Bad news.

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Quando aprii gli occhi, mi trovai in una stanza. Ci misi un po' a mettere a fuoco e a rendermi conto che quella non era la mia stanza. Mi alzai di scatto, mentre con la mente ripercorrevo gli attimi prima di perdere i sensi. Mi avevano forse rapita? Se si, chi mi ci aveva portato in questo lurido posto?

Pensai a Kim, a quanto avrebbe dato di matto non vedendomi a lezione, a quanto avrei dovuto darle ascolto. La paura mi attanagliava, e non sapevo cosa fare.

La porta si aprì, e la luce entrò nella stanza, anche se per poco tempo, accecandomi. Mi portai una mano davanti agli occhi fino a quando la porta si richiuse.

Un uomo, a giudicare dal fisico un ragazzo, con un passamontagna sul viso, mi guardava con le braccia incrociate al petto.

Piegai le gambe portandomele al petto, in una dimostrazione di difesa, e lasciai che i miei capelli color caramello cadessero davanti agli occhi.

Ora più che mai avevo paura. Mi avrebbe uccisa?

Il ragazzo, in un gesto fulmineo, si tolse il passamontagna rivelando il suo volto. Rimasi sconvolta.

Daemon se ne stava lì davanti, con un ghigno compiaciuto.

La rabbia cominciò ad assalirmi.

«Tu.» dissi con tono che doveva sembrare minaccioso, ma probabilmente non ai suoi occhi.

Sorrise: «Già, io». Mantenni la mia espressione minacciosa, e proferii parola: «Perché sono qui?»

Daemon scrollò le spalle: «Ora non mi va di dirtelo».

Aggrottai la fronte incredula: «Cosa? Fammi capire: tu mi rapisci, mi rinchiudi in una cella puzzolente, come minimo DEVO sapere perché sono qui!» ero fuori di me. Rapitore o meno, lo odiavo.

Alzò gli occhi al cielo: «Non sono tenuto a dirtelo, se non voglio.»

Spalancai la bocca. Più incredula e scioccata di così non pensavo di poterlo essere.

Incrociai le braccia al petto: «E invece si. Ti ordino di dirmi perché sono qui» mi imbronciai. Non ero spaventata da lui.

Sentivo il calore su tutto il viso e il cuore martellava dentro al petto per la rabbia. Avevo il diritto di sapere.

Scoppiò in una fragorosa risata: «Tu... Tu dici a me cosa fare?» rise ancora.

Quella sua reazione servì a farmo urtare ancora di più il sistema nervoso, ma tacqui, aspettando pazientemente che finisse.

Quando finì, divenne improvvisamente serio, e questa volta la mia espressione minacciosa di poco prima non rendeva giustizia a quella che si era formata improvvisamente sul suo volto.

Si fece fin troppo vicino, tanto che sentii il suo respiro sulla pelle.

«Io non mi faccio dare ordini da una ragazza come te. Sono io a fare gli ordini, qui. E se non mi va di dirti il motivo della tua presenza in questo posto, non sono tenuto a farlo. Sono stato chiaro, America?» sputò il mio nome come se fosse veleno, e deglutii, mio malgrado intimorita dalla sua reazione.

Quello era pazzo e sicuramente faticava a gestire la rabbia, ma se non volevo rimanerci secca, il mio lato ribelle lo dovevo mettere da parte, insieme al mio orgoglio.

Lo fissai negli occhi, cercando con tutte le forze di non sembrare intimorita dalla sua minaccia, e annuii.

Con un gesto stizzoso, si staccò, appiattendomi contro il muro alla sinistra del letto.

Si appoggiò nel muro parallelo e incrociò le braccia al petto, prendendo una cicca e accendendosela.

Prese a guardarmi, mentre aspirava il fumo dalla sigaretta formando cerchi perfetti.

Daemon | j.b |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora