A different christmas eve

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N.B. E' IMPORTANTISSIMO CHE LEGGIATE LO SPAZIO AUTRICE. GRAZIE ♥♥


JUSTIN'S POV

Drin, drin, drin.

Il cellulare squillava ripetutamente nella mia tasca, e non mi serviva controllare lo schermo per sapere il mittente.
Il telefono cessò di vibrare, e quando ricominciò, con rabbia lo estrassi e lo buttai lontano da me, in mezzo alla strada. Accompagnai il gesto con un grugnito primitivo, ma non mi bastava a sfogarmi.
Due secondi dopo, una macchina passò sopra quel dannato affare, rompendolo. Il mio cellulare giaceva in mille pezzi sull'asfalto freddo.
Un moto di soddisfazione mi pervase e ricominciai a camminare verso l'indefinito. L'umidità mi bagnava i capelli, coperti dal cappuccio, il freddo puntiglioso mi gelava le guance e il naso, e la luce del sole era coperta dalla nebbia.
Una parte del mio cervello mi diceva di tornare indietro, che America aveva bisogno di me, che avrebbe avuto bisogno di tempo e avrebbe capito che comportandosi da bambina viziata non avrebbe risolto nulla.
L'altra parte, invece, diceva che non avrei dovuto perdere tempo con persone che non mi avrebbero ascoltato comunque. Che, al massimo, sarei potuto rimanere in giro per tutto il giorno ritrovando la mia calma.

Tanto c'è Jack con lei, pensai. Era al sicuro, almeno finché non fossi tornato.
 
Calciai un sasso, mentre ripensavo a come mi guardava mentre discutevamo. Altezzosa, stronza, ma comunque bellissima.
E pensare che, fino alla sera prima, abbiamo fatto l'amore ancora e ancora, dimostrandoci l'un l'altra reciproco rispetto, sentimento, emozione, amore.
Si, l'amavo. E no, in quegli ultimi giorni non mi sarei dovuto comportare come invece avevo fatto, ma odio quando, in una brutta situazione, qualcuno che mi è caro, rischi per colpa mia.
E per questo, quando poco prima lei mi aveva sfottuto, mi aveva fatto sentire un coglione denigrandomi, prendendomi in giro, che avevo perso la testa.
Volevo solo proteggerla, e lei si comportava in quel modo? Non si trattava di sottometterla, si trattava solamente di non farle fare la stessa fine che aveva fatto Beth.

Il primo muro che vidi, lo usai per sbatterci contro i miei pugni, che presto si ricoprirono di sangue ed escoriazioni.
Era così difficile capirmi? Era così brutto provare a starmi a sentire?
Potevo accettare i suoi difetti, potevo accettare il fatto che non fosse abituata a riceve re ordini da qualcuno, ma qui non si trattava di fare le faccende di casa, qui si trattava di sopravvivere.
Era questo che lei non aveva ancora capito.
Appoggiai la schiena al muro di cemento freddo, cercando di scacciare dalla testa tutti questi pensieri e di calmarmi.
Era stato solo un brutto episodio, avrebbe capito e sarebbe cambiata sotto quest'aspetto, mi ripetei. Aveva bisogno di me come io di lei.

Pensai a tutte le volte in cui i miei genitori litigavano, anche se erano sbiadite nella mia mente, e a come poi risolvevano.
Avrei potuto fare lo stesso.
MI staccai e feci per tornare indietro, ma un rumore sospetto mi distrasse. MI voltai di scatto, e un'ombra nera comparve da un vicoletto sulla destra.
L'ombra sparì dentro di esso, e tastandomi le tasche posteriori dei jeans, sentii la pistola.

Bene, ero pronto all'inseguimento.

AMERICA'S POV


Era successo tutto così in fretta, non avevo nemmeno sentito che la casa era calata nel silenzio più totale.
Non mi ero nemmeno accorta che Jake mi aveva raggiunta e mi stava chiamando ripetutamente.
Riuscivo solo a ripercorrere gli ultimi attimi prima che Justin se ne andasse di casa.
"America? America mi senti?"

Guardai il biondo davanti a me, sulla porta della camera, spaventata dal suo tono di voce.
"Cosa diamine è successo?"
Scossi la testa e deglutii. Avevo la gola impastata e il cuore mi batteva all'impazzata. Cosa era successo?
"Si è arrabbiato, perché gli ho detto che non voglio sottostare alle sue regole."
Jake sospirò, e dopo diversi secondi, mi guardò; come si guarda un bambino che ha appena fatto qualche marachella. Ed era quello che mi sentivo, una bambina.
Sempre stando in silenzio, si infilò le mani nelle tasche anteriori dei jeans e si sedette sul letto, vicino a me.
"Mare..."
"Ho sbagliato a reagire, lo so. L'ho capito dal momento in cui è uscito da questa camera. Ma io non sono abituata, io... ho paura di diventare qualcuno che non sono."

Jake ascoltò attentamente le mie parole, fissando un punto indefinito sul pavimento, prima di rispondere: "Io lo conosco da tanti anni, Mare. L'ho conosciuto quando era ancora un bimbo, e l'ho visto cadere, soffrire in silenzio, rialzarsi, amare... e poi perdere l'amore della sua vita. Se ti ha 'ordinato' di stare in casa e di non uscire, non l'ha detto per farti un dispetto, o per sovrastarti, lo ha detto perché ha avuto esperienza. Perché ha paura di perderti. America, lui si incolpa ancora per la morte di Elizabeth. Se dovesse capitarti qualcosa, si incolperebbe anche di quello, e potrebbe fare cose impensabili."

Dopo aver sentito queste parole, mi sentii la peggiore persona sul mondo intero. Ero stata così egoista, che non lo avevo ascoltato e avevo solo pensato a me stessa. Non avevo pensato che lui ci tenesse davvero così tanto, perché tutto ciò l'aveva già vissuto. Lui sapeva già cosa voleva dire "perdita", e io non ci avevo pensato.
E adesso, era scappato di casa. Lui era in pericolo quanto me, se non peggio.
Una terribile consapevolezza mi fece drizzare la schiena.
"Jake. Dobbiamo andare a cercarlo, potrebbe essere ovunque, e con il rischio che corriamo..."
Il ragazzo annuì. "Si, ma vado io a cercarlo. Tu resti qui."
Scossi la testa. "E' il mio ragazzo, è scappato per colpa mia. Vengo con te."

"No, potrebbe capitarti qualcosa."
Sbuffai. "Anche a te! Ti prego, Jake. Non riuscirei a stare qui chiusa in casa senza far niente. Non esiste."
A quel punto, desistette. Mi infilai velocemente la prima giacca che trovai sparsa per la stanza -che, guardacaso, era proprio un giubotto in jeans di Justin che mi stava leggermente grande-, e uscimmo in strada alla sua ricerca.
Non poteva essersi allontanato troppo. La zona in cui abitavamo noi, era un piccolo quartiere residenziale le cui strade e parchi non erano mai popolati.

Ci mettemmo a correre tra l'umidità e il freddo, la paura e l'angoscia. Urlai il suo nome a squarciagola, ma non riuscivo a scorgere nessuna figura.
Jake stava diversi metri davanti a me e perlustrava ogni angolo, ogni vicolo.
Quando, però, arrivammo alla volta di un piccolo canale di scolo, notai che sul muro vi erano delle piccole tracce di sangue.
"Jake."
Il biondo si voltò verso di me e mi raggiunse. Gli indicai le macchie rosse e lui le tastò con le dita. I suoi polpastrelli rimasero leggermente tinti di rosso.

"E' sangue fresco" disse, esaminando ancora il muro di cemento.
Io mi guardai intorno, in cerca di movimento. Se quello era il sangue di Justin, sarebbe potuto essere nei dintorni. Bastava continuare con le ricerche.
Guardai oltre le spalle ampie di Jake, all'interno del vicoletto e mi gelai sul posto.

Una figura nera stava in piedi e immobile nascosta dall'oscurità della stradina. Era rivolta verso di noi, indossava degli indumenti neri e il suo volto era coperto.

Jake non si era ancora accorto di nulla, preso com'era ad esaminare il sangue.
"Jake?" chiamai, la voce tremante.
Lui si voltò di scatto, preoccupato forse dal tono della mia voce. "Cosa c'è? Hai visto qualcosa?"
Lentamente, alzai il braccio indicando la figura incappucciata che ci stava guardando.
Quando si voltò e vide quello che stavo vedendo anche io, scattò immediatamente e si mise davanti a me per proteggermi, la mano infilata dietro la schiena per affermare che la pistola ci fosse davvero.
"Stai ferma. Qualsiasi cosa succeda, non muoverti finché non lo dico io. E' chiaro?" mi sussurrò da sopra la spalla e io annuii, poi mi resi conto che non poteva vedermi, quindi sussurrai un flebile "si".

Mi sporsi oltre il suo braccio per vedere, e l'uomo si stava avvicinando sempre di più. Jake indietreggiò, facendo indietreggiare anche me, e la paura si imposessò ancora di più di me, gelandomi il sangue.
No, decisamente non era il freddo che preannunciava il Natale, e no, sicuramente quello non sarebbe stato un Natale come tutti gli altri.

L'incappucciato di avvicinò sempre di più, e di conseguenza il mio cuore aumentò i suoi battiti. Davanti a me, Jake era un pezzo di marmo. Adesso, aveva il palmo e le dita della mano strette attorno al calcio della pistola.

"Bene, bene, bene" disse la figura, svelando la sua voce potente e roca.
Strinsi la giacca del ragazzo davanti a me, pronta a tutto quello che sarebbe potuto succedere.
"America, Jake" adesso l'uomo uscì alla luce, rivelando il suo viso. Era un vecchio, i capelli striati di grigio e la guancia destra segnata da una grande cicatrice. Metteva i brividi solo a guardarlo.
"Vi stavo aspettando."











CIAOOOOO DI NUOVO A DISTANZA DI DAVVERO POCO TEMPO!!!
Come state? Tutto bene? Siete felici che la primavera sia arrivata? Io si, anche perché per fortuna non ho allergie, mentre molte persone che conosco si... :( I'm so sorry for them
Anywayyy, capitolo corto quest'oggi. Eh si, ma è tutto architettato.
Infatti, questo capitolo è di questa lunghezza perché deve preannunciare l'ultimo capitolo di questa storia...... che sarà il prossimo!
Eh si, questo è il penultimo capitolo, il prossimo sarà l'ultimo e poi ci sarà un piccolo epilogo.
Ma non disperate, la storia tra Mare e Justin non termina qui. Come vi ho già annunciato, ci sarà un sequel, che redigerò una volta finito anche Oblivion che, invece, è il prequel.
Spero non mi odiate troppo perché vi farò stare con l'ansia.... per un bel po' probably perché sono invasa da compiti su compiti e da interrogazioni a non finire.
Ma questi prof non si rendono conto che anche noi alunni abbiamo una vita? Bah.
Vi lascio qui, augurandovi una buona serata, e assicurandovi che farò di tutto pur di pubblicare l'ultimo capitolo di Daemon il più presto possibile!
Vi voglio bbbbene, un bacione
Liz♥






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