Capitolo 12

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Una promessa. Che aspetto ha una promessa?

Prendo la tavolozza ancora bianca. Non avevo neanche pensato a comprarla, ma per fortuna mia madre si è accorta che mancava tra i miei acquisti.

Uso il blu. Decido che una promessa ha l'aspetto del mio colore preferito.

Aggiungo un po' di bianco. Voglio ricreare l'atmosfera del pomeriggio che tende a sera. Quel blu velato che mi piace tanto, e che mi rende sempre malinconica e vulnerabile. Le promesse ci rendono vulnerabili.

Intingo il pennello più grande che ho e rivesto la tela del meraviglioso risultato che ho ottenuto.
Devo lasciarlo asciugare, perciò nel frattempo mi avvio verso l'armadio. Metterò pantaloncini e canotta, fa un caldo pazzesco. Apro le ante e qualcosa mi precipita addosso.

Il profumo che emana mi invade e mi riempie gli occhi di lacrime. È una delle felpe di Scott. E questo è l'odore più buono che io abbia mai sentito.

Mi siedo a terra a gambe incrociate e affondo di nuovo il naso nella sua stoffa verde bottiglia.
Come farò a vivere senza questo profumo?

Il cuore mi batte più forte. Va a ritmo delle mie emozioni.
Sollievo, due battiti.
Nostalgia, tre battiti.
Dolore, quattro, cinque, sei, sette.
Ho il cuore a pezzi. Talmente tanto che infilandomi la felpa e facendola aderire alla mia pelle, il male che provo diventa tangibile.

Sospiro profondamente mentre le mie lacrime bagnano la stoffa calda. Dovrei restituirgliela. Non mi fa bene averla nel mio armadio, perché sarei tentata dal dormirci ogni singola sera. E non posso. Mi darebbe tanto sollievo quanto dolore.

Ne varrebbe la pena, ma non posso. Devo restituirgliela.

Me la sfilo, sperando di scacciare anche la negatività che mi è piombata addosso, e cerco i vestiti che indosserò per uscire stasera: pantaloncini di jeans e canotta azzurro caraibico.
Dopo averli infilati, mi sistemo i capelli.
Osservo la minuscola cipolla che sono riuscita a fare nella parte più alta della mia testa, lasciando i capelli sottostanti sciolti.
Decido di passare la piastra. Amo i capelli così corti perfettamente lisci.

Dopo essermi sciacquata il viso, metto anche un po' di mascara, fard e gloss. Look naturale.
Nessuno capirà che per qualche secondo un semplice indumento mi ha fatta crollare.

Recupero la felpa di Scott dal mio letto e la appendo dietro la porta. Almeno mi ricorderò di restituirgliela.

Ora che sono pronta, posso tornare al mio dipinto. Passo l'indice sulla pittura, ormai perfettamente asciutta.

Promessa, mi ricorda la mia testa. Qualcosa che ricordi una promessa.

Disegno i primi dettagli di una mano. Inizio dal palmo e salgo su, abbozzando un pollice. Intingo di nuovo il pennello nel nero e continuo a darmi da fare, procedendo lentamente.

Quando ho finito, mi viene da sorridere.
Non riesco a non vivermi a pieno il sollievo che si espande nel mio petto.

So che il ricordo di quel giorno sarà sempre lì, in un cassetto della mia memoria; ma l'arte mi ha aiutata ad alleggerirne il peso e non potrei essere più grata della sua esistenza.

«Harper?» Mia madre bussa alla porta. «Posso entrare?»
Indirizzo la tela verso la finestra. Non voglio che la veda. «Sì, mamma. Vieni pure.»

Il suo viso mi scruta curioso. «Che stavi facendo?»
«Niente», affermo, cercando di far trasparire tranquillità. Ma le mie mani che si sfregano tra di loro mi tradiscono. E la tavolozza. E i pennelli. Maledetti.

Si guarda intorno, e il suo sguardo si riempie di speranza. Non so perché. Sembra illuminarsi alla sola vista delle mie dita sporche di blu, nero e bianco.

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