♥ 26 - Alarm ♥

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Udii il suono insistente del mio cellulare, ma lo ignorai. Mi sentivo finalmente in armonia con il mondo e Alessandro mi baciò nuovamente, in un modo irresistibile. La sua bocca sensuale. Le sue labbra carnose. Le sue mani che indugiavano sulle mie gambe, senza sbilanciarsi ulteriormente. Probabilmente temeva che reagissi scontrosamente a quelle provocazioni. Non avrei voluto fare di più: era tutto meravigliosamente al proprio posto. Le nostre lingue che si cercavano. L'acqua, talmente calda e fragrante, come una pozione paradisiaca. Ero inebriata dal circondario: le luci soffuse, le candele, il profumo di vaniglia di Alessandro, camuffato dagli aromi dei prodotti della vasca, mi davano alla testa.

Avevo la pancia indolenzita dalle risate: passammo ore a farci il solletico a vicenda, dimenticandoci del resto del pianeta. Scordando le paure, i dubbi che ci assalivano meschini, totalmente persi l'uno nell'altra. Curiosi di conoscere la persona che tanto sembrava allietarci l'animo. Il tempo rimanente fu trascorso totalmente nella stanza da letto. Improvvisamente non avevamo bisogno di vedere altro dell'ambiente intorno a noi. Bastava ciò che avevamo lì, in quel preciso battito di ciglia.

Il servizio in camera ci consegnò la cena dopo poco e, nonostante fosse semplicemente la pinsa romana, la divorammo estasiati. Quell'atmosfera magica ci aveva trasportati in un universo parallelo, dove esistevamo soltanto io e lui. Non riuscivo a credere di stare così bene in compagnia di qualcuno che non fosse Manuel.

Come se mi avesse letto nel pensiero Alessandro esultò: «Sto proprio bene con te, Ginny», sorridendo timidamente. Era imbarazzatissimo e questo lo faceva sembrare un bimbo tenero.

«Anche io, Ale. Davvero», risi spontaneamente e gli proposi di rientrare nella vasca.

Mi aiutò come un vero gentiluomo e poggiai la nuca contro la sua spalla. Ero molto grata che mi avesse invitata e che fosse entrato nella mia vita. Lui poteva essere la scossa che desideravo e attendevo con ardore per ricominciare.

L'idromassaggio emetteva delle lucine psichedeliche blu e alcune bollicine che uscivano indisturbate si tinsero dello stesso colore caldo. Le stelle sopra ai nostri volti sembravano ballare in cerchio, fino a formare una galassia per conto loro. Il profilo di Alessandro si illuminò, grazie alle luci soffuse e alla luce naturale della luna. Lo scrutai a lungo: il viso perfetto che si contraeva in sogghigni soavi, la sua voce che solleticava il mio collo, trasmettendomi dei brividi roventi.

Rimanemmo a baciarci come due quindicenni per tutta la serata all'interno di quello spazio fatato, con le mani intrecciate a raccontarci di come fossimo giunti a quel punto, scoprendo a poco a poco qualcosa l'uno dell'altra. Mi avvolse con l'asciugamano, come se fossi un bocciolo soffice da proteggere, portandomi sul letto. Tenni le mani strette attorno al suo busto: il contatto con i suoi muscoli ricolmi di goccioline mi fece agitare. Mi adagiò sulle lenzuola candide, prendendomi i fianchi e posizionandomi sopra il suo sterno. Il suo cuore era un rombo tamburellante, a ritmo di un tango bollente. Prese il mio capo tra le mani e mi baciò nuovamente, carezzando il mio corpo in modo famelico. Le sue dita morbide stuzzicavano il mio ventre, finché si attorcigliarono all'interno dei lacci del costume, tendendo un poco il tessuto degli slip. Il suo respiro divenne affannoso e risalì verso il mio seno, provando a slacciarmi quel piccolo straccio che lo copriva. Non potevo. Mi staccai da lui brutalmente.

«Ale, scusa non me la sento...», abbassai lo sguardo, volgendo i palmi al soffitto, esaminandomi a fondo.

«Oddio, scusami Ginevra. Pensavo, ecco che anche tu avessi voglia di farlo...» Aveva uno sguardo ferito. Mi dispiacque a tal punto che avrei quasi voluto scappare.

