Cap 25 - Macarena's POV

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Dalla centrale di polizia tornammo in due, ci dissero che presto sarebbero venuti dei signori in giacca e cravatta e con le valigette, gli assistenti sociali, per valutare la situazione di Vivi, usavano dei nomi in codice per non farla spaventare ma quella non era di certo scema, lo capiva lo stesso, urlava che non ne aveva bisogno, che non li voleva e che se proprio doveva stare con qualcuno, voleva stare con me.

Le presi le mani, gliele strinsi forte, le baciavo i capelli e l'abbracciavo mentre tornavamo a casa, nello stesso posto in cui sua madre era morta ma lei si era rifiuta di andarsene perché lì sua madre c'era anche cresciuta e non voleva andare in nessun altro posto se non quello, che era l'unico, ironia della sorte, che sapeva di casa e potevo solo accontentarla per non vederla piangere, ancora.

Le dicevo che non l'avrebbero portata via, che tanto ormai era grande, non la volevano in istituto, che era difficile trovare una famiglia per chi era già cresciuto.

Forse sarebbe toccato a me, prendermi cura di lei e per un momento mentre glielo dicevo per rassicurarla ci credetti anche io e una fitta allo stomaco mi piegò in due, che non avrei saputo che fare con una bambina capitata per caso. Una bambina insieme ad un'altra che non era mai cresciuta ed una che era cresciuta troppo presto.

Ero riuscita a stento a prendermi cura di me stessa, non avrei saputo come fare a stare dietro a qualcuno che avrebbe avuto bisogno che io facessi sempre la cosa giusta, che le dessi sempre il buon esempio, una persona stabile che l'aiutasse a crescere.

A casa sua non ci entrava più, neanche per prendere le sue cose, la roulotte verde ora era solo l'eco delle persone che ci avevano vissuto, mangiava, dormiva e si lavava da me.

Dormivo insieme a lei per non farla sentire sola e lei faceva lo stesso. A volte faticava a prendere sonno, chiamava sua madre, scalciava, si aggrappava alla mia schiena, farneticava.

«Ho bisogno di una pistola»

La sua voce soffocata mi raggiunse mentre le accarezzavo i capelli per farla addormentare.

«Non ti serve una pistola»

«Se mio padre torna.. Mi serve»

Come dirle che se conoscevo Zulema, sapevo già che suo padre non sarebbe tornato mai più, non doveva più averne paura e non sapevo se era un bene o un male, non sapevo più la differenza.

A volte la pensavo, mi chiedevo dove fosse, se per caso anche lei pensasse a me, al casino che aveva lasciato qui, alla bambina che mi dormiva accanto che aveva i suoi stessi capelli e gli occhi neri. A volte di notte allungavo la mano pensando di trovarla ma lei non c'era più, allora ci ritrovavamo nei sogni e nei miei sogni lei era ricoperta di sangue ed era bianca come un lenzuolo, mi sorrideva, il suo solito sorriso che era l'ennesima presa per il culo, forse avrebbe dovuto farmi paura, ma non era così, neanche in quel modo mi faceva paura, per fino in quel modo continuavo ad amarla.

Attaccate con una calamita al piccolo frigo poco distante dal letto c'erano due foto.

Una era più stropicciata dell'altra ed ingiallita dal tempo, c'era Zulema con i capelli corti e in quella foto aveva la mia età, i suoi occhi magnetici fissavano l'obbiettivo come se volessero lacerarti l'anima, era l'unica cosa che mi era rimasta del carcere ed era l'unica che non avrei mai voluto dimenticare.

Accanto, c'era un'altra foto, più recente, scattata in un giorno qualsiasi qualche tempo prima, in quella c'ero anche io.

C'ero io, con i capelli biondi e lunghi, che guardavo dritto davanti a me e c'era lei, che mi abbracciava da dietro con un accenno di sorriso. Era l'unica foto che avevo in cui Zulema sorrideva, un evento raro.

Nella foto lei non guardava più l'obbiettivo perché guardava me, come se non le importasse più di niente altro e a vedere quelle due foto vicino non sembravano neanche la stessa persona, nemmeno Vivi che aveva guardato quelle foto più e più volte sapeva dire se le due persone con i capelli neri si somigliassero.

«Perchè mi hai lasciato?» Sfiorai con l'indice la figura nera e niente mi sembrò così lontano come l'attimo imprigionato in quel flash, in cui lei mi sorrideva e tutto il resto era scomparso.

Sai di musica lontana, di un caffè non preso, di un film che non conosco, un tramonto che ancora non ho visto, una ferita che non ho curato. Mi sei dentro, così dentro che mi sento stretta anche io, ma non importa, ti faccio posto per starci in due.

Fissai la bambina con i capelli neri che ora occupava il lato sinistro del letto e che presto avrebbe occupato anche tutto il mio tempo, un lavoro a tempo pieno.

Le dovrò spiegare tante cose, le dovrò spiegare che quella che guarda l'obbiettivo e poi smette di guardarlo sono la stessa persona.

Le dovrò spiegare chi era Zulema Zahir.

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