♥ 18 - Passion ♥

1.6K 30 0
                                    

L'istante successivo, sembrò durare ore. Io e Manuel non ci parlammo, rimanemmo basiti a fissarci l'un l'altra, come se qualcuno ci avesse privato della possibilità di proferire parola. Non riuscivo a comprendere come avessi fatto in tutti questi anni a non accorgermi che fosse così dannatamente attraente. Chissà che cosa pensava lui di me. Chissà cosa fossi ora per lui. Sì, ora. In questo attimo, dove i nostri occhi continuavano a lottare tra loro. Se fossimo stati due corpi celesti saremmo stati la Luna e il Sole. Eternamente distanti, differenti, destinati a non incontrarsi mai, se non per quel breve attimo denominato eclissi.

«Scusa per l'ora», si schiarì la voce nervosamente.

Faticavo e mi appellavo disperatamente a me stessa per mantenere una parvenza di lucidità. Avrei voluto soltanto saltargli al collo e baciarlo. Odiavo che i miei pensieri prendessero questa piega verso di lui. Detestavo quello che mi stava facendo.

«È casa tua. Non devi scusarti», gli sorrisi e, evidentemente, i miei occhi mi tradirono, perché nei suoi ricomparve quell'espressione felina e bramosa che tanto mi provocava disagio.

Abbassai lo sguardo, fissandomi la punta dei piedi. Avrei voluto che se ne andasse. Forse no. Forse avrei voluto che mi dicesse che mi amava e che forse c'era una speranza per noi nel suo mondo. Ma ero consapevole che erano soltanto deliri che provenivano dalla mia testa.

«Vuoi qualcosa?» Gli chiesi per cortesia, in fondo era notte e avrebbe potuto aver bisogno di un bicchiere d'acqua o altro.

«Si...» Mi seguì in cucina, senza togliermi gli occhi di dosso. Mi dava sui nervi.

Si poggiò con i gomiti, in modo leggero, al piano bar, sorridendo con fare arrogante. Aprii il frigorifero, rigorosamente vuoto. Mi ero dimenticata di fare la spesa e mia madre aveva così tanto lavoro che non riusciva nemmeno a passare un po' di tempo con noi, figuriamoci per acquistare del cibo. Sopra di esso spiccavano calamite di ogni genere e forma: Elisa aveva la mania di collezionarle. Gli passai un bicchiere con dentro dell'acqua.

Lui scoppiò a ridere: «No, Ginevra. Intendevo dire che voglio te.» Teneva i suoi occhi inchiodati sui miei e, forse, sarei dovuta scappare in camera e chiudermi a chiave. Ma non lo feci. Rimasi immobile con un'espressione da ebete stampata in volto.

«Oh», avevo la gola secca e non osai replicare. Ma cosa gli prendeva? Mi ignorava per tutto questo tempo e poi pretendeva che io fossi disponibile? Continuai: «Non credo sia una buona idea.» Indietreggiai involontariamente.

Lui ridacchiò, facendo roteare il bicchiere di vetro sul legno: «Certo che lo è. Tu mi vuoi e io voglio te.»

Non sarei riuscita a contrastarlo, a resistere. In cuor mio ero consapevole che il suo atteggiamento avrebbe portato solo alla mia rovina. Pregai la mia mente di opporsi al suo fascino. Si avvicinò, in modo improvviso, percepivo il suo odore dolce invadere l'ambiente circostante e il suo volto inondare il mio spazio visivo. Nonostante avesse le occhiaie, fosse spettinato e con la barba incolta, era bellissimo. Immaginai il mio stato: mi ero appena struccata, avevo raccolto i capelli in una treccia laterale e indossavo il mio pigiama con gli orsetti. Sperai che mi trovasse attraente anche così.

Mi spinse contro il ripiano della cucina, facendo cadere un barattolo di ceci, che era posato lì accanto. Si sporse per pochi secondi, temendo di aver combinato un disastro. Automaticamente, chiusi gli occhi e reclinai la testa all'indietro, stringendo il suo ventre tra le mie gambe, come a impedirgli di fuggire. Lui iniziò a baciarmi il collo, a solleticarmi i lobi dell'orecchio, con il suo respiro caldo e affannoso, mentre con una mano esplorava il mio seno. I suoi palmi disegnavano piccoli cerchi concentrici sopra al mio addome, ormai scoperto. Lo sentivo armeggiare con i bottoncini della mia magliettina rosa, chinando la testa, come a voler ammirare il suo operato. Percepii la sua lingua farsi strada sul mio corpo, prima passò dolcemente la punta vicino all'ombelico, fino a risalire verso il top, che abbassò estasiato, dandomi dei piccoli baci sul petto.

Giunse al centro del mio piacere, affondandovi il volto, avido, fino a farmi contorcere e gridare come una forsennata. Aveva fame di noi, di ciò che eravamo insieme. Premetti le mani sul suo capo, fino a esercitare una leggera pressione. Si staccò, trovando la mia bocca. Era come una droga ed ero stata in crisi d'astinenza per settimane. Ne volevo di più.

Scesi dal mobile perlato, spingendolo contro al piano bar e iniziai a toccarlo ovunque, adoravo come la sua pelle aderiva alla mia e come si accendeva al solo contatto. Amavo il suo corpo, sembrava essere disegnato appositamente per le mie labbra, soltanto per essere carezzato dalle mie mani. Carezzai il suo addome tonico con la punta delle dita, baciando ogni centimetro, fino a sentirlo grugnire di piacere, indugiando leggermente sulla patta dei suoi pantaloni, sino a fermarmi. Incontrai i suoi occhi e iniziammo a baciarci con ardore, come due affamati. Questi istanti con lui erano magici. Avevo fatto l'amore con così tanti ragazzi senza mai arrivare a una passione tale. Ci capivamo alla perfezione, le nostre movenze sembravano disegnate e progettate da un artista.

Lo presi per mano e salimmo insieme le scale per raggiungere la mia camera. Era difficile concentrarsi e mettere un piede dopo l'altro. Cercavo di appoggiarmi il più possibile ai pioli, barcollando per l'eccitazione. Lui era dietro di me, di tanto in tanto spingeva il mio corpo contro il freddo muro biancastro, per giocherellare con le mie labbra.

Quando, finalmente, fummo giunti al piano superiore, chiusi con delicatezza la porta e mi gettai sopra di lui, scaraventando a terra la marea di libri che occupavano il letto. Gli sfilai la maglietta e inizia a baciargli i pettorali, scendendo sempre di più, fino a farlo ansimare così forte che pensai di dovergli tappare la bocca. Mi buttò a terra, posizionando le mie braccia sopra alla mia testa e obbligandomi a chiudere gli occhi. Mi torturò con la sua lingua, vendicandosi del mio operato, lasciato volutamente a metà.

Si fermò, avvicinandosi al mio viso: «Voglio sentirti urlare il mio nome.»

Il suo respiro affannoso mi indusse ad aprire gli occhi. Cinsi la sua vita e lo invitai a scivolare dentro di me. Ma lui mi bloccò, circondandomi il collo con le sue mani. Quell'immagine mi fece eccitare ancora di più. Montai sopra di lui, che iniziò a ghignare di piacere. Cominciammo a fare l'amore nel nostro modo selvaggio, irruento e animalesco. Mi immobilizzò le braccia e iniziò a baciare il mio corpo in un modo così passionale che mi veniva voglia di gridare, ma mi trattenni. Mi prese di nuovo e continuammo per tutta la notte, fino ad addormentarci l'uno sopra l'altra.

Bed's FriendsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora