Capitolo 26

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«Harper, sei tu?», chiede una voce mentre dei passi risuonano sulle scale.
Mi volto verso Scott, più allarmata che mai. «Zip!», sussurro, girandomi di nuovo per permettergli di tirarmela su.

«Ehm, sì! Sono... siamo noi.» Mi sistemo il vestito sulle gambe, che Scott aveva iniziato a tirare su, e mi avvio in corridoio. Non avevo neanche pensato di dirgli che era più sensato togliermelo da sotto.
«Mi era sembrato di sentire qualcosa», aggiunge mia madre.

«Stavi dormendo?», le domando quando la vedo, indicando il suo pigiama. Cerco di obbligare il mio respiro a smettere di essere così irregolare.
«Sì, ma non preoccupatevi.»
Grandioso. Ha il sonno più pesante di un ippopotamo e decide di svegliarsi proprio stasera.

«Ciao Scott.»
«Salve, Margaret.»
Mi volto e vedo che ci ha raggiunte.
«Direi che siamo arrivati già da tempo al punto in cui non mi dai più del lei», lo rimprovera sorridendo. Si dirige in soggiorno e afferra il telecomando della tv. Le vado dietro. «Che sbadata. La lascio sempre accesa.»
Do un'occhiata a Scott e cerco di trattenere una risata. Ha i capelli arruffati per colpa delle mie mani. È adorabile.

«Che c'è?», mima con le labbra.
Scuoto la testa e mi impongo di smettere di ridere.
«Cavolo, questo programma mi piace davvero», riprende a parlare mia madre.
Oh no. Ti prego, va di sopra.

«Eppure...» Alza un dito in aria. «Ho sonno, e tornerò a dormire.»
Tiro un sospiro di sollievo quando spegne definitamente la tv. Si avvia verso le scale e ci guarda un'ultima volta. «Che avete? Siete così... silenziosi. Devo preoccuparmi?»

Deglutisco. Forse un po' troppo forte. «No, tranquilla. Abbiamo litigato e volevamo chiarire.»
A Scott sfugge una risata, che riesce a camuffare con un colpo di tosse.

«Oh, allora ho interrotto qualcosa! Vado di sopra. Cercate di non scannarvi!», esclama mentre sale i gradini. «L'ultima volta mi avete fatto preoccupare!»
«D'accordo!», le rispondo, rimanendo immobile fin quando non sento la porta della sua stanza chiudersi.

«Abbiamo litigato, eh?» Scott si avvicina a me con un ghigno. «E per cosa?»
Ricambio il suo sguardo magnetico e poggio le mani sul suo petto, costringendolo ad appoggiare il sedere sullo schienale del divano. Inizio a sbottonare la sua camicia, ma mi fermo quando sento le sue mani stringermi più forte, facendomi aderire perfettamente al suo corpo. Per un momento tremo dall'eccitazione. Sento ogni centimetro di lui.

Tossisco lievemente. «Mi stai sulle palle. Ecco perché.»
«Ah, va bene.» Mi lascia andare, guardando altrove. Ho già nostalgia dei suoi occhi blu e della sicurezza che mi infondono. Quelle iridi che mi hanno salvato dai miei attacchi di panico così tante volte che ho perso il conto.

Mi acciglio. «Ecco, adesso mi hai fatto incazzare sul serio», protesto. «Non si fa così.»
Faccio per andarmene di sopra, ma mi sento afferrare da dietro. Un solo gesto e il suono della sua risata mi guidano. Il mio sedere aderisce al suo bacino. I miei battiti impazziscono, e sembrano fermarsi davvero quando mi scansa i capelli per fiondarsi sul mio collo.

Mi godo l'adrenalina del momento. Mi godo il suo respiro, il mio, le sue mani su di me. Mi godo la sua essenza in tutto e per tutto.
«Scott», lo chiamo affannata, mentre la mia mano nei suoi capelli lo spinge a continuare ad usare la lingua.
«Mh?»
Basta qualche secondo a non farmi capire più niente. Non mi ero mai sentita così annebbiata, così sopraffatta da lui come stasera.

È per questo che non so dire se la distanza ci faccia male o bene. Da una parte, in momenti come questi, lui diventa una dipendenza per me, e le sensazioni che provo quando ci riuniamo mi fanno sentire dannatamente bene; ma dall'altra, ho sofferto così tanto in sua assenza che alcune sere il dolore sembrava appiccicarmisi addosso come sudore, e non solo. Sembrava vivere dentro di me, e crescere man mano che i giorni passavano. Ho temuto così tante volte che divenisse parte di me che ho perso il conto delle notti in cui ho vomitato. Forse, inconsciamente, stavo cercando di tirare tutto fuori: il male, i ricordi... sia belli che brutti.
Ci sono stati momenti in cui volevo davvero svuotarmi, attimi in cui avrei voluto depositare tutto da qualche parte, e riprenderlo solo nel momento in cui saremmo tornati insieme. Anche se in realtà ero convinta che non sarebbe mai successo. Ed è per questo che faceva così male.
Avrei voluto abbandonare tutto. Tutto quello che avevo costruito e tutti i progressi fatti. Mi sentivo, e mi sento, il nulla senza di lui.
Ma forse... forse in fondo ero io ad attaccarmi a quel dolore come un'ancora, perché per una volta nella vita era stato causato da qualcosa di reale.

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