♥ 31 - Outing ♥

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Ero sdraiata sul letto, gli occhi puntati verso il soffitto dal colore tenue. I capelli aperti a ventaglio, adagiati sul cuscino porpora. La camicia da notte argentata semiaperta sul davanti. La mente, un turbine di pensieri aggrovigliati. Riflettevo su quelle parole. Semplici. Non avrei dovuto rimuginarci sopra a lungo, ma non riuscivo proprio a evitarlo. Mi avevano scombussolata e ora rischiavo di essere divorata dalle mie stesse illusioni.

Manuel sarebbe uscito dall'ospedale a breve e io mi ero offerta di andarlo a prendere. Volevo rimanere un po' da sola con lui. Desideravo ritrovare quella perfetta armonia che solo la sua presenza sembrava darmi. Misi un vestitino bianco a fiori, leggermente stretto in vita, con delle meravigliose rose ricamate sulle pieghe. Raccolsi i capelli in una coda alta, per tollerare meglio il caldo torrido estivo e optai, infine, per un paio di sandali alla romana, che terminavano appena sotto il ginocchio.

Arrivata di fronte all'ospedale, sentii un'emozione pervadermi. Nonostante la struttura imponente mi facesse piombare in un assurdo disagio, ero impaziente di stare con il mio migliore amico e nulla pareva contare di più. Ogni volta che attendevo la sua compagnia percepivo le farfalle nello stomaco e la temperatura sembrava aumentare di cento gradi.

Colsi la sagoma lontana del mio amato Manuel, accanto alla sua stupenda madre. Avanzavano a braccetto. Elsa lo accompagnava amorevolmente fuori da quel luogo angusto, che ci aveva tenuti rinchiusi per quasi tre settimane, prima di lasciare libero il mio migliore amico da quella che per lui era diventata una prigionia.

La donna sorrideva amabilmente, raggiante, colma di luce. Come se l'intero mondo fosse ai suoi piedi. Indossava un abito sbarazzino a fiori, che le copriva il corpo fino alla caviglia. I capelli al vento rilucevano come oro splendente e il suo passo fermo e deciso denotava che la mia seconda mamma era tornata a essere padrona della vita.

Manuel, invece, aveva un colorito leggermente paonazzo, ma i lividi stavano lasciando il posto al colore roseo della sua morbida pelle. I bermuda bianchi cingevano le sue cosce toniche, mentre la maglietta blu creava un perfetto contrasto di colori, una concordanza sincrona. Il volto provato dal ricovero, ma bello e pulito come al solito.

«Gin», esclamò a denti stretti, fissando sua madre, che tentava di sorreggerlo, in cagnesco. Non appena mi chiamò gli corsi incontro, abbracciandolo.

Lo strinsi intensamente, inducendolo a fare una smorfia di dolore. Inalai a pieni polmoni quel profumo particolare che avevo tanto sognato.

«Scusami, Manu, sono troppo felice che tu stia bene.» Mi arrotolai le punte dei capelli legati attorno a un dito, con fare mortificato.

«Ti lascio a Ginevra, oggi», comandò Elsa, con un sorriso felice.

Si fidava di me come di sé stessa. Sapeva che fintanto che Manuel fosse stato in mia compagnia, non avrebbe commesso alcuna cazzata. Come, per esempio, trascurare la sua salute stancandosi in modo esasperante.

«Uhm», lui mi guardò di traverso, titubante.

Non amava particolarmente le sorprese, oppure, non voleva semplicemente che io stessi con lui.

«Avevi di meglio da fare?» Lo schernii, alzando un sopracciglio.

«No, no, mi arrendo!» Alzò le mani in segno di resa, come se fosse nel bel mezzo di una rapina.

Schioccai la lingua in segno di disapprovazione: guidavo io e non poteva fare altro che seguirmi. Sua madre lo sorresse, per far sì che salisse nell'automobile e lui la fulminò con lo sguardo.

Lo vidi emettere un grugnito leggero nel flettere gli arti inferiori, detestavo vederlo sofferente.

«Ti porto a fare un giro al lago, oggi.» Esclamai, entusiasta e impaziente come una bambina al parco giochi. Continuai sorridendo: «Mettiamo un po' di musica?»

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