Chi è stato? (Parte 2)

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Ad Atene, il primo giorno di Ecatombeone era una delle feste più attese dell'anno e il fatto che Sofia se ne fosse dimenticata mentre era a Sparta, la diceva lunga su quanto, il Campo Mezzosangue, l'avesse effettivamente assorbita.

Il primo giorno di Ecatombeone, segnalato dalla prima luna nuova, era l'inizio dell'estate e la festa in onore del dio Apollo; ad Atene era uno degli dei più venerati per cui, almeno fino a che suo padre era stato al governo, i preparativi per la festa iniziavano da almeno un mese prima.

L'Ecatombeone era un mese di festa grandioso, ma il giorno che Sofia preferiva, era sempre stato il dodicesimo e non solo perché, per una notte, schiavi e padroni mangiavano assieme in memoria dei tempi più prosperi del titano Crono.

Sorrise.

Il dodicesimo giorno dell'Ecatombeone era anche il suo compleanno e suo padre e Aspasia andavano oltre ogni limite pur di regalarle, ogni anno, i festeggiamenti più belli di tutto il Peloponneso.

La sua casa veniva addobbata a festa, riempita delle musiche e del cibo più buono e tutti -proprio tutti- lei, i suoi fratelli, Kyros, Aspasia e suo padre e gli schiavi, danzavano e mangiavano assieme a ritmo degli aulii dei satiri.

Non c'erano mai ospiti alle sue feste e, perché Sofia non aveva amici al di fuori di Kyros e Paralo, non le era mai sembrato un problema. Persino i satiriche venivano a suonare erano gli stessi da che avesse memoria e, seppur rivedere quei volti ogni anno le facesse immensamente piacere, fu solo mentre scavava nella terra del Campo Mezzosangue che realizzò quella fosse un'altra mossa del padre per evitare che qualcuno potesse vederla.

Era assurdo quanto essere Annabeth la schiava la rendesse più libera di essere Sofia l'Ateniese.

I ricordi dei suoi compleanni, passati tra balli e cibo, le fecero corrugare la fronte mentre un sapore sgradevolmente amaro le riempiva la bocca.

Scosse il capo, serrando gli occhi prima di riuscire ad aprirli con un sorriso. Due anni prima, prima che Atene cadesse nell'epidemia, la notte del suo compleanno, era sgattaiolata via dalla sua casa addormentata assieme a Kyros e Paralo, fuggendo verso l'Agorà della città per poter vedere i festeggiamenti. E, ancora fino a quel momento, non aveva mai visto un spettacolo di luci e musica più bello di quello. I figli di Efesto e i figli di Apollo di Atene lanciavano palle di luce e fuoco nel cielo notturno, illuminandolo a giorno mentre la musica incalzante degli aulii dei satiri e la voce degli aedi che intonavano storie di festa, accompagnavano quelle magie.

Sofia, seppur col velo dell'invisibilità calato sulla testa, tenendo stretto il chitone di Paralo tra le dita per evitare di perderlo tra la folla, aveva sentito un calore raro nel petto mentre il sorriso le stendeva le labbra, scoprendole i denti.

Atene non era mai stata così bella e così viva e lei aveva avuto il privilegio divedere tale meraviglia una sola volta nella sua vita.

Si asciugò il sudore della fronte, raddrizzando la schiena e posandosi alla pala che aveva usato per scavare fino a qualche istante prima.

Il Campo Mezzosangue era animato attorno a lei, gli schiavi lavoravano ai campi, aiutati da alcuni spartani. Altri guerrieri si allenavano con l'arco a distanza e altri invece, combattevano con i gladi d'allenamento. I figli di Afrodite cavalcavano i cieli con i pegasi assieme ai figli di Apollo, che insegnavano agli spartani a combattere in volo. Le pareti delle scalate si sbattevano ritmicamente tra loro mentre satiri velocissimi guidavano degli spartani lungo le loro insenature.

E quando Sofia sentì quell'assurdo e familiare calore al petto, la pala le scivolò via dalle dita prima che potesse accorgersene, cadendo miseramente a terra. La guardò, ferma ai suoi piedi nudi, sporca di terra e lasciò andare un respiro prima di chinarsi per poterla riprendere.

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