♥ 15 - Freedom ♥

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Dopo qualche tempo, che sembrò durare una vita intera, le sirene riempirono l'ambiente circostante e uomini in divisa scesero a soccorrermi, mettendo le manette a Luca, che mi guardava in modo così ostile che mi fece rabbrividire l'anima. Lo esaminai mentre poggiava i suoi arti inferiori sul sedile dell'automobile dei miei nuovi eroi. Forse ero libera. Forse, finalmente, avrei potuto iniziare a volare.

Li seguii in caserma, senza mettere a fuoco realmente ciò che stesse capitando. Denunciai Luca per l'aggressione e quegli uomini adorabili mi spiegarono che non poteva più avvicinarsi a me e, in caso contrario, avrei dovuto avvertirli subito. Mi misi a ridere di fronte a loro, sentendomi una completa idiota, ma ero così felice di essere tutta intera che non potei evitarlo.

Mamma mi raggiunse fuori dalla caserma e mi strinse più forte di quanto avesse mai fatto prima d'ora. La ringraziai perché se non ci fosse stata lei, nessuno sarebbe potuto intervenire. Aveva i capelli arruffati, in disordine, come se avesse fatto a botte con qualcuno. I suoi occhi erano bagnati, segno che, probabilmente, avesse pianto. Mi odiai con tutto il cuore per la angoscia che le stavo provocando. Lei era tutto per me. Ricambiai l'abbraccio, mettendoci tutto il mio amore. Accanto a lei c'era Manuel, che mi guardava come un animale spaventato.

Era dannatamente attraente, come al solito, ma al contrario delle altre volte, indossava una tuta consumata, di un colore verde pistacchio, veramente orribile. A stento riuscii a trattenere una risata.

Come in uno stato di trans mi staccai da mia madre e corsi verso di lui. Volevo sentire il suo profumo inondarmi le narici. Volevo sentire la sua pelle contro la mia. Lo cinsi più forte che potei, odorava di buono, odorava di casa. Avrei voluto baciarlo, ma sapevo che sarebbe stato troppo e non potevo permettermelo. Lui era lì, per me e questo contava più di tutto.

«Stai bene, Gin?» disse più come una preghiera, che come una richiesta.

«Più o meno». Avevo un livido in viso e il sangue che mi era colato dal naso si era appiccicato alla guancia. Sicuramente, ero stata più affascinante di così.

«Sei bella anche in questo stato», mugugnò sommessamente, con uno sguardo indagatore, indugiando sulle mie ferite e sospirando. Non mi aveva mai fatto nessun complimento. Ma soprattutto, non lo avevo mai visto così preoccupato per me, era una sensazione travolgente.

«Lo so», risi, per tranquillizzarlo. Aveva davvero il timore dipinto in volto e, nonostante ne ero lusingata, mi sentivo in colpa.

«Perché mamma ha chiamato te?» La domanda mi sorse spontanea, avrebbe potuto avvertire chiunque, persino qualche sua collega o i miei amici.

«Ha detto che sono l'unico che sarebbe corso in piena notte per venire ad aiutare te», bofonchiò, stringendosi nelle spalle.

Dio. Perché era così maledettamente sexy quando scandiva quelle parole? Perché sembravano essere una musica per le mie orecchie?

«Grazie, Manuel» dissi baciandogli una guancia, ma questa volta esitai, guardandolo negli occhi. Forse anche lui voleva di più. Forse eravamo pronti per stare finalmente insieme. Il calore della sua pelle liscia contro la mia ebbe il potere di quietare le mie paure. Avevo cercato così a lungo un posto nel mondo, che mi accorsi di averlo trovato: era al suo fianco.

Il suo telefono squillò e sul display comparve un nome: Alessia.

Chi cazzo era Alessia?

