Capitolo 4

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Harper's POV

«Si riprenderà tra un attimo», sento una voce lontana dire. «Puoi stare tranquillo, Scott.»
È di mia madre.
«Non è mai svenuta con me. Credo che in qualche modo sia stata colpa mia», risponde lui.

Sento una pezza bagnata sulla fronte, e devo ammettere che è una fonte di sollievo. Mi da un briciolo di tregua dal caldo asfissiante di New Orleans.

«No, non è così. Puoi starne certo.»
«Stavamo affrontando un argomento delicato... molto.»
«Scott.» Il letto ondeggia, mia madre deve essersi seduta accanto a lui. «Ha attacchi di panico da sempre, lo sai. È svenuta tantissime volte. Non devi preoccuparti.»

C'è qualche secondo di silenzio, ma io so che la mente di Scott sta facendo chiasso. Poi lo sento sospirare. «È mai andata da una psicologa?»
«Sì, ma non proferiva parola.» Mamma fa una lunga pausa. Deve essersi immersa nei ricordi come me. Ricordo benissimo le sedute.
«Ho continuato a mandarcela per un mese intero, ma non c'era niente da fare. Non voleva essere aiutata in nessun modo. Neanche con i farmaci.»
La sua voce è così distante da essere molto simile a un'eco.

«Ne ha avuto un altro», le spiega Scott. «Di recente.»
«Non me lo ha detto», dichiara lei. «Tu c'eri? Come è andata?»
«Ero nel suo stesso posto, ma non ho assistito al momento.»
Un'altra lunga pausa. A quanto pare hanno bisogno di pensare bene, prima di dire qualsiasi cosa.

«Siete una bellissima coppia, non smetterò mai di dirvelo. Siete... inseparabili. Nonostante tutto quello che avete passato, siete ancora qua. Insomma... mia figlia ha un tatuaggio su di te!»
Scott scoppia a ridere, e io non riesco a trattenere un sorriso.

«Già», dice infine lui. La sua voce ora mi arriva nitida. Ho riacquistato totalmente il controllo del mondo.

Sento i tacchi di mia madre allontanarsi, e mi sforzo di aprire gli occhi.

La schiena muscolosa di Scott è perfettamente fasciata da una maglietta nera. Allungo la mano e con le dita arrivo a sfiorargli il braccio.
Prima si volta solo con la testa, uccidendomi in un attimo, e poi con il resto del corpo.
«Ehi.» Ha un'espressione preoccupata. Un secondo dopo, anche triste. Le due emozioni si mescolano, così tanto che non mi è più possibile distinguerle.

Sposto il panno dalla fronte e mi sollevo con il busto. «Sto bene.» D'istinto mi avvicino e lo abbraccio, permettendo al suo profumo di penetrare nelle mie narici, e di fottermi testa, corpo e cuore.

Non voglio altro al momento, e lui lo sa bene. Mi stringe a sé, e sembra non abbia alcuna intenzione di lasciarmi. Percepisco le sue mani sulla mia pelle, e penso all'ultima volta che abbiamo avuto un momento d'intimità simile.
Mi sembra una vita fa, eppure tutto è cominciato da quella maledetta festa. La festa di Perry. È lì che la linea del nostro rapporto, già messa altre volte a dura prova, si è inclinata.

Dopo quella c'è stata la nostra litigata in camera, e poi... niente. O meglio, nient'altro a parte sofferenza, dolore e mancanza.

Lo stringo più forte, ma non mi basta. E lui deve averlo capito, perché infila una mano dietro una mia coscia e mi fa mettere a cavalcioni su di lui. Questo è l'abbraccio di cui abbiamo bisogno adesso.

Il calore del suo corpo mi riempie l'anima. Non voglio altro per il resto della vita.

«Mi dispiace.» È la sua voce a irrompere nel silenzio.
Mi stacco il necessario per poterlo guardare negli occhi. Non sposto di un centimetro il mio corpo. Siamo vicini. Pericolosamente vicini.
«No, non devi. Non è colpa tua.» Dai suoi occhi capisco che a lui è questo che non basta. «Devi smetterla di colpevolizzarti in questo modo. Nella tua vita ti sei preso la responsabilità di cose che non ti riguardano, come l'incidente di tua sorella. È il momento di farla finita.»
Non riesco a distogliere lo sguardo dal suo, che è talmente magnetico che sembra implorarmi di continuare a sostenerlo. E io lo faccio.

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