Di mare e di spada

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ACROPOLI DI ATENE 430 a.c – secondo anno della guerra del Peloponneso


Sofia camminò tra le vie dell'acropoli con un velo a coprirle il volto, lasciando visibili solo gli occhi grigi.

A quel punto erano passati quasi diciotto anni da che lei e la sua famiglia erano riusciti a tenerla nascosta agli occhi del mondo, ma aggirarsi tra i malati senza mostrare alcun segno dell'epidemia non avrebbe fatto altro che confermare quelle stesse origini che tentava di nascondere.

Seguendo un figlio di Apollo che reggeva in un sacco qualche medicina e panni bagnati che somministrava passo passo a chiunque vedesse troppo debole nella speranza di fargli aprire un po' di più gli occhi, si fermò davanti ad una donna ed alla sua bambina. I volti scarni e pallidi e gli occhi rossi, venati di dolore l'avrebbero fatta sussultare se, a quel punto, non fosse stata così abituata a vedere gli effetti della malattia nei volti della sua gente.

In quel punto dell'Acropoli, Sofia si era abituata a sentire il suono del mare ed il suo profumo.Nonostante l'incredibile altezza rispetto al terreno e persino la distanza dalla costa, lei riusciva ad ascoltarlo perfettamente.Assieme a Paralo, fin da quando erano poco più che bambini, uscivano la notte e, avvolti dal silenzio della città addormentata e dalla luce della luna, passavano ore ad ascoltare le onde e ad osservare il modo in cui i raggi della luna baluginavano sul mare. Era più di un anno che non potevano più prendersi quelle libertà. Più di un anno che l'Acropoli di Atene sapeva di sangue e sudore e gli unici suoni che sentiva erano i lamenti e le lacrime della sua gente che moriva ogni giorno. Ignorò la rabbia che le bruciava il petto, conficcandosi con forza le unghie nei palmi.  Chinò poi lo sguardo sulle persone riverse a terra, in completa balia dell'epidemia.

Malamente sdraiata a terra, con la schiena poggiata contro al muro, una donna accarezzava il volto di una bambina -probabilmente la figlia-, poggiatale sul ventre. Quando tossì, la mamma tremò più del suo corpicino.

Sofia si inginocchiò davanti a lei.Sorrise anche se, col leggero velo che portava fin sopra al naso, la donna non sarebbe riuscita a vederla ma si augurò comunque che riuscisse a cogliere la scintilla di gentilezza nello sguardo grigio.

Tolse dalla bisaccia delle pomate create dai figli di Apollo, degli unguenti fatti di erbe e benedizioni.

- Posso aiutarvi? – domandò Sofia e, anche quando la donna non le rispose, le aprì il chitone all'altezza del seno, attenta a non scoprirglielo. Le spalmò delicatamente la pomata sullo sterno ed esitò verso la bambina, osservando a lungo la donna morente prima di poter fare la stessa cosa con la piccola. Alla vista degli occhi chiusi e del corpo tremante per il dolore, Sofia si sentì morire. Sentì il cuore distruggersi in brandelli minuscoli e, quando si rialzò, strinse le dita in due pugni furiosi, dirigendosi verso la sua casa ai piedi del Partenone.

Superato il porticato ed entrando del cortile, si liberò con rabbia del velo che le proteggeva il volto, ignorando la serva che, accanto alla porta, le porse dell'acqua.

Raggiunse velocemente la Sala principale, in tempi migliori adibita all'accoglienza degli ospiti, e in quel momento di guerra contro Sparta, focolare delle strategie di guerra sue e di suo padre. Spalancò le porte in una spinta, lasciando che poi si potessero richiudere dietro di lei in un pesante tonfo, attirando l'attenzione dei due soldati e della sua famiglia sulla sua figura.

- Qualcuno è riuscito ad invocare il dio Apollo? – domandò, avvicinandosi al tavolo di legno dove, raccolti intorno, c'erano suo padre ed i suoi due fratelli. – I suoi figli sono in prima linea per aiutare Atene ma lui continua a non fare niente per debellare l'epidemia! – tuonò, sbattendo poi le mani contro la superficie del tavolo. – Siamo sempre stati promotori di arte, cultura ma la gente ad Atene muore ogni giorno! Noi stiamo finendo le provviste e le persone sono sempre più arrabbiate.

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