Cap 23

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L'idea di Maca da sola, in quella roulotte che sapeva di entrambe, poco distante da un'altra roulotte dove qualcuno c'era rimasto secco e il sangue si era seccato nel legno e non si poteva più levare. Avrebbero detto che c'era un fantasma in quella roulotte verde, quello della madre disperata che cercava la figlia e nessuno avrebbe più avuto il coraggio di entrarci, dopo la polizia.

L'averla lasciata da sola ad affrontare il casino che io avevo causato.

Abbandonata.

Senza uno straccio di spiegazione.

Sparita dalla circolazione, svanita in una notte, come una stronza qualsiasi.

Ed era quel pensiero che mi teneva sveglia, mi faceva perdere le ore, confondere il giorno con la notte e quando non succedeva, quelle rare volte che riuscivo a dormire, me la sognavo. Era un chiodo fisso.

In quei momenti, e solo in quei momenti, avrei voluto non averla mai conosciuta, in altri il suo ricordo era l'unica cosa che mi teneva in vita, mi dava uno scopo, un gioco della tortura, ma giocare alla tortura non era divertente se la vittima urlava Ancora, ancora.


Non credevo che quel posto avesse qualcosa da offrirmi, esattamente come il paesaggio circostante, l'hotel era tutto uguale. Quando uscivo dalla stanza, sentivo freddo, era come se qualcosa di gelido mi si avvinghiasse addosso.

La sua mancanza.

Mi annoiavo, così passeggiavo per il corridoio, sbirciavo nelle stanze vuote con la porta socchiusa, immaginavo quale sfigato l'avrebbe occupata da lì a poco, se sarebbe stato da solo o sarebbe stata una coppia, magari una famiglia che capitava di lì per caso.

Quando iniziai ad aver fame, lasciai Alicia in stanza a dormire e scesi giù, al piano terra l'odore di caffè ti faceva strada fino al bar e se avevi abbastanza soldi potevi beccarti una colazione niente male, era l'unica cosa decente che c'era ed infatti per il caffè c'era una fila che iniziava dalla porta, non sapevo neanche da dove fosse sbucata tutta quella gente, prima non c'era.

«Zulema?»

Un boato, il rombo di un terremoto, qualcuno si voltò verso l'epicentro di quella voce, per un attimo sconosciuta, che ne chiamava un'altra dalla parte opposta della stanza.

«Cazzo, Zulema, sei proprio tu!»

Il volto di Goya mi si parò davanti, si fece spazio fra la gente a suon di spintoni, camminava con passo deciso, le mani in tasca.

Il tempo cambia le persone, ma non aveva cambiato lei, era rimasta uguale a come la ricordavo, aveva perso peso, i capelli le ricadevano in ciocche inerti lungo le spalle, era tutta rossa in viso.

«Che cosa ci fai qui?» Mi chiese.

«Potrei dire lo stesso di te»

«Io qui ci lavoro, e ci vivo»

«Nell'hotel?»

«Si. Mi ci ha portato tua sorella quando ci siamo separate, ha detto che mi pagava la stanza per un po', poi ho conosciuto la proprietaria e devo averle fatto simpatia perchè mi ha offerto un lavoro. Mi ha detto che grande e grossa come ero, potevo farle da guardiano dell'hotel e quindi sono rimasta qua»

«Pur sempre meglio del buco»

«Molto meglio.. E tu invece? Cosa ci fai nel bel mezzo del deserto?»

Lasciai che mi guidasse fuori, mi scordai completamente il perchè ero in fila e qualcuno mi rubò il posto.

«Sono con Alicia, non sta tanto bene..» Le spiegai «Ha una crisi di passaggio, col mondo, è complicato»

«Alicia è qui? E Maca c'è pure?»

Al sentir il suo nome scattai come se avessi preso la scossa, lei lo notò, le dissi che no, lei non c'era, c'eravamo solo io e mia sorella, ma era temporanea come cosa, una separazione temporanea.

Sorrise come se fosse una cosa divertente. Mi raccontò che anche lei aveva avuto una separazione temporanea, la tizia con cui stava prima di essere sbattuta dentro, le aveva detto che non l'avrebbe mai dimenticata, l'avrebbe aspettata fuori, ma mentre Goya marciva chiusa, la tizia s'era rifatta una vita, aveva conosciuto un uomo e di aspettarla fuori non se ne parlava proprio.

«Mi dispiace per te, ma Maca non è così»

Rise di gusto, mi afferrò per un braccio, scrollandolo «Ce l'ha la figa?»

«Che?»

«La figa ce l'ha, no?»

«Si, ce l'ha, ma non c'entra un cazzo»

«C'entra sempre, certe donne non ti aspettano, non sprecano la vita ad aspettare chi non torna, se la godono finchè possono, si scordano pure. E la tua bionda mi è sempre sembrata una di quelle»

Una di quelle. Maca non era una di quelle. Maca non somigliava a niente che avessi già conosciuto. Lei era diversa, diversa in tutto. Lei era poesia dannata, incompresa e bellissima così.

Le dissi si, va bene, hai ragione tu, qualsiasi cosa pur di cambiare argomento che quella parlava, parlava e non ne sapeva niente. Mi dava fastidio che parlasse di lei senza sapere.

«Mi sono fidanzata» Disse poi «Se vuoi te la presento un giorno, si chiama Triana, l'ho conosciuta qui»

Sperai che quel giorno non arrivasse mai che di vedere una coppietta felice non ne avevo proprio voglia.

«Si, magari un giorno. Senti ce l'hai il telefono? Dovrei fare una chiamata e il mio è morto»

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