Distance hurts.

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Cinque settimane dopo

America's pov

-Non c'è niente da fare. Sono settimane che non parla, non mangia... Le chiedo in continuazione cos'abbia e dice sempre di non avere niente. E poi sostiene di essere scappata lei di suo, "per prendersi una pausa", ma io non me la bevo...-
Kim stava parlando con mia madre. Le sentivo dalla cucina. Adesso mia cugina aveva abbassato il tono di voce per non farsi sentire da me, e pensai che non mi interessasse sentire cosa mai stava spifferando a mia madre.
Appena scesa da quella maledetta macchina , mi guardai intorno. Era tutto più o meno familiare. Stratford non era la città in cui ero nata, e mi ci ero trasferita per il college, e non avevo avuto modo di visitarla per bene; ma quella stradina mi era familiare e mi fu semplice avviarmi al campus, dove decine di facce si girarono verso di me con facce sorprese, meravigliate, stupite...
Dentro di me stava accadendo qualcosa che mi era sconosciuto. Era strano voltarmi e non vedere Justin o Harry dietro di me che mi seguivano a ruota o che mi precedevano.
Cercai di immaginarmeli, ma non ci riuscii.
I dormitori da vuoti erano passati a pieni di persone che appena passavo loro accanto bisbigliavano e commentavano chissà che cosa, ma io non li sentivo.
Sentivo costantemente le parole di Justin che mi imploravano di andarmene e di rifarmi una vita.
Senza che me ne rendessi conto ero davanti alla mia vecchia stanza e mi ero ritrovata a bussare.
Hannah aprì, e mi abbracciò di slancio non appena realizzò che ero io. Proprio io. In carne e ossa.
Ci misi un po' per ricambiare l'abbraccio, ma alla fine lo feci.
-O mio Dio, Mare! Sei qui, sei viva! Ti credevamo dispersa e a volte siamo pure arrivati a pensare che tu fossi morta! Dio non sai che bello rivederti viva...- e via discorrendo.
-Sono qui e sto bene, Hannah...- cercai di levarmela di dosso, arrivando persino a staccarla con la forza.
Dopo circa un quarto d'ora era arrivata mia cugina, il suo ragazzo, i miei genitori... ma io non parlavo. Non ne avevo voglia e non ne sentivo l'esigenza.
Non ero più abituata.
I giorni successivi erano un cuntinuo via vai di poliziotti, avvocati che continuavano a interrogarmi, ma ovviamente non aprii bocca.
Provarono a mandarmi dallo psicologo. Inutile dire che non è uscito nulla è uscito dalla mia bocca.
Giorno dopo giorno rivivevo tutte quelle settimane, vedevo Jason accasciarsi a terra e la notte mi svegliavo di soprassalto perché sognavo sempre qualche incubo.
Incubi di ogni genere, dove l'uomo che aveva ucciso Beth mi toccava di nuovo e mi graffiava con la lama del suo coltello.
Sognavo la pistola di Justin e Montréal illuminata dalla luna.
Riavere la mia vita? Certo che mi rendeva felice, ma non sapevo perché, mancava ancora qualcosa. Avevo paura, e stavo creando attorno a me una bolla, per proteggermi. Kim e la mia famiglia non c'entravano. Ma ero fermamente convinta che nella mia bolla sarei stata bene. Volevo evitare altri traumi e altre delusioni, e forse il mio metodo avrebbe funzionato.
Poi sognavo Justin, che si comportava come avevo sempre voluto che facesse. Si comportava come lo vedevo io.
Non riuscivo a vederlo sotto una luce negativa, cazzo.

-Secondo me è tutto legato a un trauma che ha subito quando è stata rapita. Ma non siamo riusciti a farle aprir bocca. La notte urla, si dimena, e quando la svegliamo ci manda via. Sta diventando terribile averla intorno...-
Rimasi a fissare la collezione di piatti di porcellana che mia madre teneva racchiusi in un armadio con le ante in vetro da prima ancora che io nascessi.
Mi era vietato aprire quell'armadio, infatti mia madre lo teneva sempre chiuso a chiave e la nascondeva sopra la mensola del bagno; immpossibile arrivarci.
A tredici anni scoprii il nascondiglio della chiave, e dopo un conflitto enorme, la presi e aprii l'armadio, prendendo un piatto e buttandolo a terra.
Fui tremenda e perfida, e ci misi mesi a recuperare il rapporto con lei, ma a piccoli passi riuscii a far tornare il nostro rapporto come una volta.
Poi partii per il college, e quella fu la prima volta che la rividi, ma l'allegria non era la stessa.
Mi girai per vedere se dalla cucina riuscivo a scorgerla insieme a Kim. Se fossi uscita non se ne sarebbero accorte.
Appoggiai le mani ai lati delle mie gambe come supporto per alzarmi, e appena fui in piedi mi avviai verso la porta d'ingresso che dava sulla veranda.
C'era il sole, quella mattina. Ma eravamo a novembre, e iniziava a fare freddo. Mi strinsi nelle braccia quando un'aria fastidiosa mi attraversò le ossa, ricordandomi di aver scordato il maglione (scusate il gioco di parole, lol), ma se fossi entrata probabilmente mi avrebbero trattenuta a parlare. E visto che era un tormento avermi intorno...
Beh, non potevo nemmeno biasimarle: non facevo niente per migliorare la situazione e loro si stavano facendo in quattro per me.
Ma io non volevo, non riuscivo a fare meglio di così.
Scesi le scale della veranda e attraversai il giardino.
I miei genitori possedevano un ranch enorme che si disperdeva sul bosco dietro l'abitazione.
Da piccola, quando ero arrabbiata, scappavo e mi nascondevo in mezzo agli alberi; specialmente sotto l'ombra di un albero in particolare.
Non sapevo esattamente perché, ma quell'albero mi infondeva sicurezza. Sarà stata la sua maestosità, la sua aria centenaria...
Prima che me ne rendessi conto ero già lì.
Mi sedetti tra le sue radici e mi portai le ginocchia al petto. L'unico a conoscenza di questo posto era mio fratello Tom, che non vedevo da una vita.
Quando litigavo con i miei genitori, o quando scappavo da mio padre che c ercava di picchiarmi, mi nascondevo lì e Tom veniva sempre a consolarmi.
Era il nostro posto, ma lui non c'era.
Mi ricordai di averne parlato anche a Justin, in ospedale.
Justin...
Avevo pochi ricordi felici vissuti con lui in quelle settimane, ed erano quelli che mi facevano sentire la nostalgia provocata dalla sua assenza.
Come siamo arrivati a tutto questo?
Feci la prima cosa che non facevo da quando ero tornata: piansi, così tanto che venni scossa da tremori.
Tutto quanto uscì: tutti  i traumi, tutte le ferite, le botte, i rischi, tutto quello che quelle settimane di rapimento contenevano uscirono.
Non ebbi paura di farmi sentire, perché non riuscivo a smettere.
Ora le mie emozioni avevano preso pieno possesso del mio corpo; non riuscivo più a controllarlo, anche perché non avrei potuto.
Sentii dei passi, e coperta da spasmi cercai di voltarmi per vedere chi fosse. Scoppiai ancora di più a piangere quando vidi il fisico alto e tonico di mio fratello.
L'unica cosa che notai fu la sua felpa grigia del college che stava frequentando a New York: la Columbia.
Posai le mani sul viso e ricominciai a  piangere, aspettando che mi affiancasse.
Si sedette accanto a me e mi strinse fortissimo. Credetti pure di sentirlo piangere con me.
"Ho avuto tanta paura, Mare. Tanta." sussurrò con la voce rotta dal pianto.
Le lacrime e gli spasmi non terminavano, e mi sembrò di tornare indietro nel tempo, quando scappavo dalle urla di mio padre e mi rintanavo qui a piangere e lui mi stringeva forte a sé.
La faccenda era un tantino diversa ma l'amore era sempre lo stesso.
"T-Tom..." non riuscii a terminare la frase.
Mi strinse ancora di più e mi accarezzò i capelli con movimenti lenti e precisi. Era il metodo perfetto per calmarmi.
Dopo un po' di minuti, il respiro si calmò e diminuirono anche gli spasmi. Rimasi ancora un po' con gli occhi chiusi e la guancia appoggiata sul suo petto.
Quando mi sentii pronta, alzai la testa e lo guardai. Aveva le guance rigate di lacrime anche lui, come me, ma mi sorrideva.
Passò il pollice sotto gli occhi e mi asciugò qualche lacrima che ancora scendeva.
Mi strinse nuovamente a sè, finché non mi calmai del tutto.
Mi staccai da lui: "Tom, Dio.." non trovavo nemmeno le parole per descrivere quanto mi era mancato.
"Shh -mi abbracciò- mi sei mancata tanto, e mi hai fatto spaventare a morte. Avrei voluto spaccare il mondo." disse.
"E' stato brutto-dissi-ma anche bello." pensai a Justin, le volte in cui c'era stata una buona intesa tra noi, e a Harry, che mi aveva dato tanto. C'erano poche persone come Harry.
Subito si irrigidì e mi guardò: "Brutto in che senso? Cosa ti hanno fatto? America, dimmelo."
Sentivo l'aria impregnarsi di tensione, ma non potevo svelare a Tom quello che è successo.
"Io... non posso Tom. Non voglio."
Boccheggiò per qualche secondo, poi si staccò da me e si alzò in piedi.
"Non vuoi?! Tu sparisci per intere settimane senza lasciare notizie lasciando tutti noi in pensiero, lasciandoci morire ogni giorno un po' di più perché non avevamo idea di dove tu fossi e se fossi ancora viva! E mi vieni a dire "Non voglio"?!" alzò la voce e mi puntò un dito contro.
"Tom, calmati, ti prego..."
"No, non esiste che io mi calmi! Kim mi ha chiamato la mattina dopo piangendo, perché non c'eri. Non ti trovavano da nessuna parte, Mare. Ho preso l'aereo da New York e sono arrivato in Canada. Stavo morendo dentro perché sapevo di non averti scritto quanto ti avevo promesso prima che partissi, ma mi sono lasciato prendere dagli studi. Mi sono sentito una merda perché non ti ho dedicato le attenzioni necessarie!" mi indicò e ora il suo viso era rosso dalla rabbia. Scoppiai a piangere. Stava esagerando.
"Non è il momento di autocommiserarsi, Tom! Puoi farlo più tardi, cazzo!" dissi tra le lacrime.
Mi presi il viso tra le mani e ricominciai a piangere, forte.
Lo sentii inginocchiarsi davanti a me, mi strinse i polsi e delicatamente spostò le mani dal mio viso.
Abbassò il tono di voce: "Scusami, davvero. Quello che intendevo è che..-guardò per terra- sono state settimane d'inferno, Mare. Per tutti noi. Credo che ci meritiamo di sapere dove tu fossi stata, con chi, se ti hanno fatto del male..." tornò a guardarmi e non potei che notare la sincerità e tutta la preoccupazione nei suoi occhi.
Una miriade di consapevolezza mi invase e compresi che a Tom dovevo tutto.
Presi un respiro. "Prometti di non parlarne con nessuno, neanche con la polizia."




