, accompagnate da alberi di salici e siepi colorate. Rimanemmo tutto il pomeriggio fuori all'aperto. Era piacevole parlare insieme a lei, soprattutto perché mi raccontava sempre qualche aneddoto su Manuel, con cui sicuramente l'avrei preso in giro successivamente.

«Manuel mi ha detto di Luca. Ginevra, se vuoi stare qui da noi, sentiti libera di farlo», mi guardò con occhi seri e dal tono di voce traspariva la sua preoccupazione. Detestavo essere causa di tali problemi per le persone che amavo.

«Elsa, grazie, ma non c'è bisogno. Smetterà, ne sono sicura». Anche se nel profondo, sapevo che non si sarebbe fatto da parte molto in fretta. Vivere nella paura era diventata una cosa così naturale che non riuscivo a ricordare come fosse alzarsi priva di pensieri, come tutte le ragazze della mia età, le quali problemi erano soltanto legati a uscire col ragazzo giusto e al trucco migliore da utilizzare.

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