♥ 12 - Uncontrollable ♥

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Posai lo sguardo su Manuel, che si era appoggiato al bancone dei cocktail, circondato da ragazze e ragazzi, che ascoltavano ammirati le sue storie. Era un bravo oratore, sapeva come attirare l'attenzione su di sé, senza mai annoiare gli altri. Mi avvicinai in modo repentino, per partecipare alla conversazione, che sembrava essere molto interessante. Ormai Manuel mi parlava soltanto di sesso e questa cosa iniziava a innervosirmi. Non mi raccontava più nulla di sé, dello studio, della sua famiglia o dei suoi genitori, ma soprattutto delle sue donne.

Oltrepassai l'ammasso di persone strette attorno al mio migliore amico, senza minimamente curarmi degli sguardi stizziti degli stessi. Avevo interrotto il teatrino prima che lui potesse finire la frase, ma avevo un disperato bisogno di chiarire la faccenda con lui.

«Manuel, io credo che dobbiamo parlare», urlai per sovrastare la musica e il chiasso presente nel locale.

«Ok. Parliamo, allora», dichiarò con quell'aria strafottente che assumeva quando era in difficoltà. Mi fece cenno di uscire dalla sala e lo seguii senza protestare.

L'aria fresca sferzò il mio viso accaldato, permettendomi di tirare un sospiro di sollievo. Il cielo stellato sembrava accompagnarci armoniosamente alla resa dei conti. Mi sistemai l'abito, in preda all'agitazione. Avevo provato il discorso nella mia testa, ma trovare le parole non era affatto facile. Lui mi scrutava con fare altezzoso, quasi come se fossi una sconosciuta.

«Senti, questa situazione non mi piace. Sei praticamente scomparso dalla mia vita. Non mi racconti più nulla e mi tratti come se fossi una delle ragazze che ti fai... Ma io non ero questo per te... Sono la tua migliore amica e vorrei essere trattata da tale. Dimentichiamo ciò che è successo, voglio solo riaverti. Rivoglio il mio migliore amico». Scandii le parole e le lasciai fluire tutte d'un fiato: odiavo mostrare i miei sentimenti e farmi vedere vulnerabile.

«Gin. Sei stata tu ad iniziarla. Sei stata tu a cambiare e io ho agito di conseguenza. Cazzo, lo sai che odio essere controllato e la prima cosa che fai è chiamarmi per dirmi se sono stato da Cate? La cosa che ho sempre amato di te è che hai sempre saputo come prendermi, ma sembra che non funzioni più»

Amato? In che senso amato? Mentre si esprimeva continuavo ad indugiare su questa parola, come se avesse un significato insito che dovessi cogliere in qualche modo. Avrei dovuto insistere con lui? Odiavo non avere il controllo ed ero conscia che, con lui, non lo avrei mai ottenuto.

«Manu. Possiamo ricominciare ad essere noi stessi?» spalancai gli occhi, sbattendo piano le palpebre, in modo che vi leggesse tutta la speranza che vi era connaturata. Lo vidi vacillare per un secondo.

«Ma certo. Sei la mia Gin. Lo sarai sempre». Era la frase che mi ripeteva da sempre e fui felicissima di sentirlo parlare così, istintivamente gli saltai al collo stringendolo forte e lui ricambiò con veemenza. Gli scompigliai i capelli, facendo attenzione a non spettinarlo troppo. Lo baciai sulla guancia e mi staccai da lui, tornando alla festa come un vulcano. Ero contenta di aver chiarito con Manuel una volta per tutte, anche se avevo la netta sensazione che saremmo finiti al punto di partenza molto presto.

Mi gettai, letteralmente, sui miei amici, che iniziarono a ridere di gusto, lanciandosi la mia borsetta e rimproverandomi di aver bevuto soltanto ciò che loro consideravano succo di frutta. Iniziammo a ballare tutti insieme e senza contenermi bevvi tantissimo. Iniziai a scagliare le mie scarpe per aria e, dando la colpa al caldo, cominciai ad armeggiare con l'abito, per toglierlo. Invitai tutti a fare lo stesso. Il mondo sembrava alterato, come ogni cosa intorno a me e continuavo a ridacchiare come una pazza, andando ad infastidire chiunque mi capitasse a tiro, compreso Alessandro, che sembrava apprezzare la mia gioiosità. Salii sul tavolo dedicato agli stuzzichini, ormai vuoto, mimando una lap-dance senza freno, con fare provocante. Caterina emise un gridolino di gioia e mi seguì, con gli occhi quasi chiusi, per la sbornia. Ad un certo punto lei mi baciò, in un primo momento poggiò soltanto le labbra sulle mie, mentre poi, sentii la sua lingua calda insinuarsi nella mia bocca. Fu allora che Manuel venne a recuperarmi per riaccompagnarmi a casa, sotto consiglio di Denise, che batteva le mani ed esultava. Mi tirò per un braccio, fino a farmi scendere dal tavolo, in modo tanto brusco che quasi caddi a terra.

