AMERICA
Il giorno dopo mi ritrovai distesa sul letto, da sola.
Qualche minuto dopo erano entrati dalla porta della stanza Harry e Daemon con la colazione, dicendomi che saremmo partiti.
Andai in bagno a sistemarmi e una ventina di minuti dopo eravamo in viaggio verso il Quebec.
Durante il viaggio pensai alla sera prima, a come Harry mi aveva abbracciata, alle parole dolci che mi aveva sussurrato e instintivamente sorrisi, sapendo che nessuno dei due mi avrebbe vista.
Harry era stato dolce con me, ma comunque non mi spiegavo quest'attrazione per Daemon. Ogni volta che era nei paraggi ero come una f alena attirata dalla sua fiamma e quando lui mi si avvicinava come era successo nei giorni precedenti, l'aria mi mancava.
Questo prima che ti rifiutasse come ha fatto, replicò la mia coscienza e questa volta non potei che darle ragione.
Mi chiesi quando mio padre avrebbe pagato la cauzione, in modo da rendermi libera.
E nonostante morissi dalla voglia di fare quella domanda ai due, rimasi in silenzio, fissando fuori dal finestrino.
La sera avevamo varcato i confini del Quebec, e tutto cominciava a cambiare. I segnali stradali in francese, tutto.
-Dove siamo diretti, esattamente?- parlai per la prima volta durante il tragitto, mentre svoltavamo nella seconda uscita di una rotonda.
-Montréal.- rispose freddamente Daemon, mentre svoltava dietro ad un negozio.
Sussultai. Eravamo troppo distanti da casa mia, e se avessi voluto scappare, dove sarei andata? Ero spacciata.
Presi a mordicchiarmi le unghie mentre il terrore di arrivare nello stesso posto in cui stava Jason mi divorava. Mi avrebbero tenuto in un'altra cella? Cosa mi avrebbero fatto? Cosa mi aspettava, una volta arrivati a destinazione?
Mentre guardavo i lampioni scorrere fuori dal finestrino, mi chiesi se, in caso mi volessero mettere in un'altra stanza buia e sporca, se Harry l'avrebbe permesso. Su Daemon non avevo dubbi che mi avrebbe sbattuta così, da un momento all'altro. Ma Harry? Sembrava fossimo amici, o che per lo meno lo stessimo diventando. Cominciava a tenere a me come io a lui?
Erano le undici quando mi addormentai, dimenticando il mondo esterno, e dimenticando temporaneamente lo schifo che stavo affrontando in quel momento.DAEMON
Inspirai. Mancava poco all'arrivo, e come sempre la vicinanza con McCann mi innervosiva. Fin da piccolo avevo sempre voluto il controllo su tutto, comandare. E più crescevo più questa voglia, questo bisogno di comandare aumentò sempre di più.
Inutile negare che in quel momento, ero ostacolato da Jason.
Non sopportavo che mi venisse detto che cosa fare, chi uccidere. Volevo fare le cose da me. Ero un diciannovenne, in grado di badare a sè stesso. Lo ero da quando avevo dieci anni. Un bimbo non avrebbe dovuto venire strappato come lo ero stato io dai suoi genitori. La rabbia girava nelle mie vene, e aumentava di intensità sempre di più.
Quando compii sedici anni, promisi a me stesso che avrei trovato colui che aveva ammazzato i miei genitori, anche se non avevo la minima idea di chi fosse. Avrei indagato e l'avrei ammazzato.
Quando ci fermammo ad un semaforo, guardai distrattamente nello specchietto retrovisore.
Un lampione lampeggiava debole, come se si stesse scaricando pian piano. Era quello che stava succedendo alla mia anima. Fievole come una candela che si stava per spegnere. Io ero quella fiamma. In attesa della folata di aria che mi spegnesse definitivamente.
Poi i miei occhi scesero e trovarono il viso rilassato e addormentato di America. Non aveva niente del cipiglio che aveva mantenuto per tutto il viaggio, non aveva nessun lineamento tirato come capitava spesso quand'era sveglia. La paura che le avevo visto negli occhi il giorno prima dissolta. Non potei non ammettere a me stesso che fosse carina, con quelle labbra socchiuse che avevo baciato sempre il giorno prima e che stranamente mi venne l'impulso di baciare, di nuovo.
Quando la luce verde del semaforo mi segnalò che potevo andare, distolsi lo sguardo da lei e mi concentrai nella strada, con scarsi risultati.
Da quando avevo posato gli occhi sulle sue labbra socchiuse, ricordi del nostro bacio del giorno precedente mi tornarono in mente, nonostante cercassi di scacciarli.
Vaffanculo.
Decisi di dedicarmi totalmente alla strada, che ricordai perfettamente, perché l'avevo percorsa tre anni prima.
