Go away

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"Justin, vuoi mangiare? O vuoi comportarti come un bambino capriccioso del cazzo?" Sbuffò impaziente Harry, indicando a Justin un piatto di passato di verdure dall'aria disgustosa.
Sorseggiai il mio caffè ridendo di sottecchi per la scena bizzarra. Il diciannovenne capriccioso e l'amico incazzato.
Justin alzò un sopracciglio, guardando prima il piatto davanti a sè e poi Styles.
Era passato un giorno da quando Justin si era ripreso.
Ricordai ancora l'angoscia e il panico che si insinuarono nelle mie vene e mi congelarono, tanto che dovettero trascinare me e Harry con forza all'esterno della stanza.
Nonostante la scena fosse straziante, non riuscivo a togliere gli occhi di dosso da quel corpo muscoloso e coperto di tatuaggi inerte, circondato da dottori che cercavano di rianimarlo.
Poi fu come respirare dopo un lungo periodo di apnea, quando il biondo aprì gli occhi, boccheggiando.
Dopo minuti che sembravano non terminare mai, sia per me che per Harry tornò la speranza.

I dottori ci avevano detto che per i primi due giorni Justin sarebbe stato molto stanco, che a malapena sarebbe riuscito a parlare e che ci sarebbe voluto un po' perché tornasse in forze.
Mai ci fu errore più grande.
Trascorsa la notte, era già in piedi ansioso di ritornare a casa. I dottori lo avevano rimproverato e ributtato a letto con forza. Ogni tot passavano a controllare che non fosse scappato. Anche se con me e Harry 23 ore su 24 a sorvegliarlo, non ci sarebbe stato alcun pericolo.
Il giorno dopo notai un cambiamento in Justin, soprattutto nel modo in cui mi guardava. Non era più carico di odio come le settimane precedenti, bensì era carico di tolleranza...
Ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano, io distoglievo subito il mio.
Era tutto nuovo, per me.

"Io questa merda non la mangio" sentenziò Justin, appoggiando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi, concedendomi di ammirare il suo profilo. Il naso dritto, la curva della mascella, le labbra....
"Mare, digli tu qualcosa. Ti prego." disse Harry con tono stanco e alzando le mani in segno di resa, sedendosi su una poltroncina dall'altra parte del letto rispetto a dove ero io.
A disagio guardai Harry, che sollevò le spalle.
Mi morsi il labbro. "Non c'è niente che io dica che lui farà, quindi tanto vale che non lo costringa" sentenziai, realista.
Justin, sentendo le mie parole, aprì gli occhi e fece quello che non mi sarei MAI aspettata.
Guardò me, poi si spostò sulla minestra fumante e dall'odore terribile davanti a sè guardandola con sguardo quasi spaventato.
Prese un gran respiro, chiudendo gli occhi per il dolore al fianco e mi guardò, assottigliando gli occhi e puntandomi un dito contro: "Non succederà mai più, sappilo."
Detto questo, prese un cucchiaio e diede un'assaggio a quell'impasto maleodorante. Lo ingoiò schifato, e con molta fatica prese una seconda cucchiaiata, poi una terza... fino a finire il piatto una mezz'oretta dopo.
Harry era sconcertato tanto quanto me, che mi sorrise e mi fece il segno  di due pollici in sù.
Non capivo proprio come mai avesse deciso di ascoltarmi. Insomma... non era da lui.
Poi pensai: e se mi avesse sentita parlare mentre era in coma? Forse si era reso conto ed ero più vicina al mio obiettivo di tornare a casa!
Harry appoggiò le mani sui braccioli della sedia per alzarsi. «Bene, ragazzi, io vado giù al bar a prendermi un caffé. America-mi guardò- ne vuoi un'altro?»
Sorrisi educatamente e feci un gesto con la mano. «No, grazie»
Il riccio ricambiò il sorriso ed uscì dalla stanza.
Così rimasi da sola con Justin nella sua stanza. Lo guardai, mentre con il suo solito cipiglio guardava il telefono. Mi morsi il labbro, sistemandomi nella sedia e accavallando le gambe. Io non avevo con me il cellulare... Doveva avercelo Justin, senza dubbio.
Presi un respiro, pronta a chiedergli dove fosse il mio telefono, quando parlò: «Ti vedo stanca.» disse.
Chiusi la bocca, agrottando le sopracciglia.
Mi stava prendendo in giro?
Cazzo, si che ero stanca, serviva proprio che me lo facesse notare? Mi mossi sulla sedia, infastidita, e ruotai il liquido all'interno del bicchiere, invece che guardare Justin.
«Sono notti che non dormo. Perciò si, sono molto, molto stanca» dissi, cercando di risultare il più acida possibile. Se lo meritava, dopotutto.
Continuai a guardare il caffé, perciò non vidi che Justin mi stava guardando, anche se lo percepivo come una fonte di calore messa a stretto contatto con la pelle nuda.
«E perché non hai riposato?» chiese, con tono naturale.
Stranita dal suo tono e dalle sue domande, lo guardai, alzando un sopracciglio:«E dove dovrei dormire, secondo te?» appoggiai con una certa foga il caffé sul tavolo di fianco al letto -scottandomi con le gocce che ne erano fuoriuscite in seguito a quel gesto- e tornai a guardarlo, assottigliando gli occhi: «E come mai tutto questo interesse nei miei confronti?»
Justin ricambiò il mio sguardo con una scintilla strana, prima di passare alla calma. Mi chiesi se me lo fossi immaginata, e non seppi nemmeno cosa potesse significare. Fino a qualche giorno fa mi sarei immaginata uno sguardo di odio o di rabbia, invece questa volta non c'era traccia di tutto ciò.
«Nessun interesse, tranquilla -disse, accennando un sorriso e alzando le mani in segno di resa- solo semplice curiosità. Hai delle occhiaie che sembrano disegnate, tanto sono evidenti»
Ed eccolo, il solito Justin Bieber. Mi ero totalmente immaginata gli sguardi di tolleranza, mi ero forse illusa che lui avesse sentito solo una parola del mio discorso riguardo al mio stato d'animo?
La risposta era sicuramente di si. Justin non sarebbe mai cambiato.
Mi morsi il labbro, mio malgrado colpita da quelle parole. Forse mi avrebbe fatto piacere che lui fosse almeno un po' interessato a me ma, ehi, stiamo parlando di colui che mi ha rapita.
Annuii e ripresi in mano il mio caffé, guardando al suo interno invece di guardare Lui.
Seguirono minuti di silenzio, minuti imbarazzanti, dove io non staccai gli occhi dal mio caffé.
Lo sentii risistemarsi nel letto, al che alzai lo sguardo per vedere se avesse bisogno.
Ma cosa andavo a pensare?
Primo, non sarebbe dovuto interessarmi, se lui avesse avuto bisogno di aiuto o no.
Secondo, lui non avrebbe accettato comunque il mio aiuto.
Deglutì e si sporse nel tavolino, prendendo il telefono, sbloccò il display per poi spegnerlo.
Si girò verso di me, inumidendosi il labbro inferiore. Sembrava volesse dirmi qualcosa, ma all'improvviso la porta si aprì ed entro Harry seguito da un dottore.
Riportai il mio sguardo sul bicchiere, dopo aver guardato Harry.
«Mi dimettete?» sentii dire Justin, con una nota di speranza nella voce.
Il dottore sospirò, avvicinandosi al letto.
«No, Taylor. Siamo venuti qui per fare un ultimo controllo, ma non potremmo dimetterti prima di venerdì»
Lo sentii sbuffare e borbottare qualche insulto.

Daemon | j.b |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora