Santa Klaus is coming...

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"Come sta andando?"
"Stiamo bene." Affermai convinta, stringendo le dita attorno al mio telefono, gratificata di sentire la voce di Tom.
Si stava avvicinando il Natale, e il mio telefono non faceva altro che squillare. Amici, parenti, persone che non sentivo dalle medie...
Io mi limitavo a festeggiare con Justin e il suo amico Jake..
Un Natale alternativo, mi ritrovavo a pensare. Se non altro, lo festeggiavo con la persona per la quale avevo perso totalmente la testa.
Lo guardai disteso sul divano. Stava parlando al telefono con qualcuno, come stavo facendo io, e giocava con i lacci della felpa, assorto nella conversazione.
Era un gesto così normale, che catturai quel momento consapevole che non sarebbe ricapitato spesso. Era rilassato, a suo agio, spensierato. Mi fece sorridere.
"Se ti crea problemi, fammelo sapere." Disse Tom a voce bassa, probabilmente era circondato da altre persone.
"Stiamo bene" ripetei e tornai a guardare il ragazzo con il quale convivevo da qualche settimana. "Davvero bene." Ripetei.

Una volta riattaccato, raggiunsi Justin sul divano che spostò le lunghe gambe per farmi posto, per poi appoggiarle successivamente sulle mie cosce una volta seduta.
"Allora, che si dice a Chicago?" Chiese. Non era più al telefono ma continuava a giocare con i lacci della felpa con una mano, mentre l'altra era appoggiata dietro alla testa.
Feci spallucce, appoggiando la testa nello schienale. Questa situazione era così... normale, che mi lasciò una sensazione strana alla bocca dello stomaco.
"Nessuno ha particolari sospetti, credono tutti che mi stia spaccando di studio al college"
"E non si sono posti il problema che il college è chiuso durante le festività?" Chiese, alzando il sopracciglio.
"Ma i campus no" risposi, facendo l'occhiolino. "E poi, non ne sono sorpresi."
Il suo viso si deformò in un sorriso, un misto tra divertito e forse un po' scherno. "Non dirmelo, al liceo eri talmente studiosa da non avevere nemmeno una vita sociale"
Gli tirai un pizzicotto sul polpaccio coperto dai suoi pantaloni grigi della tuta. "Certo che ce l'avevo una vita sociale." Ribattei, punta nell'orgoglio, anche se ero divertita dalla situazione leggera che si era creata.
Alzò di nuovo il sopracciglio, come a dire che non ci avrebbe creduto nemmeno se l'avesse visto.
"Okay..." aggiunsi. "Forse non avevo poi così tanta vita sociale..." dissi, ricordandomi dei miei cinque anni passati con il naso tra i libri e dei miei relativamente pochi amici.

Scoppiò a ridere. Incredibile, quel giorno era davvero di buon umore!
Gli tirai un pugno sulla coscia questa volta, con l'intenzione di fargli male davvero, e misi il broncio.
"Ahia!" Esclamò questi, toccandosi la parte dolorante. Dopo aver riso abbastanza, ma sempre con il sorriso in faccia, si mise seduto e mi prese il braccio. Poi si distese trascinandomi con sé. In quella posizione io ero completamente rannicchiata su di lui, che mi sfiorava il braccio con la punta delle dita.
"Ehi, stavo scherzando. Ho sempre avuto un debole per le secchione."
Alzai il viso per guardarlo, e lo vidi fissarmi sorridendomi di sbieco.
Aggrottai la fronte, cercando di nascondere il mio divertimento, pur sapendo di fallire miseramente. "Davvero?"
"Certo," rispose, mettendosi più comodo. "Le trovo molto... sexy" aggiunse, e la sua mano mi strinse una natica.
Lanciai un urletto, e sentii il suo petto muoversi sotto le mie dita. Solo per quello rischiavo di scioglermi come neve al sole. "Che ne dici di una bella dimostrazione?" Dissi, sentendomi improvvisamente audace e... vogliosa.
A quel punto mi guardò negli occhi, le sue iridi nocciola facevano spazio al nero delle sue pupille. Si stava eccitando, e questo mi faceva andare in estasi.
"Mmh, se me lo chiedi in maniera così esplicita..." iniziò, baciandomi il collo lasciandomi delle scie infuocate lungo il tragitto delle sue labbra, finché non arrivarono alla mascella, alla mandibola, agli zigomi...
Poi la situazione si capovolse, e lui era sotto di me. Si reggeva sui gomiti per non pesarmi e da come mi guardava percepivo la lussuria, la sua voglia di farmi sua ancora e ancora, come se non ne avesse mai abbastanza.
"...come faccio a dirti di no?" Concluse, prima di fiondarsi sulla mia bocca, incendiandomi completamente. La mia schiena si inarcò, il mio petto completamente contro il suo. Le mie mani si stringevano sulla sua maglietta spasmodicamente, quasi per accertarmi che lui fosse davvero lì, che voleva davvero me.
Strinsi una gamba attorno alla sua vita. Volevo che i nostri corpi aderissero perfettamente, che si ricongiungessero come solo loro sapevano fare.
E la sua reazione non tardò a venire: presto ci trovammo entrambi in intimo.
La sua mano agganciò l'elastico delle mie mutandine e con il dito mi stuzzicò i fianchi, come se lo stesse facendo apposta a farmi morire.
Ma non volevo che fosse lui a fare la prima mossa, non quella volta.
Volevo creargli anche io il piacere che lui aveva il pitere di creare a me, volevo soddisfarlo.
Infatti, gli appoggiai una mano sul petto, allontanadolo. Lui mi guardò confuso ma non obiettò. Lo feci sedere, e a quel punto capì le mie intenzioni.
"Mare, guarda che non devi, se non te la senti..."
Lo zittii, per non sentire altro. Per Dio, non stavo mica andando al patibolo, no? Stavo solo cercando di procurare del piacere al mio ragazzo.
Che poi, potevo considerarlo tale? Eravamo una coppia a tutti gli effetti? Anche se rimanevamo chiusi in casa la maggior parte del tempo per non essere scoperti?
Decisi di allontanare momentaneamente quei pensieri e di pensare a quello che stava succedendo.
Non avevo per nulla esperienza al riguardo, anzi. Ne avevo sentito parlare nei film e letto nei libri, per cui cercai di focalizzare alcune situazioni fantastiche nella mia mente e le attuai.
Justin era in boxer, per cui si notava per bene la sua eccitazione... e che eccitazione.
Rimase immobile, non si oppose quando con la mano gli afferrai il suo membro da sopra i boxer e lo toccai.
Forse lo infastidiva non avere la situazione sotto controllo, come sempre, ma appena il mio palmo entrò in contatto con il tessuto ruvido dei suoi boxer, l'espressione corrucciata che gli incurvava la fronte sparì, lasciando spazio ad ansiti di piacere.
Socchiuse gli occhi, lasciando andare il capo sullo schienale della sedia dietro di sé, e il suo petto venne scosso da respiri profondi e irregolari.
Sorrisi, contenta di avere la situazione in pugno, e trementamente eccitata.
Le sue mani strinsero i miei fianchi convulsamente, lasciandovi le impronte. Volevo andare lentamente per godermi il momento, sentirmi per una volta io la predatrice e lui la preda.
Quando feci per infilare le mani all'interno della stoffa, il campanello suonò. L'atmosfera si smorzò immediatamente. Justi aprì gli occhi e io ritrassi la mano, improvvisamente imbarazzata.
"Chi è?" Chiesi, raccoglie do i miei vestiti a terra.
Justin sbuffò, mentre si infilava i jeans. "E io che cazzo ne so." Bene, adesso era pure incazzato.
Rimasi in piedi davanti al divano, indecisa sul da farsi. Chi poteva essere venuto a suonare a casa nostra? Poteva essere chiunque, e il mio istinto mi gridava di non aprire, di rimanere all'interno del nostro piccolo involucro ignorando chiunque cercasse di entrare.
Justin guardò attraverso la telecamera del citofono socchiudendo gli occhi. Emanava la solita aria da "coito interrotto", che gli conferiva un aspetto tremendamente sexy: a petto nudo, solamente i jeans addosso, i capelli spettinati dalle mie dita...
Alzò la cornetta per interloquire con chiunque si trovasse al piano di sotto. "E tu che diavolo ci fai qui?"
Rimase in silenzio, per poi sorridere leggermente. "Entra, dai."
Assistetti alla scena confusa, con chi diamine stava parlando?
"Chi era, Justin?" Chiesi, aggrottando la fronte.
Mi rivolse un'occhiata aprendo la porta. "Adesso vedrai."
Ma come poteva fidarsi così tanto dopo tutto quello che era succssso? E se chiunque stesse per entrare fosse stato dalla parte di Harry?
Un ragazzo biondo fece capolino, salutando Justin con una stretta di mano. Si passò la mano tra i capelli e si guardò intorno. Il suo sguardo penetrante mi analizzò da cima a fondo. "Ho interrotto qualcosa?"
Abbassai la testa, consapevole di avere avuto la faccia e le orecchie tinte di rosso. Ero sicura di aver già visto quel ragazzo, da qualche parte.
Justin si chiuse la porta alle spalle, alzandole successivamente. Sperai che non aprisse bocca e non dicesse niente sull'argomento.
Infatti fu così. "Come hai fatto a sapere dove stiamo?" Chiese a sua volta.
Il biondo alzò un telefono, come se quello bastasse a dare una risposta. "Sei sparito, ho dovuto escogitare un modo."
Justin si massaggiò gli occhi con l'indice e il pollice, facendo trasparire il suo stress. "Ah, giusto. Tu non sai le ultime cose che sono successe."
"E invece qualcosa so" rispose il ragazzo, fissando i suoi occhi in quelli dell'amico. "E ti ho portato anche delle novità."
Justin raddrizzò le spalle, le mani strette in pugni ai suoi fianchi.
Ci fiondammo in cucina e i due si sedettero al tavolo, mentre io rimasi in piedi davanti al bancone intenta a rovistare nella dispensa, cercando qualcosa da offrire all'ospite. Justin non ci aveva nemmeno presentati...