«Ma-nu. Sei un guastaf-feste», biascicai a denti stretti, percependo il sapore forte dell'alcool, misto al bacio che mi aveva rubato Caterina. Mi strattonò nuovamente, era arrabbiato, ma non riuscivo a mettere a fuoco il motivo, ero talmente sbronza da non riuscire a disporre un piede dietro l'altro.

Non riuscii bene a capire come avessi fatto ad arrivare alla macchina, ma lui mi fece sedere piano, come se avesse a che fare con un bambino. Mi mise la cintura e mi pregò di fare la brava, mi avrebbe accompagnata a casa e sarei stata subito meglio. Aveva sottovalutato l'effetto dell'alcool su di me, perché iniziai a spogliarmi senza alcun ritegno nella sua automobile, ridendo. Mi sfilai il vestito, rimanendo con il mio reggiseno bianco di pizzo, che aveva apprezzato molto.

«Gin. Cosa cazzo fai?». Manuel aveva strabuzzato gli occhi, non sapeva che fare, ma il suo sguardo eccitato lo tradiva, così come i movimenti irregolari del suo petto.

«Uh, ci divertiamo, no?» Gridavo io, provando a togliere del tutto l'abitino. Volevo che lui guardasse ciò che tanto sembrava disprezzare. Doveva morire dal desiderio.

«Gin, rivestiti, per favore». Sgranò gli occhi, cercando di mantenere la calma. Ripeteva tra sé e sé che ero soltanto ubriaca.

«Non mi vuoi?» Gli misi il broncio, offesa, iniziando a mordicchiarmi il pollice.

Lui si mise a ridere «Io ti voglio sempre». Lo disse in un tono talmente dolce che, non seppi resistere, e gli saltai addosso.

Mi misi seduta sulle sue gambe e iniziai a baciarlo. Ero rimasta in lingerie, avrei voluto assaggiare la sua pelle morbida e liscia. Feci scorrere le dita sulla sua maglietta, giocherellando con i suoi capezzoli. Lui tentava di ricompormi e mi diceva di smetterla, cercando di bloccare le mie mani bramose. Questo gesto, però, finì per eccitarmi ulteriormente. La mia lingua si insinuò, inarrestabile, nell'incavo del suo collo, esplorando ogni centimetro di lui. Finì per cedere, sotto la pressione delle mie attenzioni. Iniziammo a baciarci avidamente, come due affamati. Il gusto ruvido della sua bocca sulla mia, mi fece sussultare, mentre continuavo a muovermi sopra di lui.

«Gin», mi staccò dalle sue labbra con un gesto delicato, intimo. Proseguì: «Gin, mi hai chiesto di smetterla prima. Non voglio ferirti. Non sei lucida». Non riusciva a guardarmi, temeva di ferire quella esile donna, posata indifesa sui suoi arti inferiori.

«Ma io ti voglio» Replicai, con il tono di quando i bambini cercano di convincere i genitori a comprargli un giocattolo. Mi sentivo una completa idiota. Era chiaro che lui non mi anelasse, non nel modo in cui io desideravo lui.

«Non devi dirmi così», chiuse gli occhi. Era esasperato ed era chiaro che stesse lottando contro i suoi impulsi per mantenersi concentrato. Stringeva il volante con fervore, come a scaricare su di esso tutta l'eccitazione non soddisfatta.

In un attimo di lucidità, mi misi a sedere e mi appoggiai al finestrino, sentendo i sospiri di Manuel che si riordinava infastidito. Provai un senso di umiliazione tale che non volli più guardare verso la sua direzione, limitandomi a tenere la testa il più lontano possibile da lui.

Iniziai a pensare che Luca avesse ragione. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in me. Qualcosa che non piaceva a Manuel e che aveva fatto diventare Luca un pazzo. Mi coprii il volto e iniziai a piangere silenziosamente, per non farlo notare all'uomo seduto al mio fianco.

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