Daemon's pov

"Perché l'hai lasciata andare se ora ti manca?" Harry teneva in mano una bottiglia di scotch, e ogni volta che il mio bicchiere diventava magicamente vuoto, lui me lo riempiva.
Ero al sesto bicchiere e cominciavo a sentirmi la testa leggera.
Scrollai le spalle: "Non mi manca" gli feci cenno di versarmene ancora.
Harry ridacchiò: "Siamo io e te, in una casa su un lago, a bere. Tu che menti sui tuoi sentimenti, e io che fingo di crederti- si versò dell'alcol nel bicchiere e fece il primo sorso- è triste"
"Io non mento. Dovevamo ucciderla, ricordi?" dissi, finendo il mio settimo bicchiere di scotch.
"E perché non l'hai fatto?" inarcò un sopracciglio.
Rimasi a bocca aperta per un po', pensando a cosa rispondere.
Per allungare, gli chiesi di versarmi ancora scotch, ma rimase fermo a guardarmi con il tipico sguardo di chi la sapeva lunga.
Lo maledissi e mi versai il mio ottavo bicchiere. Ora veramente cominciavo a vedere tutto girare.
"Perché non erano affari miei. Non sono affari miei." mi corressi.
Ridacchiò "O forse perché ne sei innamorato"
Scossi la testa e mi risistemai sulla sedia "Smettila di dire stronzate, porca puttana."
Di tutta risposta ridacchiò.
America. America. America
"A te..non..manca?" chiesi. Forse non ero l'unico preso così male.
"Non così tanto" si versò un po' di liquido sul suo bicchiere.
La sua risposta mi sorprese: "Pensavo che aveste legato, voi due"
Scrollò le spalle.
Rimasi in silenzio. Harry aveva un comportamento strano in quegli ultimi giorni. Era sempre attaccato al telefono, stava via per ore.
Questo suo comportamento cominciava a insospettirmi, e cercai di osservarlo il più possibile nelle ultime settimane.
C'era qualcosa sotto, ma ero ancora lontano dal scoprirlo. In più, l'alcol mi annebbiava la lucidità e non riuscivo a pensare ad altro che America.
Il suo nome continuava a martellare nella mia testa.
America, America, America
Sentii il rumore della sedia strisciare sul pavimento. Alzai lo sguardo goffamente: Harry stava guardando il telefono e si era alzato.
"Dove vai?" biascicai.
"Via. Starò fuori per la notte."
Ridacchiai: "Io non me la bevo, Harry Styles. Scoprirò quello che stai macchinando, a modo mio" gli sorrisi malignamente. Sapeva bene a cosa alludevo.
Il suo sorriso si rese nervoso e per poco mi parve annaspare "E' solo una ragazza con cui mi vedo... Niente di che Justin. Non ti preoccupare" fece un mezzo sorriso e scomparve.
Sbuffai quando sentii la porta sbattere e mi girai il bicchiere tra le dita. Come avrei potuto colmare questo vuoto persistente se non riuscivo a fottere nessun'altra senza pensare a lei? Che non mi ero mai scopato, tra l'altro.
Basta, cazzo. In un modo o nell'altro dovevo levarmela dalla testa. Non potevo continuare così. Avevo già i miei fottuti problemi a cui pensare, non mi serviva l'ostaggio.
Non l'avrei mai uccisa, comunque. Mi bastò vederla quella volta in aula di storia, per capire che non ci sarei mai riuscito. Non solo perché era donna, ma perché era lei. Era così bella e perfetta e.. quasi angelica.
Oh merda... stavo pure diventando poetico. Doveva essere l'alcol, sicuramente.

In quel momento ricevetti un messaggio. Lessi l'anteprima del messaggio e subito mi raddrizzai:
"Chiamami."
Mi alzai di scatto, gesto che mi procurò dei giramenti di testa. Quando fui in grado, salii le scale più in fretta che potevo e composi il numero della persona che mi aveva appena scritto.
Rispose al secondo squillo.
"Pronto?"
"Jake."
"Bieber. Ho qui altre informazioni."
"Spara"
"E' a casa dei suoi, il padre sembra non esserci. E' rimasta dentro casa per circa due ore, poi è uscita. E' sparita nel bosco e dopo un po' un ragazzo l'ha seguita"
Anche da ubriaco, i miei sensi andarono subito in allerta. "Un ragazzo? E chi cazzo è?" Digrignai i denti. L'avrà sicuramente toccata, magari era il suo ragazzo e io neanche lo sapevo e stavo lì a pensarla e a pedinarla come un fottuto malato e lei già mi aveva dimenticata.
Jake ridacchiò. "Sto controllando adesso. Calmati, amico"
"Non me ne frega un cazzo. Controlla, muovi quel culo."
Ci furono secondi di silenzio. "Allora?"
Altro silenzio. Sentivo il click del mouse. Stava cercando, si stava dando da fare, ma non avevo pazienza.
Merda, non poteva chiamarmi quando ero sobrio? Porca puttana.
"Ecco." altri click. "E' il fratello."
Inconsapevolmente, sospirai di sollievo. "Perfetto. E? Altre novità?"
"Oh, certo. Non vuole dire niente alla polizia. Non parla. Nessuno sa cosa le sia capitato. C'è qualcosa, o qualcuno -disse con tono illusorio- che la spinge a tenere la bocca chiusa."
Sgranai leggermente gli occhi. "E' tutto?"
"E' tutto."
"Perfetto, grazie Jake. Ti devo molto" e riattaccai per non sentire altro.
Mi passai le mani tra i capelli e mi distesi sul letto, guardando il soffitto illuminato dalla luna.
Perché non parlava? Per me? Per Harry? Per paura che o io o Styles potessimo farle del male?
Nessuno la obbligava a stare zitta, io per primo. Voglio dire, mi sarei incazzato se avesse fatto la spia, ma sarei stato in silenzio e mi sarei lasciato costituire, com'era giusto che fosse.
Era un tacito invito a tornare? E se non mi avesse dimenticato? E se di me non gliene fregasse un cazzo e faceva tutto questo per Harry?
Beh, non dopo tutto quello che ci dicemmo settimane prima.
Forse dovevo tornare. Forse dovevo farmi vivo. Avevo sbagliato tutto; pensavo che lasciandola andare entrambi saremmo stati lontani dai guai, ma evidentemente a nessuno dei due faceva bene questa distanza.
Ma se volevo andare da lei, non potevo farlo subito. Dovevo aspettare. Un'altro paio di mesi e sarebbe stato perfetto.
Nel frattempo, però, avrei potuto inviarle segnali che le facessero capire, ma lasciandola comunque con il dubbio, che io sarei tornato. Che ero suo, merda. Che mi aveva tutto.
L'avevo trattata da schifo, l'avevo umiliata, ma la volevo. Se lei avesse accettato, magari avrebbe potuto cambiarmi definitivamente.
E non sarebbe morta.
Lo giurai.
























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