Practa Quincia (Parte 2)

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Percy si agitò dentro la tua toga viola, tentando inutilmente di sistemarsela sul petto un attimo prima che Giasone potesse arrivare in suo aiuto, aggiustandogli i lembi con un sorriso canzonatorio sul volto.

- Non una parola – borbottò verso    il suo amico che sollevò i palmi davanti al petto senza smettere di    sorridere. – Voi romani siete così pomposi, per gli dei! Non mi    abituerò mai a tutto questo tessuto – si lamentò, scrollando le    spalle sotto il tessuto purpureo della toga.

Regina gli batté una mano sulla    spalla, aggiustandosi poi la spada appesa al fianco. – Sono    tradizioni, Percy. Cerca di non lamentarti troppo – poi ridacchiò,    – se non vuoi che il tuo culo secco di grecus finisca al    pavimento.

Percy e Giasone scoppiarono a ridere.    – Ma senti, il gran pretore di Roma, come parla quando non c'è    nessuno attorno! – la canzonò il figlio di Poseidone, passandosi    poi una mano tra i capelli scuri.

- Queste riunioni sono solo una    formalità. Durerà pochissimo e potrai tornare dal tuo frutto    proibito – disse Giasone. Percy odiava la sua capacità di    mantenere un tono perfettamente neutro anche quando stava prendendo    qualcuno in giro e scosse la testa quando il volto di Annabeth fu la    prima cosa che gli apparve in mente. Ne rivide gli occhi grigi    lucidi e luminosi mentre si guardavano attorno, increduli di essere    a Roma, enormi mentre cercavano di imprimersi ogni più piccolo    dettaglio nella memoria.

Le era sembrata così piccola,    innocente. Era come se si fosse improvvisamente ricordato che    nonostante tutte le privazioni ed i traumi subiti, lei era comunque    una ragazza di neanche diciotto anni e -grazie agli dei- come tale,    non aveva ancora perso l'abilità di stupirsi.

Gli aveva parlato spesso di Roma. Di    quanto le sarebbe piaciuto visitarla e studiarne l'architettura e    guardando il volto stupito e in più completa balia della bellezza    che aveva attorno, si era detto ne fosse proprio valsa la pena    inimicarsi qualcuno al Campo pur di avere quel risultato.

Ma Giasone, ovviamente non si stava    riferendo ad Annabeth.

- Flavia è sposata con Lucio Quinzio,    per gli dei – imprecò Regina, voltandosi a guardarlo con    severità. – Stasera, al banchetto, ci sarà anche lui. Cerca di    non distruggere la pace tra Roma e Sparta solo per stare con una    puttana.

Percy sollevò le sopracciglia,    facendo un verso di scherno. – Ci sono stato solo una volta e    comunque, meglio una puttana come lei che una obbligata ad esserlo.

Giasone si voltò verso loro due. –    Non ha poi tutti i torti. Andiamo, forza o rischiamo di arrivare a    riunione iniziata.

Regina lo seguì e Percy sbuffò    mentre si accodava a loro due. – E non vogliamo dare a quella    megera la possibilità di parlare troppo, giusto?

I due ragazzi davanti a lui risero    silenziosamente mentre camminavano verso la Curia, raggiungendola in    pochi secondi.

C'erano già diversi senatori che    avevano preso posto lungo le sedute, avvolti nelle loro toghe    bianche e con delle ridicole corone d'alloro in testa. Non capiva    perché i romani avessero la necessità di rendere tutto più    pomposo del necessario. Le assemblee al Campo consistevano nei capi    delle Case con i capi dei Campo che discutevano fino a che qualcuno    non iniziava a picchiarsi.

Sorrise al pensiero, prendendo posto    accanto a Giasone nella seconda fila delle sedute.

La Curia non era cambiata dalla prima    volta che c'era stato un anno prima. Aveva gli stessi pavimenti e i    soffitti dipinti, con quattro file di sedute che si fronteggiavano    e, a capeggiarle, c'erano le sedute dei pretori e dell'imperatore    alla fine della stanza, nel lato opposto alla porta.

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