Capitolo 52

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«Ancora nessuna notizia da Liam?» chiede Cole, richiudendosi la porta d'ingresso alle spalle. 

Abbiamo passato l'intera mattina a riportare nell'appartamento tutte le scatole che avevamo già caricato in auto e a rimettere ogni cosa al suo posto originario.

 «Ancora niente» rispondo accasciandomi sul divano.

 «Ancora non ho capito perché non sei andato a scuola oggi... avresti potuto tenere sott'occhio Clarissa almeno» ribatte. 

«Diamo per scontato che il padre di Liam vinca la causa... ma se invece non fosse così? Non posso rientrare nella vita di Clarissa di nuovo, dopo averle detto addio. Finché non ci sarà la certezza della partenza di Liam, sarà meglio per Clarissa credere che me ne sia già andato». Cole mi guarda con una strana espressione in volto. 

«Accidenti... chi sei tu?» chiede Condor dalla cucina. Mi volto a guardarlo confuso.

«Mi aspettavo di ritrovare l'appartamento raso al suolo al mio ritorno dalla pista, sabato notte, dopo la corsa con Clarissa... invece ti ho trovato intento a preparare i bagagli» mi spiega con un sorriso furbo. 

«E con questo?» gli chiedo allora. 

«E con questo... voglio solo dire che sei cresciuto. Proprio come volevi». Alza la birra che tiene in mano e accenna un brindisi nella mia direzione. 

«O forse mi sono solo arreso» borbotto sottovoce.

____

È ormai tardo pomeriggio quando finalmente il telefono squilla. Lo afferro al volo e rispondo immediatamente: «Liam... finalmente» 

«Sto finendo di preparare i bagagli» dice semplicemente. La sua voce è rassegnata, ed inquietantemente impassibile. 

«Mi dispiace. Ho sperato davvero fino all'ultimo che ti sbagliassi» ammetto. 

«Ho bisogno che tu venga a casa mia. Mark mi ha detto che Clarissa – fortunatamente – è ancora a scuola in detenzione per aver sbattuto la testa di qualcuno sul banco...» ridacchia piano, ma una risata carica di tristezza, «Gli ho chiesto di andare a prenderla appena finita la punizione e di spiegarle ogni cosa... ma ho paura che si precipiterà qui. Mio padre sta arrivando. E non devono incontrarsi per nessun motivo. Voglio che tu sia qui, quando Clarissa arriverà. Dovrai farla ragionare e tenerla al sicuro come mi hai promesso. Ti prego, Ethan. Me lo devi» mi ricorda. 

«Sono già in auto» lo rassicuro, mettendo in moto.

_____

Quando arrivo a casa di Liam, sta scendendo i gradini del portico con due borsoni in mano e una faccia da funerale. Dietro di lui, i suoi zii lo seguono in silenzio, stretti in un abbraccio. Spengo l'auto e li raggiungo. Liam lascia cadere i bagagli a terra, mette le mani nelle tasche della giacca e guarda in fondo al viale con aria tesa: non so se tema di più l'arrivo di Clarissa o di suo padre. Non posso biasimarlo. 

«Che tu ci creda o no, mi spiace davvero» gli dico. 

«Ti credo» risponde, mentre la sua espressione si fa più tesa quando un'enorme SUV nero dai finestrini oscurati, molto simile a quello noleggiato da Condor quando siamo arrivati in città, entra nel quartiere. Liam mi si avvicina e mi porge una busta: «Qui dentro ci sono i documenti di Clarissa... passaporto e tutto il resto. Ho spiegato a sua madre tutta la situazione oggi pomeriggio. Le ho detto che li avresti tenuti tu al sicuro in modo che Clarissa non passa fare qualche colpo di testa». Afferro la busta e la metto nella tasca interna della giacca. Decisamente una buona idea. 

Il SUV si ferma sul vialetto con uno stridore di pneumatici. L'uomo alla guida e quello accanto scendono. Dalla stazza e dagli abiti neri capisco subito che sono le due guardie del corpo del padre. Dopo pochi istanti, dai sedili posteriori scende un uomo alto quanto Liam, vestito in un elegante abito grigio. Con i capelli neri e la barba ben curata, ha un'aria impeccabile. Gli occhi scuri scintillano di perfido divertimento quando si posano sul figlio. Devo dire che Liam non gli assomiglia per nulla. 

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