Crollo (Parte 1)

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Quando Sofia si svegliò, si portò un braccio sul viso, tentando di regolarizzare il respiro.

Aveva sognato le arai o meglio, non aveva sognato loro ma il dolore che le avevano provocato. Si toccò il petto con la mano libera, con quella che non era impegnata a coprirle gli occhi, sospirando per il cuore che le batteva all'impazzata.

Era quel dolore che aveva sognato, quello Kyros che, tra tutti i dolori che le avevano inferto quei mostri, era stato il peggiore.

Possibile che non si fosse mai accorta di nulla? Che non si fosse mai accorta, in tutti quegli anni,dell'amore così diverso dal proprio che il ragazzo nutriva nei suoi confronti? Lei c'era cresciuta assieme.

Era convinta di conoscere Kyros. Si vantava di conoscerne i pensieri persino prima che potesse formularli ma la verità era che aveva passato una vita con qualcuno senza conoscere neanche la metà di lui.

Kyros.

Sorrise mentre il suo volto, con i capelli che si confondevano con la sabbia e gli occhi furbi, le apparivano nella mente e poi prese un respiro. Lei non gli aveva mai chiesto di proteggerla e quell'enorme, enorme idiota, l'aveva fatto comunque.

Quando una lacrima le corse lungo lo zigomo, finendole nell'orecchio, la asciugò velocemente,abbandonando il braccio lungo al corpo e voltando il capo.

Daphne era addormentata accanto a lei nel letto, raggomitolata su sé stessa. Aveva preso la maggior parte del materasso, relegando Sofia ad una porzione ridicola sulla quale sdraiarsi ma quando la guardò, col viso libero dalla maschera di dolore e terrore del giorno prima, sorrise, scostandole una ciocca di capelli scuri via dalla fronte.

Era stata Daphne a chiederle di dormire nello stesso letto e Sofia non aveva fatto domande, si era limitata ad aprire le braccia e accoglierla contro di sé. Daphne aveva pianto silenziosamente fino a che non si era addormentata, stremata e Sofia aveva tenuto gli occhi sbarrati mentre la abbracciava, con il petto che si riempiva di una furia sempre più cieca.

Se non fosse stato per Percy, la sera prima, non aveva idea di cosa avrebbero fatto a Daphne od alle altre ragazze. Od a lei.

Strinse i pugni al pensiero,sollevandosi di scatto a sedere quando un ginocchio le premette sulla schiena, schiacciandola al pavimento mentre due mani le allargavano il sedere ed altre tentavano di separarle le caviglie che teneva strenuamente incrociate.

Sentì il disgusto risalirle lungo la gola e si alzò di scatto dal letto, portandosi le mani sulla nuca mentre camminava nella cella troppo piccola, tra i due letti.Respirò, tentando di ignorare il cuore che le batteva nelle orecchie e le mani che le lasciavano segni invisibili sul corpo.

Si portò una mano al petto, puntandogli occhi sulle sbarre della sua cella. Non aveva idea di che momento fosse della giornata. Sapeva soltanto che lo stretto corridoio che la separava dal mondo esterno, fosse fiocamente illuminato dalla luce che entrava dalla porta principale.

Era in una cella ma era a Roma, lontana da quelle persone che avevano tentato di farle del male.

Chissà quante altre ce ne saranno qui, disse un'arai nella sua testa.

Sofia strinse i pugni con forza,portandosi una mano al petto mentre la stanza incominciava a girare attorno a lei, ed il cuore prendeva a batterle all'impazzata nelle orecchie. Ansimò, strinse ancora di più i pugni nella speranza di sentire quel dolore, di smetterla di concentrarsi sulla voce delle arai che ancora le tuonava nella testa o delle mani che, ruvide, le graffiavano dolorosamente il corpo senza che lei riuscisse a scacciarle via.

- Annabeth – sibilò una voce e quando si voltò di scatto verso le sbarre, il cuore saltò un battito prima di regolarizzarsi con inaspettata facilità.

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