Appena realizzai di essere sotto l'edificio che avevo visto la prima volta, quando a sedici anni mi recai qui, un brivido mi percorse.
Era stato strano tornare nel posto in cui ero cresciuto. Rivedere i familiari cartelli stradali in francese, la gente. Montréal era la mia casa, anche se mi ero stabilito da tutt'altra parte.
Montréal faceva parte della mia infanzia, prima che venisse sconvolta del tutto dall'assassinio dei miei genitori.
Mi abbandonai contro il sedile, appoggiando le braccia lungo i fianchi. -Svegliala.- dissi, indicando con più nonchalance di quanto provassi America, che dormiva ancora beatamente.
-Justin, sei sicuro che...- cominciò Harry, ma lo interruppi subito con un gesto della mano.
-Sto bene, Styles. E non chiamarmi così quando siamo con lei, addormentata o meno.- e detto quello, con il tono più brusco che riuscii a trovare, aprii la portiera, uscendo di gran carriera.
Di sicuro Styles non si meritava i miei scatti d'ira, ma non me ne era mai importato. Non si era mai lamentato, almeno, e finché non lo faceva, eravamo a posto.
Che poi, se non gli stava bene come ero io e come mi atteggiavo, poteva anche andarsene a fanculo.
Uscii nell'aria fredda della notte e guardai il viale alberato familiare. Tutto era rimasto com'era. Il giardino, il palazzo che agli occhi degli altri doveva sembrare un semplice condominio. In realtà apparteneva solamente a Jason. Tutto quanto.
Era un riccone di merda, ovviamente, e se fosse stato per lui, tutta Montréal gli sarebbe appartenuta, e nulla negava che un giorno sarebbe successo.
L'idea mi faceva incazzare, oltre che accapponare la pelle. Non solo lo odiavo, ma mi irritava l'idea che fosse qualcun'altro ad avere il controllo su di me.
Un po' come stava facendo America, inconsapevolmente. Un po' come aveva già fatto Beth, prima di lei.
Quando mi resi conto che i due erano ancora là dentro, aprii la portiera di America di scatto, facendola sussultare.
-Ci muoviamo?- dissi, acido.
-Daemon- mi rimproverò Styles -Se tu sei incazzato per i fatti tuoi, non serve che...- ma non seppi cosa non serviva, perché chiusi la portiera prima che potesse finire la frase.
Stava davvero ripetendosi tutto? Era solo questo? O era altro?
Poco tempo dopo entrambi emersero dalla macchina e notai che America indossava una felpa, non una delle mie, ma una di Harry, e non seppi se infastidirmi o gioire.
Diedi poca importanza a questo e con il telecomandino della mia chiave la chiusi, vedendo i familiari lampeggi che mi comunicarono che l'auto era chiusa a dovere.
Accanto alla porta vidi Cole, seduto con un cappuccio alzato e una cicca tra le dita. Sembrava strafatto, e quando gli fui abbastanza vicino alzò lo sguardo su di me, poi su Harry, e infine su America.
Fece un sorriso che, se mi fossi trovato nei panni di una ragazza, mi avrebbe fatto accapponare la pelle, tanto era disgustoso.
-Non ci provare- lo prevenni -E' roba di Jason, e sai cosa ti farebbe se solo la toccassi- in parte era vero, in parte mi infastidiva che Cole mettesse le sue sudice mani su di lei, o su di una ragazza in generale.
Tutto si poteva dire di me, ma non che non avessi abbastanza rispetto per le donne. Erano sempre loro a venire da me, loro volevano scopare, e io davo ad ognuna ciò che voleva. Non ne ho mai molestata nessuna, nè uccisa.
Gli insegnamenti di mia madre tuonarono nella mia testa: Nessuna donna è inferiore a te, bamibino mio, trattale con rispetto.
E nonostante fossi consapevole che lei, dal mio comportamento, ne sarebbe rimasta delusa, su quello non avevo mai trasgredito.
Puntai il mio sguardo sulla ragazza in questione, e vidi che aveva appena sgranato gli occhi, poi tornai a guardare il mio amico, con gli occhi iniettati di sangue puntati su di me.
Boccheggiò per qualche secondo, ma forse troppo fatto per proferire parola, appoggiò la testa al muro, facendomi capire che voleva rimanere da solo.
Forse un tiro, per fargli compagnia, avrei potuto farlo...
Suonai il campanello, sul pulsante accando alla scritta Collins, il nome in codice di Jason, e aspettai che rispondesse.
Tornai indietro di tre anni quando, tutto trafelato e bagnato, con i capelli incollati alla fronte e alla nuca, mi ero diretto qui, non sapendo dove andare, scappando, e mi aveva aperto proprio lui, un uomo dall'aria benestante, un perfetto mafioso.
-Tu sei il figlio di Bieber?- aveva detto, e io avevo annuito interdetto e stranito. Come poteva, lui, sapere di chi ero figlio? E perché conosceva mio padre?