"Cosa sai, Jack?" Chiese questi, e me lo immaginai torturarsi le mani, mentre l'ansia e la pressione riaffioravano.
Finalmente lo sconosciuto prendeva un nome... e capii che anche lui faceva parte della gang di McCann. Un brivido scese lungo la mia spina dorsale, ma continuai comunque a rovistare nella cucina, per distrarmi e al contempo assistere alla conversazione.
"Styles vi sta cercando, entrambi. Insieme a quel Farewell, e sono entrambi spietati."
Una tazzina mi scivolò tra le mani, cadendo sul bancone in marmo. Fortunatamente non si ruppe, ma attirai l'attenzione dei due uomini, che si azzittirono in un secondo.
Justin mi chiese come stessi, e io lo rassicurai dicendo che andava tutto bene, di continuare pure a parlare. Preparai del tè e misi dei biscotti su un piatto. Li servii sul tavolo, e i due mi ringraziarono.
"Dicevo, vi stanno dando la caccia, Justin. Dovete stare attenti, e cauti. Sono sempre più vicini a trovarvi, e non ci metteranno molto."
"Come lo sai?" Chiese Justin.
Jack afferrò un biscotto e lo intinse nella tazzina. Deglutì, come se gli costasse molto pronunciare quelle parole. "Stanno... reclutando persone della vecchia gang. Non tutti hanno aderito, per fortuna; non se la sono bevuta in molti la storia di te che uccidi McCann. Me compreso. "
Justin si raddrizzò di scatto, indignato e, vedendo la sua mascella contratta, ferito. "È questo che ha detto per accaparrarsi quei coglioni? Che l'ho ucciso?" Disse a voce alta, e si alzò in piedi camminando avanti e indietro per la stanza. Rimasi calma al mio posto, consapevole che se avessi provato ad avvicinarmi mi avrebbe mandata via.
Jack annuì. "Molti sapevano che lo odiavi, per questo non si sono fatti scrupoli e si sono messi dalla sua parte. Compreso Cole."
Justin strabuzzò gli occhi, e anche io, pensando al ragazzo strafatto che avevo visto fuori dalla palazzina di McCann a Montreal.
"Pure Cole?! Brutto bastardo figlio di..." non finì la frase perché il suo pugno s'imbatté violentemente contro il tavolo, facendolo tremare e spaventandomi. Mi alzai, afferrandogli un braccio, ma lui si scostò. Anche se sapevo che era preso dalla foga del momento, quel rifiuto mi bruciò.
"Dobbiamo fare qualcosa, Jus. Quello sparge in giro voci che non sono vere, e avete un esercito di depravati che vi da la caccia. Dovete mettervi al sicuro."
"E dove?" Chiesi al limite dell'esasperazione. Tutto questo mi stava terrorizzando, ed ero sull'orlo di una crisi isterica.
Jack mi guardò. "Non lo so, ma è questione di pochi giorni. Dobbiamo trovare un modo."
Il mio ragazzo -se così si poteva definire- che si era accampato davanti alla finestra a scrutare, si voltò verso di noi con una mano sul volto e l'altro braccio incrociato al petto. "Non possiamo scappare. Dobbiamo... devo affrontarlo. È me che vuole. È una questione personale."
Sgranai gli occhi. "Non se ne parla" intervenni. Non avrei permesso che intraprendesse una missione suicida.
"Non puoi affrontarlo da solo" mi appoggiò il suo amico. "Hai bisogno di noi."
Non rispose, non subito almeno. "Non voglio che voi vi mettiate in mezzo. È una cosa che devo fare io"
"Si ma ci siamo dentro tutti, Justin. Lui da la caccia anche a me. Ucciderebbe anche me." Dissi. Volevo che capisse, che non facesse come sempre, che non fosse così testardo.
"Tu devi rimanere al sicuro, America. Non sai come affrontare queste cose..."
"Ah, non lo so? Ti sei dimenticato di quante ne ho passate, Justin?" Non volevo dirgli quelle cose, ma ero così amareggiata e arrabbiata che volevo che lui cambiasse opinione, in un modo o nell'altro.
Mi guardò intensamente, forse ripercorrendo le nostre avventure o forse cercando delle risposte a domande a me ignote.
Potevo capire la sua apprensione, la sua paura, le sue difficoltà ad affrontare questa situazione, ma non avrei di certo lasciato che lui si immischiasse in questi affari da solo. Come c'era dentro lui c'ero dentro anch'io.
Forse era sbagliato, forse una persona sana di mente se ne sarebbe tirata subito fuori e mi resi conto che era quello che Justin si aspettava, che io facessi marcia indietro.
Anche tu ti stancherai di me, come quelli che conoscevo hanno fatto; come quelli che incontrerò faranno. È matematico.
No, io non volevo rientrare in nessuna di quelle categorie.
Cercai di trasmettergli tutto con gli occhi, e lui parve capire. A passi lenti tornò a sedersi al tavolo, e io feci lo stesso, sedendomi di fronte a lui.
"Bene, come intendiamo procedere?"

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