«Preferirei aspettare...» Lasciai la frase in sospeso, con il peso della colpa che gravava nel petto. Non volevo per Manuel o per me stessa?

«Ma certo Ginny, non devi preoccuparti. Vieni qua.» Mi abbracciò sentitamente, fino a tranquillizzare i miei pensieri. Ma che mi prendeva?

Mi addormentati serena al suo fianco, mentre lui, infine, non pretese nient'altro che un bacio. Dopo molti giorni di tristezza e pensieri negativi mi sembrava straordinario sentirmi capita così. Il mio cellulare ormai era spento da ore, dopo aver scoperto che Manuel aveva continuato a chiamarmi di continuo. Perché diamine doveva sempre intromettersi in ogni passo della mia esistenza? Perché ogni qualvolta provassi a scacciare l'alone della sua presenza, lui si ripresentava sempre con maggiore vigore?

**

Il mattino dopo accesi il cellulare. Non appena il display si illuminò il mio sangue smise di pompare nelle vene. Trovai venticinque chiamate e dieci messaggi. Il panico mi assorbì completamente e il respiro rallentò di getto, tramandandomi quella sensazione di soffocamento straziante, che perviene prima di un attacco di panico. Era successo qualcosa sicuramente.

Aprii WhatsApp con le mani tremanti, il battito irregolare che pulsava dietro allo sterno. La prima conversazione era parte di mamma: "Tesoro Manuel ha avuto un incidente. Ora è in ospedale".

Smisi di esistere. In quell'istante nulla aveva più importanza. Niente aveva la stessa forma, poiché il mio cervello era andato in frantumi. Si era sgretolato tra le mie mani, quasi come fosse un vaso di ceramica ridotto in piccoli cocci dispersi sul terreno duro e freddo. Presi le mie cose, arruffando nervosamente tutto ciò che aveva l'apparenza di appartenermi. In preda alla più pura agitazione, non mi preoccupai minimamente di avvisare Alessandro.

Imboccai il corridoio, salutando con un cenno Alicia che mi fissava inebetita, quasi come se avesse visto una psicopatica in fuga. Percepivo un fuoco bruciare dentro e la mia mente scalpitava feroce, conducendo i pensieri in angoli bui e remoti. Dovevo sapere che cosa fosse successo, ne avevo un disperato e urgente bisogno.

Mi precipitai a cercare una fermata dell'autobus e provai a chiamare Elsa con le lacrime agli occhi. Attraversai la strada, colma di persone sorridenti, immerse nelle loro vite. Qualcuna problematica, qualcun'altra perfetta. Desideravo essere qualcun altro in quel momento, che fosse diverso da me stessa: una ragazza sull'orlo di una crisi di nervi. La madre del mio migliore amico non rispose. Chiamai allora la mia. Neppure lei diede segni di vita.

Disperata, ebbi la brillante idea di chiamare Alessia. In qualsiasi altra circostanza non avrei mai osato premere la cornetta verde e ascoltare la sua squillante voce. Era ora di mettere da parte la gelosia. Per lui avrei fatto qualsiasi cosa. Indugiai per qualche secondo sul suo nome e poi lo feci. Contavo gli squilli con un'agitazione tale da dimenticarmi di respirare.

«Pronto...Ginevra...» Stava piangendo sommessamente.

«Alessia... Oddio che cazzo succede. Manuel come sta?» Le gridai senza rendermene conto. Ero furiosa. Non solo con me stessa, ma soprattutto perché al suo fianco c'era lei. Lei era con lui e non io.

«Ginevra, è tutta colpa mia, stavo guidando di ritorno dalla Toscana e un camion ci è venuto addosso. Non l'ho proprio visto. Io non mi sono fatta nulla, ha preso in pieno la parte di Manuel. Sono una stupida», singhiozzava assorbita totalmente dall'ansia.

Il mio braccio si chinò, privo di forze. Sentii la voce di Alessia in lontananza urlare il mio nome a perdifiato, ma non replicai. Ripiegai il mio corpo su sé stesso, come se fosse un foglio di carta. L'unica immagine che avevo di fronte era quella di Manuel, agonizzante in un ospedale, mentre io ero felice in un hotel di lusso. Il mio Manuel. Oddio. Avrei dovuto essere io in sua compagnia, sostenerlo sempre. Ora che ne sarebbe stato di lui?


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