Chi è stato? (Parte 1)

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Sofia lasciò andare un sospiro, voltando il capo e sistemando meglio i capelli sul cuscino bollente.

Sbatté le palpebre un paio di volte posando gli occhi, ormai abituati al buio, sulla sagoma di Daphne che dormiva nel letto accanto al suo.

Il movimento regolare del corpo che respirava riuscì ad infonderle un po' di pace e, quando prese un altro respiro, le sembrò un po' più facile.

Era una cosa che faceva con Euleia, quella. La guardava dormire, ne ascoltava il respiro fino a che i battiti accelerati del suo cuore non si regolarizzavano lentamente. Ma, a quel punto, erano giorni che non vedeva Euleia. Riusciva ad intravederla solo durante qualche pasto. Serviva ai tavoli con il volto nascosto dietro ai capelli castani e le spalle curve di quando erano arrivate al Campo per la prima volta.

Si portò un braccio sulla fronte, prese un altro respiro e storse la bocca per la difficoltà nel farlo.

Le sembrava di aver dormito solo qualche minuto. Ci aveva provato per davvero, a rilassarsi dopo la storia di Eirene e del suo amore per la libertà. Ci aveva provato per davvero a cullarsi col respiro leggero di Daphne e col movimento ritmico e calmo del suo corpo vivo ma, quando aveva chiuso gli occhi, troppo stremata persino per i battiti accelerati del cuore ed il vorticare rapido dei suoi pensieri, aveva sognato di essere sott'acqua. Aveva provato ad uscire ma un manto di alghe scure le impediva di salire in superficie e respirare. Aveva sbarrato gli occhi, piombando nel buio con un'orribile sensazione di apnea, portandosi una mano al petto e godendosi l'aria che le entrava nel corpo.

A quel punto, aveva rinunciato a prendere ancora sonno e si era limitata a lasciare che gli occhi si abituassero al buio, ascoltando il respirare leggero delle sue compagne e dimenticandosi, solo grazie a quello, persino del caldo tremendo che le incollava il chitone al corpo.

Quella di Eirene sarebbe stata anche la sua storia?

Eirene aveva un obbiettivo enorme per cui combattere. Aveva la libertà ed il suo povero bambino. Lei che cosa aveva? Egoisticamente, grazie al governo di Percy, lei stava bene. Le sue amiche stavano finalmente bene. Nessuno avrebbe più potuto fargli del male o, quantomeno se l'avessero fatto, sarebbero stati puniti. Finché la sua vita sarebbe stata legata a quella di Percy, lei sarebbe stata bene e, alla realizzazione, corrugò la fronte, prendendo un ennesimo, doloroso  respiro.

Era tutto sbagliato. La sua vita non poteva dipendere così tanto da quella di qualcun altro. Non ancora, perlomeno.

Fino a che gli spartani non avevano invaso Atene, la sua vita era stata legata con un filo doppio a quella di suo padre. Era lui che decideva per lei, lui che decideva della sua identità e dei passi che avrebbe mosso solo e soltanto all'interno dei confini di Atene.

E, una volta arrivata al Campo, la sua vita si era legata al volere di Pono e Percy e, a quel punto, solo a quello di Percy.

Non le dispiaceva, però, che la sua vita fosse legata a quella di Percy. Era una condizione diversa da quella in cui versava quando era ad Atene. Ad Atene, seppur muovesse silenziosamente i fili della sua città, era comunque in balia delle decisioni di suo padre. Era convinta di poter prendere decisioni ma il fatto che, in quasi diciotto anni, il posto più lontano in cui si fosse mai spinta era stata la spiaggia, diceva molto più di quanto non le sarebbe piaciuto ammettere.

Era Pericle che decideva per lei. Era Pericle che aveva deciso che lei, no, non dovesse affatto esistere se non all'interno delle mura della loro casa, protette dall'autorità che l'essere il signore di Atene gli conferiva.

Era Pericle che decideva con chi avrebbe dovuto parlare, con chi avrebbe dovuto giocare, dove avrebbe potuto correre.

Lei decideva il destino di Atene. Pericle decideva il suo.

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