♥ 45 - Discovery ♥

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Qualche giorno dopo percepii una voce alterata provenire dalla sala d'aspetto. Mi svegliai di soprassalto, trovando mia madre accanto a me, fortemente sconcertata dall'accaduto. Si precipitò fuori da quella camera malinconica, per accertarsi della situazione. Udii voci differenti cercare di placare il trambusto, che sicuramente aveva attirato l'attenzione di tutto il personale e dei degenti. Passò qualche fugace minuto e la porta della mia stanza si spalancò bruscamente, lasciando entrare una Denise furibonda verso il mondo intero, che avanzava a grosse falcate.

«Ginevra. Come stai?», corse ad abbracciarmi, addolcendo a poco a poco lo sguardo, quasi facendo precipitare il contenitore sterile della flebo.

I suoi lunghi capelli neri erano raccolti in una treccia perfettamente curata, le mani longilinee si intrecciavano con le mie, fredde e venose. Gli occhi da cerbiatta resi ancora più profondi dal kajal celeste, inchiodati nei miei.

«Meglio, ciccia. Grazie di essere passata» le rivolsi un sorriso genuino, ero grata che fosse lì in quel momento difficile.

«Nessuno mi ha avvertita! Nessuno!», puntò il dito contro la mia povera mamma, che aveva pensato a tutto, tranne che mettere al corrente la mia migliore amica dell'incidente, se così poteva essere chiamato.

Mia madre uscì dal suo stato riflessivo e sgranò i suoi occhi gentili, come gentile era la sua essenza: «Oddio, Denise. Scusami, tesoro. Sono stati giorni duri e io mi sono completamente dimenticata», le carezzò il volto con la punta delle dita, facendo abbassare la guardia alla mia amazzone preferita.

La dolcezza si dimostrava sempre un'arma più devastante dell'aggressività. Avrei dovuto tenerlo a mente per il resto dei miei giorni.

«Fortuna che Manuel si è ricordato della mia esistenza», continuava ad avere il broncio e una voce ferma. Tenere il punto della situazione la faceva apparire dissoluta e lo adorava.

«Dai. Ciccia, non è successo nulla», le feci cenno di avvicinarsi e la abbracciai nuovamente.

«Quando esci?» replicò, fingendo di togliersi dalla mia stretta.

«Credo questa sera. Ormai posso stare anche a casa, con le dovute accortezze», sorrisi flebilmente, alzando gli occhi al cielo.

«Ok, baby. Allora ti accompagno Io a casa e non Manuel, capito? Io!», il suo tono di voce iniziava a sciogliersi e io ero molto divertita dalla sua gelosia verso Manuel.

Soltanto pensare al suo nome mi faceva un effetto paradisiaco. Ma non potevo rifiutare l'offerta di Denise, mi avrebbe probabilmente ucciso e sepolto in qualche posto sperduto.

Alzai le mani in segno di resa: «Ok, amore. Sei meravigliosa, lo sai, vero?» schioccai la lingua in modo amichevole.

«Non mi compri con le tue parole, dolcezza», schiacciò l'occhiolino, allisciandosi la chioma bruna con il palmo sinistro e continuò: «Avverto anche Alessandro?», aggrottando le sopracciglia.

«Certo, pensavo che l'avessero già fatto!» mi toccai il capo imbarazzata. Nessuno si era preoccupato di avvertire quel bel principe azzurro che si sforzava di conquistare il mio cuore in modo assiduo? Scrollai la testa: «Forse Manuel si è dimenticato».

O forse no, era stato un gesto volontario.

Denise mi fissò con fare indagatorio, lasciando la presa dopo qualche secondo: «Lo chiamo subito, poverino.» Uscì dalla stanza, lasciandomi sola con mia madre, che subito venne al mio capezzale.

«Gin... Tra te e Manuel c'è qualcosa?» abbassò lo sguardo impacciata, torturandosi i lobi.

Le sue iridi meravigliose mi catturarono, facendomi soffermare sugli zigomi delicati e morbidi. Non sapevo cosa risponderle. Non volevo deluderla.

«Perché me lo chiedi?» cercai di aggirare la domanda, per prendere tempo.

«Ecco, io vi ho visti... Vi ho visti mentre.... Cioè, lui ti ha baciato» fece scorrere le sue mani sulle mie. Non aveva mai saputo come prendere il mio carattere ribelle e impudente. Lo aveva sempre gestito con la sua infinita sensibilità. Vederla così in difficoltà mi spezzò dentro.

«Uh. Noi... Siamo finiti a letto insieme... Tutto qui. Assolutamente nulla» speravo di non averla colpita in modo negativo. Detestavo deludere la mia eroina. Il mio modello di vita.

«Sei sicura, piccola? Tu lo ami?» chiese speranzosa, spostando il peso da un piede all'altro.

«Mamma, non credo. Cioè, non lo so, sinceramente. È complicato» risposi, distogliendo lo sguardo. Mi sentivo sporca, profondamente in errore. Chiusi gli occhi per un istante, che parve infinito. La sua sentenza mi preoccupava.

«Amore, non fa nulla, è che mi dici sempre tutto, di solito», la sua voce era leggermente rotta.

«Scusa, mamma. Mi vergogno di questa cosa. Lui è... Lui è lui.» Sorrisi pensando al suo viso, ai suoi lineamenti distinti, al suo modo strafottente e gentile al contempo.

Sapevo di amarlo, ma non avrei mai ammesso i miei sentimenti a voce alta. Temevo di renderli reali. Il pensiero svanisce, portato via dalla bufera di sensazioni quotidiane, ma certe confessioni rimangono impresse per sempre nel cuore. Non potevo permettermelo.

«Lui è lui? Amore, stai attenta con Manuel. Lo sai che lo adoro e penso che lui provi un sentimento per te, ma non è uno che si lega. Non è fatto per avere una relazione, lo sai. Lui ha bisogno della libertà» giocherellò con le mie punte brune, con le labbra curvate.

«Lo so, mamma», replicai un po' frustrata.

Non facevano altro che farmi notare quanto avessi fallito, quanto fosse impossibile farmi amare da una persona unica, speciale. Non mi importava più. Non dopotutto ciò che avevo passato. L'era dei rimpianti doveva finire.


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