♥ 14 - Catched♥

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Mi baciò con fervore e, inizialmente, mi ricordai di quante volte avevo cercato quel calore nelle mie giornate scure, a quanto mi piacesse essere il suo unico desiderio. La sua lingua bollente era impregnata di tutti quei momenti trascorsi al suo fianco, del mio bisogno di lui. Gli ero grata, mi aveva raccolta, guarita da quella voragine che la morte aveva impresso dentro la mia anima. Ma con l'amore venne il dolore e i ricordi iniziarono a mescolarsi. Con lui non esisteva affetto senza pena. Non c'era gioia senza sofferenza. Il nostro amore era come un nodo, che lui aveva allentato, fino a distruggerlo completamente.

Mi staccai con un gesto brusco e gli diedi uno schiaffo in pieno volto. Iniziai a sudare freddo, non mi ero mai ribellata in tal modo. Dapprima rimase attonito, come se l'avessi colto di sorpresa, poi fece lo stesso con me. Un ronzio assordante invase le mie orecchie, un suono atono, ma doloroso. Il suo ceffone mi fece sentire il sapore del sangue tra i denti e, data la sua stazza e la sua forza fisica, mi scaraventò a terra. Il dolore cominciò a irradiarsi alla nuca, fino a farmi percepire un liquido denso e, dal sapore ferroso, scendere dal naso.

Luca si girò di spalle, avviando i suoi soliti monologhi, dove voleva convincere me, ma soprattutto sé stesso, che stare insieme fosse la cosa più giusta da fare. Mi chiese di smetterla di oppormi con tale veemenza, che avrei dovuto comprendere che lui era la mia anima gemella e che non avrei mai potuto essere felice con alcun individuo che non fosse lui.

I miei occhi si posarono sulla mia sacca, gettata a terra, a pochi centimetri da dove il mio corpo era crollato. Azzardai un gesto sconsiderato, fintanto che lui fosse stato impegnato con i suoi soliloqui, non si sarebbe accorto di ciò che stavo tentando di fare. Estrassi lentamente il telefonino dalla tasca interna, stando attenta a non emettere alcun suono. Sbloccai lo schermo, maledicendo me stessa e il momento in cui avevo deciso di mettere un codice di apertura.

Composi il numero di mia madre, sperando che rispondesse. Ogni squillo mi provocava un mancamento, temevo che Luca finisse di parlare e si voltasse. Al quarto squillo mi rispose una voce femminile afona.

«Amore, sono al lavoro. Che succede?»

«Luca, aiuto, casa.»

Cercai di farfugliare qualcosa, mantenendo un tono soffocato, per trasmetterle ciò che stava accadendo e farle capire dove mi trovassi, senza allarmare il mio ex psicopatico. Speravo disperatamente che, nonostante la mia voce estremamente sottile e strozzata, lei avrebbe potuto sentirmi. Sarà per il sesto senso femminile o perché era una mamma perfetta, capì alla perfezione e mi disse che avrebbe immediatamente avvertito i carabinieri. Nel frattempo, la immaginai, mentre era al lavoro, in preda al panico. La vidi correre alla macchina, per tornare da sua figlia in pericolo. Il suo più grande incubo si era avverato, quello di non potermi proteggere dal mostro che infestava le mie notti, dal demone nascosto sotto al mio letto.

Ritornai ad ascoltare le baggianate che provenivano dalla bocca di Luca, contando i secondi, per calmarmi.

«Ginevra. Tu non sei nulla senza di me.»

Urlava quasi come fosse un'altra persona a parlare al posto suo. Era una voce roca, priva di emozione. Io mi sforzai di non rispondere, sarebbe stato peggio. Lo conoscevo molto bene e sapevo a memoria i suoi scatti d'ira. Dovevo soltanto resistere un altro po' e tutto sarebbe finito, così com'era iniziato.

Si voltò di scatto, indugiando sulle mie mani, strette attorno al telefono. I suoi occhi assunsero un aspetto quasi inumano, erano saturi di odio, di collera, di sete di vendetta e di dominio.

«Non mi rispondi? Che cazzo stai facendo? Hai chiamato qualcuno, stronza?» La sua voce era sempre più energica e riecheggiava nelle mie orecchie, quasi come un colpo violento. Era in grado di ferirmi anche senza toccarmi.

Sentii le sue mani afferrarmi i capelli e istintivamente deglutii. Non avevo alcuna possibilità di difendermi contro di lui. Mi sollevò con una mano, fino a rimettermi in piedi accanto a lui, allontanando lo zaino dalla nostra posizione, con un gesto brusco. Ero perfettamente conscia del fatto che non avrei potuto reagire in alcun modo. La sua stazza era così imponente che lo avrei solleticato persino assestandogli un bel calcio. La mia esile corporatura poi, non era di alcun aiuto. Così decisi di provare a farlo parlare di noi. Dovevo guadagnare tempo, in attesa dell'arrivo delle forze dell'ordine.

«No. Stavo per farlo. Ma vorrei capire. Dimmi perché dovrei tornare con te, Luca. Dimmi perché dovrei passare sopra alle tue violenze.» Cercai di fingermi disperata. Un rivolo di sangue fuoriuscì dal mio naso, scontrandosi sull'asfalto. Mi toccai istintivamente quel punto, inorridita e le mie mani si tinsero di rosso.

Lui cambiò espressione e mi carezzò il volto. Lo prese tra le mani, con fare adorante.

«Perché sono l'unico che ti ama. Nessuno potrebbe mai amarti. Guardati. Sei così sbagliata, piccola. Ma ci sono qui io» Continuò a pronunciare queste frasi scioccanti.

Iniziai ad ansimare prepotentemente, percepivo il respiro venire meno e vampate di calore invadevano il mio corpo. Luca sembrò realmente preoccupato quando vide che stavo per avere un attacco di panico. Così provò ad aiutarmi a prendere fiato, ordinandomi di rilassarmi, ma più mi toccava, più io mi sentivo morire. Temevo di perdere i sensi e rimanere alla sua mercè, sarei diventata il suo giocattolo di nuovo.


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