Solo dopo scoprii che anche Jeremy Bieber faceva parte di una gang, e anche lui conduceva la mia stessa vita, e solo allora mi resi conto che la morte dei miei aveva un senso, e che avevo passato i primi dieci fottuti anni della mia vita a scappare con loro, senza nemmeno sapere da chi.
Una voce metallica mi fece tornare nella vita reale. -Chi è?-
-Daemon
E la porta d'ingresso, con un click, si aprì.
Io in testa, Harry e America dietro, salimmo le scale, arrivando al secondo piano dove c'era l'appartamento di Jason.
La palazzina era abbastanza grande perché ognuno avesse il suo proprio appartamento, e nei sotterranei, le celle; una delle quali sarebbe destinata ad America.
La porta era socchiusa, e vi entrai senza bussare, sentendo l'odore dell'erba entrarmi nelle narici, familiare.
McCann comparve dalla cucina: -Ehi, finalmente! Pensavo vi foste persi. Eppure ho pensato: "Con Daemon che conosce questi posti meglio di chiunque altro? Impossibile!"- okay, era fatto, o ubriaco, non sapevo definirlo.
-Oh, America, ciao tesoro. Come è stato il viaggio?
La ragazza, forse presa dallo shock, non rispose, anzi indietreggiò finché non si ritrovò abbastanza vicina a Styles. Ancora non seppi se la cosa mi infastisse o se mi fosse indifferente.
Decisi di mettere fine a questo scambio di saluti alquanto imbarazzante. -La porto di sotto? Posso avere le chiavi?- chiesi abbastanza impazientemente, mentre guardavo in quegli occhi vacui.
Jason sembrò ridestarsi e riacquistare la sua aria da Boss mafioso, e mi lanciò una chiave.
-Tieni, questa chiave apre tutte le porte della palazzina, comprese quelle dei sotterranei. Mi fido di te, ragazzo.- mi fece l'occhiolino prima di rientrare in cucina, lasciandoci là come dei cretini.
Mi girai verso i due, guardando America, riflettendo su cosa fare.
Se fossi stato io a capo di tutto ciò, sarei stato molto più organizzato, questo era certo.
-Con Cole che gira, non mi fido a metterla da sola nei sotterranei. La porterò con me, nel mio appartamento.- conclusi, senza l'approvazione di nessuno.
Non solo non mi fidavo di Cole, ma di tutti gli altri. Non tutti avevano la filosofia in parte moralista come me. Non mi fidavo di nessuno, a parte di Harry, anche se avevo paura che lasciandola con lui, sarebbe scappata di nuovo. Con me, non sarebbe successo.
Harry parve deluso per una frazione di secondo, ma poi guardò America che non sembrò particolarmente felice di passare una notte con me, ma non me ne importava un cazzo.
Liquidai le sue proteste, agguantandola per un polso e conducendola fuori. Salutai Harry con un cenno, e la portai di sopra, due piani dopo quello di Jason.
AMERICA
Cos'era, uno scherzo? Dio ce l'aveva con me? Perché non potevo andarmene con Harry? Perché?
Mentre il demone (che ironia) mi trasportava al piano di sopra mi girai per vedere un riccio che ci guardava sconcertato e non appena i nostri sguardi si incontrarono, scrollò le spalle.
Ho le mani legate, sembrava volesse dire.
Io gli lanciai un'occhiata del tipo "Io-ti-uccido-mentre-dormi", scherzava, vero?
Sperai che in questo appartamento ci fossero almeno due stanze, in modo da non essere costretta a dormire con lui. O un divano, mi andava benissimo pure un divano.
Ci fermammo davanti ad una porta e Daemon tirò fuori la chiave che gli aveva lanciato Jason poco prima, e la aprì.
L'appartamento era piuttosto anonimo. L'ingresso si affacciava al salotto, una tv sulla destra, una libreria mezza vuota accanto ad una porta che conduceva ad un corridoio davanti a noi. Sulla sinistra la porta che dava alla cucina.
Daemon chiuse la porta alle mie spalle e, senza nemmeno guardarmi, si avviò nel corridoio di fronte a noi.
Sapevo che aveva chiuso la porta a chiave, ma non provai comunque a scappare, perché c'erano altre decine, se non centinaia, di assassini pazzi che avrebbero potuto prendermi.
Ripensai al ragazzo dell'ingresso e rabbrividii.
-Allora?- sentii la voce attutita di Daemon dall'altra parte, in un'altra stanza.
Scossi la testa, ridestandomi. -Cosa?- chiesi, confusa.
-Dove vuoi dormire?- ripetè infastidito.
-Dappertutto ma non con te- mormorai, sapendo che non mi avrebbe sentito.