La gelosia iniziò a irradiarsi in tutte le fibre del mio essere. Ci fissammo a lungo ma io non dissi nulla. Mi girai per nascondere quanto mi facesse male questa situazione. Non ebbi il coraggio di chiedere niente. La Ginevra di prima sarebbe saltata al suo collo e, canzonandolo, lo avrebbe costretto a raccontarle tutto. La Ginevra che non provava nulla per lui, quella spensierata. Quella ragazza però, si era persa e non aveva nessuna intenzione di ritornare.

Mi misi sul sedile posteriore della sua automobile, senza parlare, osservando la strada buia e scoscesa di fronte a noi, fino a destinazione. Mi aveva già rimpiazzata. Gli erano bastati pochi giorni per dimenticare quanto fossimo perfetti insieme. Scesi e gli rivolsi un flebile grazie ed entrai in casa, a farmi coccolare da mia madre, che mi accolse tra le sue braccia come se fossi un cagnolino abbandonato.

Stesa nel letto, continuavo a rimuginare su chi diavolo fosse questa Alessia, che lo aveva chiamato. Non me ne aveva mai parlato prima d'ora. Chi diavolo era? Provai a controllare i social per scovarla, volevo confrontarla a me, capire cosa avessimo di tanto diverso. Rimasi tutta la notte a navigare come una spia sotto copertura, senza trovare alcunché. Era inesistente.

D'un tratto il telefono squillò, facendomi sobbalzare. Erano le sei di mattina. Manuel. Aspettai un po' prima di rispondere, poi mi feci coraggio.

«Ehi...» Ero veramente imbarazzata, perché ero sveglia esattamente come lui, forse per lo stesso identico motivo.

«Gin, ti senti meglio?» lo sentii pronunciare quelle parole sottovoce.

«Si. Grazie... E grazie di essere venuto prima», giocherellai con i miei capelli, per sciogliere la tensione.

«Non devi ringraziare. Lo sai che per te ci sono sempre.» Stava sorridendo, ne ero certa.

«Dovevi dirmi qualcosa?» Andai al sodo, era estenuante avere a che fare con la sua personalità.

«Ehm... Ho conosciuto una ragazza e la sto frequentando, pensavo fosse giusto dirtelo, dato che sei la mia migliore amica.» Il suo tono si spegneva, andando a calare, come se non volesse dirlo.

Scattai in piedi all'istante, come a voler scaricare l'agitazione che stava crescendo nel mio corpo. Cosa avrei dovuto dirgli? Che ero felice per lui? Avrei dovuto fare una scenata di gelosia? Lo avrei perso per sempre in tal caso.

«Uh. Wow... Io... Beh, sono molto felice per te, Manu... Me la dovrai presentare, suppongo...» Le parole uscirono senza che io ne avessi il pieno controllo. Sembrava che le mie emozioni si fossero rinchiuse in un angolo stretto della mia mente, come a volersi proteggere.

Lui fece un sospiro di sollievo: «Sapevo che avresti capito. Sei troppo intelligente, Gin.»

«Tanto... Io e te siamo solo amici Manuel. Non c'era motivo di preoccuparsi» Pronunciai, un po' per cercare una sua reazione, un po' perché volevo disperatamente autoconvincermi che fosse così.

«Si certo, sempre stati. Buonanotte Gin... o Buongiorno, scusa se ti ho chiamato a quest'ora», colsi una sfumatura di tristezza, che cercava di celare a sé stesso.

«Notte Manu... Io... Ti... Voglio bene...» Forse no. Forse lo amavo. Ma non glielo avrei detto neanche sotto tortura.

«Anche io»

Chiuse la chiamata. Avrei voluto dirgli che il mio cuore faceva le piroette ogni volta che incrociavo i suoi occhi. Avrei voluto dirgli che era l'unico che mi aveva fatto sentire di nuovo qualcosa. Ma non lo feci. Lui non sarebbe mai diventato qualcosa di più e forse era destino che rimanessimo soltanto amici.


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