-Come?- la visione che mi si presentò davanti mi immobilizzò sul posto e mi ricordai del giorno prima, quando mi aveva inchiodata nel bancone della cucina del rifugio e mi aveva baciata. Se mi concentravo potevo ancora sentire la pressione delle sue labbra sulla pelle sensibile del mio collo.
Stava a petto nudo, un paio di pantaloni grigi della tuta che gli ricadevano in maniera sexy sui fianchi.
Alzò le sopracciglia, incitandomi a parlare, e a braccia incrociate sul petto si appoggiò allo stipite della porta che dava in corridoio.
-Niente.- risposi, forse troppo in fretta, consapevole del rossore che si era formato sulle mie guance.
Si inumidì le labbra e sospirò in maniera teatrale: -America, so che mi odi, quindi che differenza fa se mi dici in faccia quello che dici?- avanzò verso di me, socchiudendo gli occhi. In quel momento mi ricordò un modello abercrombie, sicuro di sè, padrone del suo corpo.
Arretrai involontariamente verso la porta. Perché ovunque andassi finivo sempre contro un muro?!
-Ho borbottato qualcosa tra me, non ha importanza. Okay?- dissi esasperata. Non ero sempre costretta a dirgli tutto, dannazione.
Fece spallucce e si voltò, con l'intenzione di tornare da dov'era venuto. Prima di sparire nel corridoio, però, si girò di nuovo verso di me. -Non hai risposto alla mia domanda, comunque. Dove vuoi dormire?- mi guardò in attesa, con un'espressione divertita.
Sbuffai. -Divano o letto, basta che tu non sia con me.- ammisi, cercando di immettere una certa quantità di acido nella mia risposta.
Si mortò le mani al cuore, fingendosi ferito. -Questo mi ferisce, milady.- poi decise di starsene in salotto e con un cenno mi indicò la camera da letto. -Vai tu in camera, così posso intercettarti se provi a scappare.- fece un sorriso furbo e al contempo malvagio.
-Ci sono sempre le finestre buttai lì, prima di andare in bagno e farmi una doccia lunga e rilassarmi, senza aspettare una risposta.
Dopo essermi fatta il bagno ed essermi asciugata e vestita, uscii dal bagno diretta nella camera da letto semplice, con un misero letto matrimoniale con lenzuola bianche, un armadio e una finestra.
Lanciai da qualche parte la mia borsa e mi buttai di peso sul letto, guardando il soffitto.
Avevo vissuto più avventure in questa settimana, che in diciotto anni di vita, e l'unica cosa che volevo in quel momento era un letto familiare, dei visi familiari. Ora avevo paura che qualcuno potesse entrare e violentarmi. Non era possibile vivere così, e non era la vita che da bambina avevo sempre sognato.
I miei diciotto anni dovevano essere fantastici, tutti da godere, e invece ecco come me li stavo godendo bene. Odiavo tutti. Odiavo anche Harry perché era l'unico per il quale provassi un minimo di fiducia ed eccolo lì, a lasciarmi nelle grinfie di Daemon che avrebbe potuto farmi qualunque cosa.
Mi raggomitolai sul letto, sentendomi piccola e indifesa come avevo sempre odiato. Proprio io dicevo di odiare essere dipendente da qualcuno o da qualcosa, ed eccomi lì, senza fare niente per scappare, completamente abbandonata a dei tipi che avevano la mi vita in pugno.
Ma forse non hai voce in capitolo in tutto questo, sussurrò una parte remota del mio cervello. No, evidentemente era proprio così. Dovevo solo starmene lì a guardare, come una spettatrice che assisteva a una partita, solo che in quel caso era in ballo la mia , la mia vita.
Giurai a me stessa che avrei odiato mio padre fino alla morte.
Cominciai a piangere come accadeva ogni fottutissima sera, di nascosto, oppure no. Forse qualcuno mi sentiva piangere, ma semplicemente non gliene importava niente. Come avrebbe potuto?
La porta si aprì durante la mia puntuale crisi serale, rivelando Daemon. Perché era entrato?
Comunque, feci finta di dormire.
-Lo so che non stai dormendo.- disse questi, e sentii il peso del materasso abbassarsi.
Mi asciugai le guance cercando di cancellare ogni traccia del mio pianto. -Cosa vuoi?- dissi, e la mia voce mi tradì. Ovviamente.
-A prendere la mia coperta- disse, aprendo l'armadio ed estraendone una coperta che a prima vista sembrava di lana. -E il cuscino.- disse, prendendo quello accanto al mio.
Sparì dalla mia stanza senza dire un H e mi ritrovai di nuovo da sola, immersa tra le mie stesse lacrime.
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Daemon | j.b |
FanfictionPuò l'odio tramutarsi in amore? Un assassino può amare? Perché, si sa, l'amore vince su tutto. O no? [Justin Bieber]